I due uomini si abbracciarono con mille effusioni. L’ufficio, senza finestra e pieno di carte, era saturo di fumo. La moquette era costellata di bruciature di sigaretta. Gli oggetti dell’arredo sembravano tutti degli anni Settanta: armadi argentati, tavolini a tam-tam, lampade sospese simili a sculture mobili, abatjour coniche.
Paul scorse in un angolo del materiale per la stampa. Una fotocopiatrice, due rilegatrici, una taglierina: il perfetto armamentario del militante politico.
La risata grassa di Marius copriva il battere lontano della musica:
«Da quanto tempo non ci vediamo?»
«Alla mia età, evito di contarlo.»
«Ci sei mancato, fratello. Ci sei mancato veramente.»
Il turco parlava un francese senza accento. Si abbracciarono di nuovo: la commedia era al culmine.
«E i bambini?» Fece Schiffer con tono beffardo.
«Crescono troppo in fretta. Li tengo sempre d’occhio. Ho paura di perdermi qualcosa!»
«E il mio piccolo Alì?»
Marius diresse verso lo stomaco di Schiffer un gancio che poi fermò di botto prima di toccarlo.
«È il più veloce!»
All’improvviso sembrò accorgersi della presenza di Paul. I suoi occhi diventarono di ghiaccio, mentre le labbra continuavano a sorridere.
«Riprendi servizio?» chiese al Cifra.
«Semplici consulenze. Ti presento Paul Nerteaux, capitano della polizia giudiziaria.»
Paul esitò, tese la mano, ma nessuno gliela strinse. Contemplò le sua dita sospese, in quella stanza troppo illuminata, piena di sorrisi fasulli e di odore di cicche, poi, per darsi un contegno, azzardò un’occhiata alla pila di volantini alla sua destra.
«Ancora le tue prose da bolscevico?» domandò Schiffer.
«Gli ideali sono quelli che ci mantengono in vita.»
Il poliziotto prese un foglio e tradusse a voce alta:
«Quando i lavoratori controlleranno gli strumenti di produzione.»
Scoppiò a ridere.
«Credo che tu abbia passato l’età per questo genere di cretinate.»
«Schiffer, amico mio, queste cretinate ci sopravvivranno.»
«A condizione che qualcuno continui a leggerle.»
Marius aveva ritrovato il suo sorriso, labbra e occhi insieme:
«Amici, cosa ne dite di un tè?»
Senza aspettare la risposta, prese un grosso thermos e riempì tre tazze di terracotta. Si sentirono applausi che fecero tremare i muri.
«Non sei stufo di questi zulù?»
Marius si sedette di nuovo dietro la scrivania, spingendo contro il muro la sua poltroncina con le rotelle. Poi portò dolcemente la tazza alle labbra:
«La musica è la culla della pace, fratello mio. Persino quella. Al paese, i giovani ascoltano gli stessi gruppi dei ragazzi di qui. Il rock è quello che riunirà le generazioni future. Quello che farà saltare le nostre ultime differenze.»
Schiffer si appoggiò alla taglierina e alzò la tazza:
«All’hard rock!»
Marius fece uno strano movimento, ondeggiando sotto la maglia ed esprimendo divertimento e stanchezza allo stesso tempo.
«Schiffer, non hai trascinato fino a qui le tue chiappe, e per giunta accompagnato da questo ragazzo, per parlarmi di musica o dei nostri vecchi ideali.»
Il Cifra si sedette su un angolo della scrivania e squadrò per un attimo il turco, poi tirò fuori dalla busta le macabre fotografie. I volti straziati si sovrapposero alle bozze di manifesti. Marek Cesiuz si schiacciò contro lo schienale della poltrona.
«Fratello mio, cosa mi tiri fuori?»
«Tre donne. Tre corpi scoperti nel tuo quartiere. Tra novembre e oggi. Il mio collega crede che si tratti di operaie clandestine. Ho pensato che tu potresti dirci qualcosa di più.»
Il tono era cambiato. Schiffer sembrava aver cucito tra loro le sillabe col filo spinato.
«Non ho sentito niente in proposito», negò Marius.
Schiffer fece un sorriso carico di sottintesi:
«Da quando è avvenuto il primo omicidio, credo che il quartiere non parli d’altro. Dicci quello che sai, così guadagniamo tempo.»
