Jean-Christophe Grangé - L'impero dei lupi

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Anna Heymes, moglie di un alto funzionario parigino, dopo un intervento di chirurgia estetica soffre di crisi di amnesia e di terribili allucinazioni. Alla ricerca della sua identità e del suo vero volto, incontra Paul, il giovane commissario che sta indagando sull’atroce omicidio di tre ragazze turche impiegate in un laboratorio clandestino. Paul ha chiesto l’aiuto di un poliziotto in pensione dal passato turbolento, Jean-Louis Schiffer, creando così una coppia eccentrica ma tenacissima.
Inizia così una vera e propria discesa agli inferi: un viaggio nei labirinti della mente dei protagonisti, ma anche in un mondo popolato da feroci assassini e trafficanti di immigrati
, oltre che da bande terroriste che vanno dai guerriglieri no-global ai Lupi grigi turchi.

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Un porco, un marcio.

Ecco la schifezza che Paul si apprestava a incontrare.

La bretella di uscita verso Amiens lo richiamò alla realtà. Lasciò l’autostrada e prese la statale. Fatto qualche chilometro vide apparire il cartello LONGÈRES.

Paul prese la dipartimentale e raggiunse in fretta il paese. Superò il centro senza rallentare, poi scorse una nuova strada che scendeva al fondo di una valle umida. Passando accanto all’erba alta, brillante di pioggia, ebbe una sorta di illuminazione: di colpo capiva perché, sulla strada che lo portava da Schiffer, aveva pensato a suo padre.

A suo modo, il Cifra era il padre di tutti gli sbirri. Mezzo eroe e mezzo demonio, egli incarnava il meglio e il peggio, il rigore e la corruzione, il Bene e il Male. Una figura fondatrice, un universo che Paul, suo malgrado, ammirava, proprio come, dal fondo del proprio odio, aveva ammirato il padre violento e alcolizzato.

8.

Quando Paul scorse l’edificio che cercava, ci mancò poco che scoppiasse a ridere. Con il suo muro di cinta e i suoi due campanili a forma di torrette, la casa di riposo dei funzionari di polizia di Longères sembrava ispirarsi a una prigione.

Dall’altra parte del muro, l’analogia si accentuava ancora. Il cortile era chiuso tra i tre corpi principali disposti a ferro di cavallo, attraversati da gallerie dalle arcate scure. Alcuni uomini che sfidavano la pioggia per giocare a bocce indossavano tute che li facevano assomigliare ai detenuti di qualsiasi prigione del mondo. Non lontano di là, tre agenti in uniforme, che sicuramente facevano visita a un parente, potevano recitare alla perfezione la parte dei secondini.

Paul assaporava l’ironia della situazione. L’ospizio di Longères, finanziato dal fondo pensionistico e assicurativo della polizia, era la più importante casa di riposo per poliziotti. Accoglieva agenti e ufficiali, a condizione che non soffrissero «di alcuna malattia psicosomatica dovuta all’etilismo». Ora scopriva che quella celebre oasi di pace, con i suoi spazi cintati e la sua popolazione tutta maschile, era praticamente un carcere come tanti altri. Pensò: «Ritorno al mittente.»

Paul raggiunse l’entrata dell’edificio principale e spinse una porta a vetri. Un atrio quadrato, molto scuro, si apriva su una scala che prendeva luce da una finestrella di vetro smerigliato. Regnava un calore da serra, soffocante, nel quale stagnavano sentori di medicinale e di urina.

Si diresse verso una porta a due battenti, alla sua sinistra, da dove usciva un forte odore di cibo. Era mezzogiorno. I pensionanti dovevano essere a tavola.

Vide un refettorio dalle pareti gialle e dal pavimento ricoperto di linoleum rosso sangue. C’erano lunghi tavoli in acciaio, allineati; i piatti e le posate erano disposti con cura; i pentoloni di minestra fumavano. Tutto era pronto, ma la sala era deserta.

Dalla stanza vicina veniva del rumore. Paul si diresse verso la fonte del baccano, sentendo le suole che sprofondavano nel pavimento coagulato. Ogni dettaglio contribuiva all’intorpidimento generale; ci si sentiva invecchiare a ogni passo.

Superò la soglia. Una trentina di pensionati, in piedi, con indosso informi tute da ginnastica, gli voltavano la schiena, concentrati su un televisore. «Petit Bonheur ha appena sorpassato Bartók…» Sullo schermo si vedevano cavalli al galoppo.

Paul si avvicinò e scorse, in un’altra stanza alla sua sinistra, un vecchio seduto da solo. Istintivamente tese il collo per osservarlo meglio. Ammosciato, curvo sul suo piatto, l’uomo, con la punta della forchetta, punzecchiava una bistecca.

