Jean-Christophe Grangé - L'impero dei lupi

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Anna Heymes, moglie di un alto funzionario parigino, dopo un intervento di chirurgia estetica soffre di crisi di amnesia e di terribili allucinazioni. Alla ricerca della sua identità e del suo vero volto, incontra Paul, il giovane commissario che sta indagando sull’atroce omicidio di tre ragazze turche impiegate in un laboratorio clandestino. Paul ha chiesto l’aiuto di un poliziotto in pensione dal passato turbolento, Jean-Louis Schiffer, creando così una coppia eccentrica ma tenacissima.
Inizia così una vera e propria discesa agli inferi: un viaggio nei labirinti della mente dei protagonisti, ma anche in un mondo popolato da feroci assassini e trafficanti di immigrati
, oltre che da bande terroriste che vanno dai guerriglieri no-global ai Lupi grigi turchi.

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«Andrà tutto bene, ora.»

Lei annuisce, fissando la torcia elettrica che lui ha posato sul comodino, vicino all’apparecchio fotografico. Balbetta:

«No, la biopsia no. Niente sonda. Non voglio essere operata.»

«In un primo tempo, Eric effettuerà solo dei nuovi esami. Farà il possibile per evitare il prelievo. Te lo prometto.»

La bacia.

«Andrà tutto bene.»

Le propone un sonnifero.

Lei rifiuta.

«Per favore», insiste lui.

Lei accetta. Lui la infila tra le lenzuola poi si mette al suo fianco, abbracciandola teneramente. Non dice una parola sulla sua inquietudine. Non una riflessione sul proprio sconvolgimento di fronte alla follia definitiva di sua moglie.

Cosa pensa veramente?

Non è forse sollevato di sbarazzarsene?

Ben presto, lei sente il suo respiro, vinto dalla regolarità del sonno. Come può riaddormentarsi in un momento simile? Ma forse sono passate ore… Anna ha perso la nozione del tempo. Con la guancia appoggiata contro il petto di suo marito, ascolta il battito del suo cuore. Le pulsazioni calme di chi non è pazzo, di chi non ha paura.

Sente l’effetto del calmante invaderla a poco a poco.

Un fiore di sonno che sta schiudendosi nel suo corpo…

Ora lei ha la sensazione che il letto lasci la terraferma e vada alla deriva. Galleggia lentamente nelle tenebre. Non c’è nessuna resistenza da opporre, niente da tentare per lottare contro quella corrente. Bisogna solamente lasciarsi portare dall’onda che va…

Si stringe contro Laurent e pensa al platano lucente di pioggia davanti alla finestra del salone. I suoi rami nudi che attendono di riempirsi di germogli e di foglie. Una primavera che si annuncia e che lei non vedrà.

Ha appena vissuto la sua ultima stagione tra gli esseri dotati di ragione.

20.

«Anna? Cosa stai facendo? Arriveremo in ritardo!»

Sotto il getto bollente della doccia, Anna percepiva appena la voce di Laurent. Fissava le gocce che esplodevano ai suoi piedi, assaporando le linee che crepitavano sulla sua nuca e ponendo di tanto in tanto il viso sotto le trecce liquide. Il suo corpo era infiacchito, illanguidito, vinto dalla fluidità dell’acqua. Proprio come il suo spirito, perfettamente docile.

Grazie al sonnifero, era riuscita a dormire qualche ora. Quel mattino si sentiva liscia, neutra, indifferente a ciò che poteva capitarle. La sua disperazione si confondeva con una strana calma. Una sorta di pace lontana.

«Anna? Sbrigati, insomma!»

«Ecco! Arrivo.»

Uscì dalla cabina della doccia e saltò sul tappetino davanti al lavabo. Le otto e mezza: Laurent, vestito, profumato, scalpitava dietro alla porta del bagno. Si vestì rapidamente, indossò l’intimo e poi un vestito nero di lana. Un tubino, firmato Kenzo, che evocava un lutto stilizzato e futurista.

Sembrava fatto apposta per quell’occasione.

Prese una spazzola e si pettinò. Attraverso i vapori della doccia, nello specchio non vedeva che un riflesso offuscato: meglio così.

Nel giro di qualche giorno, di qualche settimana, la sua realtà quotidiana sarebbe stata esattamente come quel vetro opaco. Non avrebbe più riconosciuto nulla né veduto nulla, sarebbe diventata estranea a ciò che la circondava. Non si sarebbe nemmeno più preoccupata della propria demenza e l’avrebbe lasciata distruggere le sue ultime particelle di ragione.

«Anna?»

«Eccomi!»

Sorrise della fretta di Laurent. Paura di arrivare in ritardo in ufficio o ansia di liberarsi della moglie pazza?

