Mo Hayder - Birdman

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In un'area industriale semiabbandonata della periferia londinese vengono scoperti i cadaveri di cinque donne mutilate e seviziate. Scattano immediatamente le indagini che vengono affidate al giovane ispettore Jack Caffery. Egli comprende all'istante che i delitti sono opera di un maniaco: le vittime sono state infatti sottoposte a procedure chirurgiche amatoriali per la riduzione del seno e sono state pettinate e truccate in modo da ricordare delle bambole. La morte tuttavia non è stata causata dalle orrende ferite, bensì da un'iniezione letale; inoltre il killer ha inserito nel petto delle vittime e cucito accanto al cuore un uccellino vivo, simbolo e firma del suo macabro operato.

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«Proprio lui.»

«Wendy ha tirato fuori il suo dossier per lei stamattina, è ancora…» E, reclinandosi pericolosamente sulla sedia, si voltò a guardare i mobili dell'archivio collocati nell'angolo. «No», esclamò, ruotando la sedia e guardando la fila di mobili sulla parete opposta. «Ah, sì, laggiù.»

Jack lo osservò mentre si dirigeva verso l'archivio. Quel giorno, Bliss aveva qualcosa di strano: camminava con un'andatura molleggiata, come se stesse cercando di reprimere l'eccitazione.

«Eccolo!» Ritornò con un raccoglitore che sbatté sulla scrivania con aria trionfante. «Fortunatamente non l'avevo ancora archiviato. Allora, diamo un'occhiata.»

Sfogliò alcune pagine, con la bocca che si muoveva senza emettere suoni, e, di tanto in tanto, si puliva le mani passandole sulla giacca. Jack notò inoltre che, alla radice dei denti, vi era un deposito biancastro.

«Ah, sì, qui.» Bliss indicò la pagina. «Alla domanda 'Qualche invalidità?' Cook risponde in modo affermativo. Viene inoltre richiesto di specificare il tipo d'invalidità.» L'impiegato si umettò le labbra e aggiunse: «Cook risponde: acromatopsia». Poi rivolse lo sguardo verso Jack. «L'acromatopsia è quando ti mancano i coni della retina. Il signor Cook non vede i colori.»

«E non può tollerare la luce del sole.»

Bliss fissò un punto al di sopra della spalla di Jack, come se stesse cercando di ricordare qualcosa. «Stiamo parlando di un uomo dai capelli rossi piuttosto lunghi?»

«Esattamente.»

«Sì, l'ho visto in giro, ricordo gli occhiali da sole. Così lavora in sala autopsie?» osservò, soffregandosi il mento con aria pensierosa e sorridendo a Jack. «Si ha a che fare con tante persone in questo lavoro che è difficile collegare a ogni volto un nome.» Dal fondo del dossier prese due moduli fotocopiati. «Qui c'è il verbale medico che conferma l'acromatopsia, e classifica il paziente come parzialmente affetto da disturbi visivi.» Quindi, guardando Jack, commentò: «Sembra che questo la preoccupi».

Jack si passò una mano sul viso, facendo trasparire la stanchezza. «No, no, non sono preoccupato… Solo che questo rende tutto più difficile», rispose, tendendo la mano a Bliss. «Grazie per l'aiuto, signor Bliss, e ci scusi per il disturbo.»

«Nessun disturbo, nessun disturbo», replicò lui, scattando in piedi e stringendo la mano di Jack. Aveva una mano calda, leggermente sudata al tatto. «Se ha altre domande, non esiti a farle. Se non ci sarò io, l'aiuterà Wendy: domani ho preso un giorno di ferie.»

«Grazie», rispose Jack con tono stanco. «È un giorno speciale?»

«Proprio così.» Bliss si sedette dietro la scrivania e allungò le braccia, unendo le mani e facendo scrocchiare le nocche. «È il mio compleanno.»

44

Quando il detective Caffery se ne fu andato, Malcolm Bliss si appoggiò allo schienale della sedia e rimase a lungo a fissare la porta. Sebbene fosse nuovamente fiducioso ed euforico, e fervesse per l'eccitazione, provava talvolta una certa ansia. E la visita di Jack non aveva migliorato le cose. E fu sulla scorta di quell'ansia che maledisse Harteveld per averlo cacciato in quella situazione.

«Ma a chi altro ti saresti rivolto, trovandoti con una fottuta ragazza morta tra le braccia?»

«Sei l'unica persona che mi può aiutare. È accaduto l'inimmaginabile.»

Erano le prime ore di un giorno di dicembre quando Harteveld aveva parcheggiato la sua Cobra sotto la tettoia, mostrando poi a Bliss la crisalide umana chiusa nel bagagliaio. Una ragazza grassa. «È scozzese. Credo sia di Glasgow.»

Era avvolta dalla testa ai piedi nella pellicola trasparente.

«È l'unica cosa che ho trovato, non voglio lasciare tracce nella macchina.»

«Te la sei scopata

Il denaro era stato consegnato. Poi la donna-crisalide era stata posta sul suo letto. Harteveld aveva afferrato una mano di Bliss, che si era ritratto a quel tocco ripugnante.