Paul dovette arrendersi all’evidenza: quel relitto era il suo uomo.

Il Cifra e il Fer.

Il poliziotto dai duecentotrentanove arresti.

Attraversò la nuova sala. Alle sue spalle il telecronista continuava a urlare: «Petit Bonheur, sempre Petit Bonheur…» Rispetto alle ultime foto che Paul aveva potuto vedere, Jean-Louis Schiffer era invecchiato di vent’anni.

I suoi lineamenti regolari erano smagriti, tesi sulle ossa come su un telaio; la pelle, grigia e screpolata, pendeva, soprattutto sul collo, e ricordava le scaglie di un rettile; i suoi occhi, un tempo azzurro cromo, erano appena percepibili sotto le palpebre abbassate. L’ex poliziotto non portava più i capelli lunghi che lo avevano reso celebre, ora erano tagliati praticamente a spazzola; la nobile chioma d’argento aveva lasciato il posto a un cranio di latta.

Il suo corpo, ancora robusto, era inghiottito da una tuta sportiva blu, il cui collo si allargava sulle spalle con due ali ondulate. Accanto al suo piatto, Paul vide una pila di tagliandi delle scommesse sui cavalli. Jean-Louis Schiffer, la leggenda della strada, era diventato il bookmaker di una banda di agenti del traffico in pensione.

Come aveva potuto immaginare di farsi aiutare da una simile carcassa? Ma era troppo tardi per tornare indietro. Paul sistemò la cintura, la pistola e le manette, e si dipinse in volto l’espressione dei momenti importanti — sguardo dritto e mascelle serrate. Nel frattempo, gli occhi di ghiaccio si erano già posati su di lui. Quando egli fu a qualche passo, l’altro, senza preamboli, buttò lì:

«Sei troppo giovane per essere dell’IGS.»

«Capitano Paul Nerteaux, polizia giudiziaria, decimo arrondissement.»

Aveva pronunciato la frase con un tono militare che subito rimpianse, ma il vecchio aggiunse:

«Rue de Nancy?»

«Rue de Nancy.»

La domanda era un complimento indiretto: a quell’indirizzo si trovava il SARIJ, il servizio giudiziario del quartiere. Schiffer aveva riconosciuto in lui l’investigatore, il poliziotto di strada.

Paul prese una sedia, lanciando un’occhiata involontaria agli scommettitori, ancora appostati davanti al televisore. Schiffer seguì il suo sguardo e si lasciò sfuggire una risata:

«Passi una vita a sbattere le canaglie in galera per ottenere cosa alla fine? Di ritrovarti tu stesso al gabbio.»

Portò alla bocca un pezzo di carne. Sotto la pelle le mascelle entrarono in azione, come ingranaggi ben oliati. Paul dovette rivedere il suo giudizio, il Cifra non era poi così spento. Bastava soffiare su quella mummia per spazzarne la polvere.

«Cosa vuoi?» disse l’uomo dopo aver ingoiato il boccone.

Paul utilizzò il suo tono più modesto:

«Sono venuto a chiederle un consiglio.»

«A proposito di cosa?»

«A proposito di questo.»

Tirò fuori dalla tasca del giaccone una busta in carta da pacchi che posò a fianco dei tagliandi delle scommesse. Schiffer spostò il piatto e aprì l’involucro senza fretta. Ne estrasse una decina di fotografie a colori.

Guardò l’altro e chiese:

«Cos’è?»

«Un volto.»

Passò alle immagini successive. Paul commentò:

«Il naso è stato tagliato con un taglierino. O con un rasoio. Le lacerazioni e gli sfregi sulle guance sono state fatte con lo stesso strumento. Il mento è stato limato. Le labbra tagliate con le forbici.»

Schiffer tornò alla prima fotografia, senza dire una parola.

«Prima di tutto quello», continuò Paul, «ci sono state le botte. Secondo il medico legale, le mutilazioni sono state effettuate dopo la morte.»

«Identificata?»

«No, le impronte non hanno dato risultati.»

«Età?»

«Circa venticinque anni.»

«Causa finale del decesso?»

«Abbiamo una vasta scelta. Le botte. Le ferite. Le bruciature. Il corpo era nello stesso stato della faccia. In linea di massima, ha subito più di ventiquattr’ore di torture. Aspetto i dettagli. È in corso l’autopsia.»

Il pensionato alzò le palpebre:

«Perché mi mostri questo?»

«Il cadavere è stato trovato ieri, all’alba, vicino all’ospedale Saint-Lazare.»

«E allora?»

«Era il suo territorio. Lei ha passato più di vent’anni nel decimo arrondissement.»

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