Cominciarono inondandolo di dettagli sulle loro ricerche notturne. Paul, dopo aver ordinato un caffè, tagliò corto:
«Okay ragazzi, veniamo ai fatti.»
Si scambiarono uno sguardo complice, poi Naubrel aprì uno spesso dossier pieno di fotocopie:
«Quella dei Lupi grigi è innanzi tutto una storia politica. Da quanto abbiamo capito, negli anni Sessanta le idee di sinistra hanno preso piede in Turchia proprio come in Francia. Per reazione, l’estrema destra è salita alle stelle. Un uomo di nome Alpaslan Türkes, un colonnello che aveva trafficato con i nazisti, ha formato un partito: il Partito d’azione nazionalista. Lui e le sue truppe si sono presentati come un baluardo di fronte alla minaccia rossa.»
La parola passò a Matkowska:
«Nella scia di questo gruppo ufficiale, sono nati dei centri di formazione ideologica destinati ai giovani. Da prima nelle università, poi anche nelle campagne. I ragazzi che vi aderivano si erano scelti il nome di “Idealisti” o anche di “Lupi grigi”». Controllò i suoi appunti: «“Bozkurt”, in turco».
Quelle informazioni si aggiungevano a quelle di Schiffer.
«Negli anni Settanta», continuò Naubrel, «il conflitto tra comunisti e fascisti è diventato durissimo. I Lupi grigi hanno preso le armi. In alcune regioni dell’Anatolia sono stati aperti dei campi di addestramento. Lì hanno indottrinato i giovani Idealisti, li hanno formati agli sport di combattimento e li hanno iniziati all’uso delle armi. Dei contadini analfabeti si sono trasformati in assassini armati, addestrati e fanatici.»
Matkowska sfogliò un nuovo plico di fotocopie:
«A partire dal ’77, i Lupi grigi sono passati all’azione: attentati dinamitardi, mitragliamento di luoghi pubblici, uccisione di note personalità… I comunisti hanno replicato. È iniziata una vera guerra civile. Alla fine degli anni Settanta, ogni giorno in Turchia venivano uccise da quindici a venti persone. Puro e semplice terrore.»
Paul intervenne:
«E il governo? La polizia? L’esercito?»
Naubrel sorrise:
«Appunto. I militari hanno lasciato che la situazione precipitasse per poter intervenire più facilmente. Nel 1980 organizzano un colpo di stato. Pulito, senza sbavature. I terroristi delle due parti vengono arrestati. I Lupi grigi vivono questo come un tradimento: hanno lottato contro i comunisti ed ecco che il governo di destra li mette in galera… All’epoca, Türkes scrive: “Io sono in prigione, ma le mie idee sono al potere.” In realtà, i Lupi grigi vengono liberati quasi subito. A poco a poco Türkes riprende la sua attività politica. Seguendo la sua strada, altri Lupi grigi si rifanno una verginità. Diventano deputati, parlamentari. Ma rimangono gli altri: i killer, i contadini dei campi di addestramento, quelli che non hanno conosciuto altro che violenza e fanatismo.»
«Sì», intervenne Matkowska, «e quelli sono rimasti orfani. La destra è al potere e non ha più bisogno di loro. Türkes stesso volta loro le spalle, troppo occupato a conquistarsi una rispettabilità. Quando escono di galera cosa possono fare?»
Naubrel posò la tazza del caffè e rispose alla domanda; il loro duettare era perfetto:
«Diventano mercenari. Sono armati ed esperti. Lavorano per il miglior offerente, lo Stato o la mafia. Secondo i giornalisti turchi che abbiamo contattato, questo non è un segreto per nessuno: i Lupi grigi sono stati utilizzati dal MIT, il servizio segreto turco, per eliminare leader armeni e curdi. Hanno anche costituito delle milizie, degli squadroni della morte. Ma è soprattutto la mafia a utilizzarli. Recupero crediti, racket, servizio d’ordine… A metà degli anni Ottanta, si inseriscono nel traffico di droga che si sta sviluppando in Turchia. Talvolta si sostituiscono persino ai clan mafiosi e prendono il potere. In confronto ai criminali classici, loro hanno un vantaggio fondamentale: hanno conservato rapporti privilegiati con il potere, in particolare con la polizia. In questi ultimi anni, in Turchia sono scoppiati diversi scandali che hanno rivelato legami più stretti che mai tra mafia, Stato e nazionalismo.»