«Sei l'unico che può capire.» Harteveld era nervoso. «So che puoi gestire la cosa. Io, francamente, ho paura di non riuscire a farlo.»

Dopo che Harteveld se n'era andato, Bliss aveva chiuso la porta e si era messo a camminare avanti e indietro per la casa, mordicchiandosi l'interno della guancia tra un sorso e l'altro di cherry brandy. Passò così un po' di tempo a parlare fra sé, pronunciando lunghe frasi senza senso.

Lei era in camera da letto, prona, là dove Harteveld l'aveva scaricata. Aveva le mani incrociate sul ventre e la faccia imbrattata, compressa dalla pellicola trasparente. Gli piaceva il cellophane, e gli piaceva il modo con cui l'avvolgeva. Non sarebbe stata in grado di muoversi neanche se fosse stata ancora viva. Umettandosi le labbra, con un velo di sudore sulla fronte, Bliss attraversò la stanza e cominciò a svolgerla. Dapprima le liberò le braccia, poi la voltò per ispezionarla.

Aveva un tatuaggio sull'avambraccio. La parte anteriore del corpo era solo leggermente illividita; gran parte del sangue era defluito nella parte posteriore delle cosce, delle natiche e delle spalle. Di certo Harteveld l'aveva tenuta a lungo supina.

«Bene, ora mettiamo le gambe in alto, tettona di una vacca.» Con un sorriso, aveva affondato un dito nella coscia butterata.

In quell'istante, un guizzo d'ilarità gli aveva strappato un sorriso. Tutto quello gli ricordava l'UMDS, il momento in cui, con un brivido di piacere, si era reso conto che, giacché un morto non può opporsi, lo si può colpire, pungolare, insultare, fottere… Poteva venirle in faccia, in bocca, sui capelli: lei non poteva ribellarsi. Una bambolona dalla bocca umida, tutta per lui.

Poi, con una stretta al cuore, gli era venuto in mente che la ragazza era già stata usata: Harteveld le aveva sicuramente già fatto tutte quelle cose. E poteva aver lasciato le sue tracce. Era corso in bagno a prendere un recipiente, un sapone Wright's Coal Tar e un asciugamano. Dalla fotografia, fotocopiata un centinaio di volte e appesa al muro, Joni gli sorrideva.

Aveva riempito d'acqua il catino di smalto scheggiato, sciacquandovi energicamente l'asciugamano. Nella gabbia, i diamantini si erano messi a svolazzare spaventati, cozzando l'uno contro l'altro e scuotendo le piume. Joni lo fissava, e lui si era grattato il collo, imbarazzato per tutti quegli occhi che lo guardavano…

E poi, lentamente, l'idea di che cosa fare del corpo aveva preso forma. Tornato nella stanza, si era messo a lavare la ragazza, elaborando mentalmente il piano. Le aveva aperto cautamente le gambe e vi aveva fatto entrare un po' d'acqua, lasciandola poi gocciolare su un asciugamano precedentemente infilato sotto il sedere. Aveva ripetuto più volte quel rituale, fino a che non si era sentito quasi certo di aver eliminato ogni traccia di Harteveld. Voleva che fosse pulita, rimessa a nuovo per lui.

Alla fine era ormai l'alba, e lui doveva essere in ospedale per le nove. Lola Velinor, il suo capo, teneva molto alla puntualità. In qualche modo, le avrebbe fatto pagare quel suo rigore. Non sapeva ancora come, ma lei l'avrebbe scontato. Sudando nonostante il gelo di dicembre, aveva messo il cadavere nel congelatore, prima infilando la testa e poi piegando le gambe, dopodiché si era recato al lavoro.

Negli anni trascorsi all'ufficio personale, aveva fatto in modo di ottenere l'accesso a ogni armadio, a ogni ufficio, a ogni postazione infermieristica. Conosceva perfettamente il St. Dunstan's e non ci aveva messo molto a trovare ciò che cercava: materiale da sutura, un paio di pinze emostatiche, un ago chirurgico e un bisturi. Poi, a Lewisham, aveva comprato una parrucca, alcuni cosmetici, varie spazzole e un paio di forbici Wilkinson ben affilate.

Tornato a casa, aveva indossato un camice da chirurgo. Poi aveva tolto la ragazza dal congelatore e l'aveva portata in bagno affinché si scongelasse, mentre lui effettuava i preparativi. Per le otto e mezzo la donna era pronta: distesa sul letto, ben truccata, con la parrucca; i tessuti e il grasso rimossi dalle mammelle erano stati dapprima posti in un contenitore ermetico e poi gettati nello scarico del water, insieme con acqua bollente e un preparato sgorgante. Quanto all'operazione, aveva visto la procedura su alcuni libri, in biblioteca, e si era convinto di aver fatto un buon lavoro. I punti blu non avevano migliorato l'aspetto dei seni, ma erano sempre meglio di quelle mammelle da vacca, enormi e carnose: gli ricordavano lo scempio che Joni aveva deliberatamente compiuto sul suo corpo, quel corpo che era quasi riuscito a possedere, quella notte in macchina.

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