Il trafficante afferrò meccanicamente un pacchetto di Karo, le sigarette senza filtro locali, e ne prese una.
«Fratello, non so di cosa parli.»
Schiffer si rimise in piedi e prese un tono da imbonitore da fiera:
«Marek Cesiuz. Imperatore del falso e della menzogna. Re dei traffici e degli intrallazzi…»
Scoppiò in una risata fragorosa come un ruggito, poi lanciò al suo interlocutore uno sguardo torvo:
«Sputa il rospo, figlio di puttana, prima che mi arrabbi.»
Il volto del turco divenne duro come vetro. Perfettamente diritto nella sua poltrona, accese la sigaretta:
«Schiffer, tu non hai niente. Non un mandato, non un testimone, non un indizio. Sei solo venuto a chiedermi un consiglio che io non posso darti. Spiacente.»
Con un lungo sbuffo di fumo grigio, indicò la porta.
«Ora è meglio che tu e il tuo amico ve ne andiate e che il malinteso si fermi qui.»
Schiffer piantò bene i piedi nella moquette bruciacchiata, di fronte alla scrivania:
«Qui c’è un solo malinteso e sei tu. Tutto è falso nel tuo cazzo di ufficio. Falsi i tuoi volantini pieni di cretinate. Tu te ne sbatti le palle dei rossi che marciscono in galera nel tuo paese.»
«Tu…»
«Falsa la tua passione per la musica. Un musulmano come te pensa che il rock sia un’emanazione di Satana. Se potessi dare fuoco alla tua stessa sala non ti faresti problemi.»
Marius fece per alzarsi, ma Schiffer lo spinse giù.
«Falsi i tuoi mobili pieni di carte, le tue arie da oberato dal lavoro. Tutto questo serve solo a nascondere i tuoi traffici da negriero!»
Si avvicinò alla taglierina e ne accarezzò la lama.
«E sappiamo bene, tu e io, che questo arnese ti serve a separare gli acidi che ti arrivano sotto forma di nastro impregnato di LSD.»
Aprì le braccia in un gesto da commedia musicale e prese a rivolgersi al soffitto lurido:
«Oh fratello, parlami di quelle tre donne prima che ti rivolti l’ufficio e che trovi qualcosa per mandarti alla prigione di Fleury per un po’ di anni!»
Marek Cesiuz continuava a lanciare occhiate verso la porta. Il Cifra si piazzò dietro di lui e si accostò al suo orecchio:
«Tre donne, Marius», sussurrò massaggiandogli le spalle. «In meno di quattro mesi. Torturate, sfigurate, abbandonate sul marciapiede. Sei tu che le hai fatte entrare in Francia. Tu mi passi i loro dossier e noi smammiamo.»
Il silenzio era riempito dalla pulsazione lontana del concerto. Si sarebbe potuto credere che fosse il cuore del turco che batteva nel mezzo della sua carcassa.
«Non li ho più», mormorò.
«Perché?»
«Li ho distrutti. Alla morte di ogni ragazza ho distrutto la scheda. Niente tracce, niente noie.»
Paul sentiva crescere la paura, ma apprezzò le rivelazioni. Per la prima volta, l’oggetto della sua inchiesta diventava reale. Le tre vittime esistevano in quanto donne: stavano nascendo sotto i suoi occhi. I Corpus erano proprio delle clandestine.
Schiffer si piazzò di nuovo davanti alla scrivania.
«Sorveglia la porta», disse a Paul senza guardarlo.
«Co… cosa?»
«La porta.»
Prima che Paul potesse reagire, Schiffer saltò addosso a Marius e gli spaccò la faccia contro lo spigolo del tavolo. L’osso del naso saltò come una noce stretta in una pinza. Lo sbirro gli alzò la testa dalla pozza di sangue in cui era e l’appiccicò al muro:
«Le schede, figlio di puttana.»
Paul si precipitò su di lui, ma Schiffer gli diede uno spintone. Paul portò la mano alla pistola, ma il foro nero di una Manhurin 44 Magnum lo pietrificò. In un attimo il Cifra aveva lasciato il turco e sfoderato l’arma:
«Sorveglia la porta.»
Paul rimase gelato. Da dove usciva quel ferro? Ma Marius si era già spostato con la sedia girevole e stava aprendo un cassetto,
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