«Sì…» Lui guardò intorno in cerca di qualcosa con cui pulire il pavimento, le scarpe e la gamba. «Certo che posso. È uno dei miei pezzi forti.»
«Oh.» Rebecca sospirò. Poi sorrise. «Allora potrebbe essere amore.»
Alle undici era pronto.
Joni giaceva immobile nella stanza. Lui entrò – indossando il camice da chirurgo, la mascherina e la cuffia – e pensò che fosse ancora incosciente, ma poi si avvicinò e vide che, con l'occhio sano, lei lo stava fissando. Solo quando le mostrò il bisturi Joni reagì, e prese a dimenarsi sul letto, inarcando la schiena, agitando la testa ed emettendo versi soffocati.
«Calmati», disse lui, posandole una mano sulla spalla e schiacciandola contro il materasso. «Rilassati.»
Joni allontanò di scatto la testa e ringhiò da dietro il bavaglio.
«Puttana», sussurrò Bliss, mettendosi a cavalcioni sopra di lei. «Sta' zitta, ora. Puttana. Sono stato buono con te, ma tu mi provochi.» La spinse nuovamente contro il letto e Joni rimase immobile sotto le sue mani, continuando a osservarlo con l'occhio buono.
«Bene.» Si riappoggiò sui talloni e si asciugò il sudore sul volto. «Ascoltami. Non ho intenzione di ucciderti.» Si chinò su di lei e, ignorando il brivido che attraversò il corpo della ragazza, appoggiò delicatamente il viso contro il suo collo. «Voglio solo che sia come quella notte. Mi capisci?»
Dalla lacrima che dalla guancia di lei scorse alla sua fronte, Bliss comprese che Joni aveva accettato. E infatti smise di dimenarsi. Tuttavia, per maggior sicurezza, le legò il torace al letto, incrociando il nastro adesivo sui fianchi: dalla donna di Greenwich aveva imparato che il corpo umano, anche se incosciente, risponde in modo violento al dolore.
Prese una matita emostatica. «Non ci vorrà molto.»
Con la lingua fra i denti, tracciò con cura un segno poco sopra la vecchia cicatrice, nel punto in cui avrebbe praticato l'incisione. Non appena lo vide sputare sul bisturi e pulirlo sul camice, la ragazza prese ad ansimare, disperata.
«Non c'è molto da tagliare qui sotto, Joni», borbottò lui con una smorfia. La carne morbida cedette sotto la lama; si tese, poi si rilasciò e si spaccò, come un frutto. Dal bavaglio di nastro isolante provenne un lamento smorzato. Il bacino della ragazza si ritrasse disperatamente contro il materasso. Tra le lentiggini sparse sul ventre vi era solo qualche schizzo di sangue, niente di più. Bliss si chinò per guardare dentro la nuova ferita. E lì, oltre il grasso giallo sanguinante, scorse le protesi che sembravano guardarlo dal loro rivestimento di carne.
«Sei fortunata», mormorò allora, dando una pacca sul ginocchio di Joni. «Sono state applicate sopra il muscolo. Porta pazienza solo un momento…» Si morse il labbro e lentamente inserì le dita nella ferita, tastando all'interno del seno.
L'occhio sano di Joni si spalancò mentre l'indice dell'uomo raggiungeva la parte posteriore del sacchetto di silicone. La sua testa si agitava convulsamente.
«Tranquilla, ora. Non divincolarti.» Il pollice e l'indice si chiusero con presa sicura sulla protesi e cominciarono a tirare. «Buona… Buona…» I piedi di Joni s'accavallarono, i muscoli delle cosce si tesero come piccoli tamburi, mentre la protesi scivolava fuori insieme con un fiotto di liquido.
Bliss la depose delicatamente sullo stomaco di lei.
«Ecco fatto. Facile, vero?» Si pulì le mani nel camice. «Dunque… vediamo. Ne abbiamo ancora una…»
Improvvisamente, senza preavviso, l'estate voltò le spalle all'Inghilterra e s'insediò compiaciuta sulla Spagna. Su Londra era tornata la pioggia. Quando Jack si svegliò, con Rebecca addormentata al suo fianco, percepì il cambiamento nell'aria, avvertì l'umidità sulla sua pelle. Rimase sdraiato per un momento, mentre il cuore gli batteva rapidamente, mentre le sensazioni si rincorrevano, tentando di capire che cosa lo avesse svegliato. Qualcosa nell'appartamento? Il ritorno di Joni? O solo un sogno? Ascoltò il silenzio finché il cuore non riprese a battere normalmente. Accanto a lui, Rebecca, il braccio destro disteso oltre il bordo del letto, quello sinistro piegato, con la mano che toccava lievemente la spalla. Sembrava in posa. Aveva il viso rivolto dall'altra parte. Jack si appoggiò sui gomiti per guardarla meglio. Era immobile. Immobile e…
Jack, smettila!