Paul rifletteva. Tutte quelle storie gli parevano vaghe e lontane. Lo stesso termine «mafia» sembrava voler dire cose molto diverse tra loro. Sempre quell’immagine di piovra, di complotto, di reti invisibili… Ma che cosa stava a indicare esattamente? Non c’era niente che lo avvicinasse agli assassini che stava cercando, né alla donna bersaglio. Non aveva un volto o un nome da mettere sotto i denti.
Come se avesse indovinato i suoi pensieri, Naubrel si lasciò sfuggire un sorriso carico di fierezza:
«E ora, largo alle immagini!»
Spostò le tazze e infilò le mani in una busta:
«In Internet abbiamo consultato gli archivi fotografici del “Milliyet”, il più importante giornale di Istanbul. Siamo riusciti a scovare questo.»
Paul prese la prima foto.
«Cos’è?»
«È il funerale di Alpaslan Türkes. Il “vecchio lupo” è morto nell’aprile del 1997. Aveva ottant’anni. Un vero evento nazionale.»
Paul non credeva ai propri occhi: quel funerale aveva richiamato migliaia di turchi. La didascalia, scritta anche in inglese, recitava: «Quattro chilometri di corteo funebre, sorvegliati da diecimila poliziotti.»
Era un quadro grave e magnifico. Nero come la folla che si accalcava intorno al carro funebre, davanti alla grande moschea di Ankara. Bianco come la neve che quel giorno cadeva in larghi fiocchi. Rosso come la bandiera turca che sventolava ovunque tra i «fedeli»…
Le foto seguenti mostravano le prime file del corteo. Riconobbe l’ex Primo ministro, Tansu Ciller e concluse che dovevano esserci molte altre personalità politiche. Notò anche la presenza di emissari venuti dagli Stati vicini, con i loro vestiti tradizionali dell’Asia centrale, con i berretti e le giacche bordate d’oro.
All’improvviso, a Paul venne un’altra idea. Anche i padrini della mafia turca dovevano aver partecipato a quel funerale… I capi delle famiglie di Istanbul e delle altre regioni dell’Anatolia dovevano essere venuti a rendere un ultimo omaggio al loro alleato politico. Forse tra loro c’era persino quello che tirava le fila del suo caso. L’uomo che aveva messo gli assassini alle calcagna di Sema Gokalp…
Passò in rivista le altre immagini, che rivelavano, tra la folla, dettagli singolari. Ad esempio, la maggior parte delle bandiere rosse non recavano l’emblema turco della mezzaluna, ma tre mezzelune disposte a triangolo. A esse facevano eco dei manifesti con l’effige di un lupo ululante sotto le tre lune.
Paul aveva l’impressione di vedere un esercito in marcia, dei guerrieri di pietra dai valori primitivi, dai simboli esoterici. Più che un semplice partito politico, i Lupi grigi formavano una sorta di setta, un clan misterioso dai riti ancestrali.
Sull’ultima foto vide un dettaglio che lo sorprese: i militanti, al passaggio del feretro, non alzavano il pugno chiuso, come gli era sembrato in un primo tempo. Facevano uno strano saluto con due dita alzate. Si concentrò su una donna in lacrime, sotto la neve, che effettuava quel gesto enigmatico.
Guardando meglio, si vedeva che alzava l’indice e il mignolo, mentre il medio e l’anulare si raggruppavano contro il pollice. A voce alta chiese:
«Cos’è questo gesto?»
«Non so», rispose Matkowska. «Fanno tutti così. Senza dubbio è un segno di riconoscimento. Mi sembrano tutti molto strani!»
Quel segno era una chiave. Due dita alzate, verso il cielo, come fossero due orecchie…
E a quel punto capì.
«Santo cielo», disse. «Non vedete cosa rappresenta?»
Paul mise la sua mano di profilo, puntata verso al vetrina:
«Guardate meglio.»
«Cazzo», disse Naubrel. «È un lupo. Un muso di lupo.»
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