Intanto, il vapore stava svanendo dallo specchio. Vide apparire il suo viso, arrossato, gonfiato dall’acqua calda. Mentalmente diede l’addio ad Anna Heymes. E anche a Clothilde, alla Maison du Chocolat, a Mathilde Wilcrau, la psichiatra dalle labbra color papavero…

Si immaginava già all’istituto Henri-Becquerel. Una camera bianca, chiusa, senza contatti con la realtà. Ecco quello che le ci voleva. Era quasi impaziente di mettersi in mani estranee, di abbandonarsi agli infermieri.

Cominciava persino ad adattarsi all’idea di una biopsia, di una sonda che sarebbe scesa lentamente nel suo cervello e avrebbe trovato forse l’origine del suo male. In realtà, se ne fregava di guarire. Voleva semplicemente sparire, evaporare, non disturbare più gli altri…

Anna si stava ancora pettinando, quando tutto si fermò.

Nello specchio, sotto la frangia, aveva notato tre cicatrici verticali. Non poteva crederci. Con la mano sinistra cancellò le ultime tracce di vapore e, con il fiato mozzato, si avvicinò. I segni erano minimi, ma c’erano, allineati sulla sua fronte.

Le cicatrici della chirurgia estetica.

Quelle che aveva cercato invano la notte precedente.

Si morse il pugno per non urlare e si piegò in due, sentendo il ventre sollevarsi in un getto di lava.

«Anna! Ma cosa stai facendo?»

I richiami di Laurent sembravano provenire da un altro mondo.

Scossa dal tremito, Anna si rialzò e scrutò di nuovo il proprio riflesso. Girò la testa e, con un dito, abbassò l’orecchio destro. Trovò la linea biancastra che percorreva la cresta del lobo. Dietro l’altro orecchio scopri lo stesso identico solco.

Indietreggiò, con le due mani appoggiate al lavabo, cercando di dominare il tremore. Poi sollevò il mento, alla ricerca di un altro indizio, la minuscola traccia che avrebbe rivelato un’operazione di liposuzione. Non ebbe difficoltà a trovarla.

In lei si aprì una vertigine.

Una caduta libera fino al fondo del proprio ventre.

Abbassò la testa, diradò i capelli cercando l’ultimo segno: la sutura a forma di S che tradiva un prelievo osseo. Il serpente rosastro la attendeva sul cuoio capelluto, come un rettile intimo, immondo.

Si appoggiò più saldamente per non crollare, ora che la verità stava esplodendo nel suo spirito. Non poteva più levare lo sguardo da sé stessa; con la testa bassa, con le ciocche grondanti, misurava l’abisso nel quale era appena caduta.

La sola persona che aveva cambiato faccia era lei.

22.

«Anna? Santo cielo, rispondimi!»

La voce di Laurent risuonava nel bagno, planava attraverso gli ultimi vapori, raggiungendo l’aria umida dell’esterno attraverso la finestrella aperta. I suoi richiami risuonavano nel cortile del palazzo, inseguendo Anna fin sul cornicione sul quale era appena salita.

«Anna? Aprimi!»

Lei si spostava lateralmente, la schiena al muro, in equilibrio sulla cornice. Le sue scapole sentivano il freddo della pietra; sul suo viso scorreva la pioggia e il vento le appiccicava sugli occhi i capelli gocciolanti.

Evitava di guardare il cortile, venti metri sotto i suoi piedi, e, mantenendo lo sguardo dritto davanti a sé, si concentrava sul muro dell’edificio di fronte.

«APRIMI!»

Sentì il rumore della porta del bagno che cedeva. Un secondo dopo, Laurent era affacciato alla finestra attraverso la quale era fuggita; il suo viso era alterato, gli occhi iniettati di sangue.

In quello stesso momento lei raggiunse il parapetto di un balcone. Afferrò il bordo di pietra, lo scavalcò con un solo movimento e ricadde dall’altra parte, in ginocchio, mentre sul kimono nero che aveva indossato sopra il vestito si apriva uno strappo.

«ANNA! TORNA INDIETRO!»

Attraverso le colonne della balaustra, scorse suo marito che la cercava con gli occhi. Si alzò, attraversò di corsa la terrazza e girò intorno alla recinzione successiva per attaccare una nuova cornice.

A partire da quel momento tutto divenne folle.

Tra le mani di Laurent si materializzò una ricetrasmittente. Con voce piena di panico urlò:

«A tutte le unità: è fuggita. Ripeto: se la sta filando!»

Qualche secondo più tardi, nel cortile comparvero due uomini. Erano in borghese, ma portavano il bracciale rosso della polizia. Puntarono i loro fucili da guerra nella sua direzione.

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