Per poco non scoppiò a ridere. Per un momento si era immaginato che fosse morta. Ma la sua gabbia toracica si sollevava e si abbassava e, quando avvicinò il volto al seno, sentì il sibilo rassicurante, quasi impercettibile, dell'aria nei polmoni, il frullo d'ali del suo cuore.
Un uccellino morente.
Si mise bruscamente a sedere, poi si alzò dal letto, andò in cucina e passò la faccia sotto l'acqua del rubinetto. Non voleva pensare a Birdman, a ciò che aveva fatto. Non mentre Rebecca dormiva accanto a lui.
Si sollevò, grondante d'acqua. L'immagine stava svanendo. Joni non era tornata: la notte precedente, prima di portare a letto Rebecca, aveva chiuso il catenaccio della porta d'ingresso e la ragazza avrebbe dovuto svegliarlo per entrare nell'appartamento. Mise il bollitore sul fuoco, si versò un bicchiere d'acqua e lo bevve rapidamente, fissando le fotografie sulla mensola sopra il frigorifero.
Alcune raffiguravano Rebecca: vestita con la tuta da lavoro sporca di colore, il pennello in mano, oppure stesa su un divano malconcio, gli occhi annebbiati, la mano protesa verso l'obiettivo in segno di protesta. Un'altra era stata scattata su una spiaggia di ciottoli: Rebecca in pantaloncini corti, la lingua fuori, gli occhi incrociati sotto un cappello floscio di misura troppo grande.
Appoggiò il bicchiere sul ripiano e prese un'istantanea di Joni. Lì era più carina di quanto lui non ricordasse, probabilmente perché non era fatta. Aveva gli occhi vispi, fissi sull'obiettivo, una sigaretta in mano, la bocca aperta e il dito puntato verso il fotografo, come se stesse tentando di spiegare qualcosa d'importante. I capelli ben tagliati le arrivavano alle spalle, e una frangetta le sfiorava le sopracciglia.
Jack portò la foto al tavolo e si sedette, appoggiando i gomiti. Joni lo guardava, cercando di spiegargli qualcosa. Jack le passò il dito sulla frangia.
Le cicatrici sulla testa delle vittime formavano un cerchio perfetto, dalla nuca alla fronte. I capelli biondi di Kayleigh Hatch e di Susan Lister erano stati tagliati a formare una frangia. Jack si passò la mano sulla fronte. I segni sulle vittime erano più bassi rispetto all'attaccatura dei capelli. Una parrucca non si portava certo in quel modo, non così in basso.
A meno che…
A meno che non avesse una frangia. Come Joni.
Balzò in piedi, il cuore in tumulto.
Non la Joni di adesso, ma quella di allora, prima che si tagliasse i capelli. Prima, naturalmente, prima delle protesi. È la vecchia Joni quella che vuole.
«Becky?» sussurrò, baciandola sul collo. «Becky. Svegliati.»
Rebecca si stiracchiò. Jack. Pensò alla sera precedente: nell'atrio e dopo, nel suo letto, quando aveva mantenuto la promessa, alle cose che le aveva fatto. Con aria assonnata, allungò un braccio fuori del lenzuolo, alla ricerca della sua erezione. Ma, quando si rese conto che indossava i pantaloni e si stava abbottonando la camicia, aprì gli occhi. «Te ne vai?»
«Devo.»
«Che cos'è successo?»
«Joni non è rientrata. Sai dove può essere?»
«Non è a casa?» Rebecca si girò sul fianco, sfregandosi gli occhi. «Oh, non lo so… Qualche volta lo fa.»
Lui le scostò la frangia dalla fronte e la baciò sulla guancia. I suoi capelli profumavano di shampoo per bambini. «Rebecca, posso chiederti una cosa di lei? È importante.»
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