Leif Davidsen - Quando il ghiaccio si scioglie

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Quando il ghiaccio si scioglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Peter Lime, danese, professione fotografo, è felicemente sposato e dirige una fiorente agenzia. Durante un appostamento per un servizio scandalistico, scatta di nascosto una serie di foto compromettenti a un ministro del governo spagnolo impegnato in calde effusioni con una giovane starlette televisiva. E’ l’inizio di un’allucinante spirale di misteri e violenza che lo risucchia senza possibilità di scampo. La chiave è forse nascosta in un’altra immagine, scattata vent’anni prima e nell’identità misteriosa della donna che vi è ritratta.

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Sjuganov mi lasciò esaminare le foto con tutta calma. Oscar era fuggito a Mosca perché c’era Lola, e qui sperava di poter stare al sicuro finché si fossero calmate le acque. La Russia era un paese in cui con i soldi si potevano comprare sia l’influenza, sia la sicurezza. Ma io lo avevo trovato. E adesso, che dovevo fare? Il fatto che Lola fosse lì non mi sorprendeva, né faceva alcuna differenza, ma quale sarebbe stata la mia prossima mossa?

«È pronto ad ascoltare quello che abbiamo scoperto?» mi domandò Sjuganov.

«Credo di sì.»

«Okay, Mr. Lime. Il bersaglio abita in una villa di recente costruzione nei dintorni di Mosca. In un vecchio quartiere di dacie. Una dacia, se non lo sapesse, è una casa per le vacanze russa, ma oggi può significare una grande villa in muratura fatta costruire fuori città da persone molto ricche. Un tempo l’élite del partito abitava in quella zona, ma è stata privatizzata e adesso ospita le case di gente, come dire, intraprendente che desidera pace, tranquillità e la massima sicurezza. Mi segue?»

«La seguo.»

«Il bersaglio è nei guai. Negli ultimi due giorni ha provato invano a cambiare un assegno, a far addebitare le sue spese sulla Visa, l’Eurocard e l’American Express. Le carte risultano bloccate e questo manda in bestia il nostro uomo, che comunque, per il momento, è in possesso di contanti. Talvolta esce, ma per lo più resta a casa. Beve troppo e litiga molto con la donna. Dormono insieme, anche se hanno ognuno la propria camera da letto. Almeno, così crediamo.»

«Sa chi è la donna?» domandai.

Sjuganov mise da parte le foto e disse:

«Non faceva parte del nostro compito controllare la sua identità, ma sappiamo due o tre cose di lei».

«Sarebbe a dire?»

«È ricca. La casa è sua e so da chi l’ha acquistata. Ha conoscenze al Ministero della cultura. Ha ottenuto la licenza di mercante d’arte a tempo di record. È autorizzata a comprare e a vendere arte russa e a esportarla. Anche opere con più di cinquant’anni. Una licenza del genere deve esserle costata parecchi soldi, ma non avrà difficoltà a farla fruttare. Il mio paese svende i propri beni. In tutti i modi. E un russo può disapprovare questo fatto, oppure fare in modo di partecipare alla spartizione della torta. In fondo non cambia niente. Una volta in questa città parlava Lenin. Oggi è il denaro a parlare.»

«Come si fa chiamare la donna?» chiesi.

«Svetlana Petrovna. È brava. È già riuscita a introdursi nelle cerchie vicine al Presidente, e grazie a questo fatto è considerata intoccabile. Ho l’impressione che quella donna riuscirebbe a vendere sabbia nel Sahara.»

«O neve a Mosca» aggiunsi.

Guardai le foto di Lola, che anche con i capelli neri era bellissima. Nell’immagine davanti alla villa il suo sguardo per Oscar era pieno di disprezzo. Evidentemente i tentacoli di Gloria erano arrivati fin laggiù. Se Oscar non dipendeva economicamente da Lola, poco ci mancava. Chissà quale impatto quella realtà avrebbe avuto sulla loro atipica relazione? La parte del più debole, del bambino costretto a chiedere la paghetta non si addiceva affatto a Oscar.

«La casa sembra nuova di zecca, Mr. Sjuganov. Chi era il precedente proprietario?»

«A Mosca tutte le abitazioni come quella sono nuove, Mr. Lime» rispose Sjuganov contemplando la foto a colori. «Fu fatta costruire dal direttore di una banca privata. A quanto pare era un mezzo mafioso. Fu ucciso a colpi di arma da fuoco davanti alla sede centrale della sua banca. Allora la villa passò nelle mani di un ragazzo di ventidue anni, che ci andò ad abitare con le sue due mogli e quattordici guardie del corpo. Il ragazzo era un famoso produttore della neonata televisione privata. Ma le due mogli non riuscivano a mettersi d’accordo su quale fosse la sua preferita, così lo fecero ubriacare, fecero in modo che si imbottisse di cocaina e poi lo affogarono nella piscina che lui stesso aveva fatto costruire.»

«Che storia agghiacciante» commentai.

«Questa è la Russia» disse Sjuganov e continuò: «Il proprietario prima della Petrovna era un noto mafioso che controllava i mercati della verdura di Mosca. Aveva problemi con i suoi soci d’affari. Un bel giorno sparì, e da allora nessuno ha più sue notizie. Madame Petrovna ha acquistato la villa da un prestanome che conosco. L’ha avuta per pochi soldi, anche perché agli altri aspiranti fu fatto capire che dovevano tenersi alla larga».

«Chi era il prestanome?»

Sjuganov versò un’altra vodka per sé e una per me, quindi disse:

«Non sono tenuto a darle questa informazione, ma lo farò ugualmente. Il prestanome era un vecchio collega dei tempi del KGB, Victor Ljubimov. Visto che la Petrovna in passato ha lavorato per un’organizzazione analoga, è possibile che con la faccenda della casa Victor le abbia restituito un antico favore. Nonostante tutto, negli ex compagni sopravvive il senso dell’onore. In alcuni rapporti i soldi passano in secondo piano».

«Siamo sicuri che l’incarico che le ho affidato non interferisca con questo senso dell’onore, con qualche debito in sospeso…»

«Di me si può fidare, Lime. Lei è mio cliente, e io non ho nulla a che fare con quella donna. Non c’entra niente con il mio incarico né con la mia vita, presente o passata.»

«Va bene, Sjuganov. Allora mi dica, dove posso trovare la coppia felice?»

Sjuganov si concesse un sorriso e aprì la cartina stendendola sul tavolo. Mi mostrò dov’era l’Hotel Intourist, ai margini della Piazza Rossa e, con il dito, mi guidò in direzione della periferia occidentale lungo un grande viale chiamato Kutusovskij, poi verso destra, fino a una zona che sembrava un grande bosco punteggiato di laghi, dove tutta una serie di stradine secondarie sfociava sulla stretta strada principale. Sulla cartina erano riportati numerosi piccoli villaggi. Mi indicò quello più vicino alla casa di Lola e Oscar, a una quarantina di chilometri da Mosca.

«Voglio andare laggiù domani» dissi.

Sjuganov ripiegò la cartina. La sua guardia del corpo era sempre seduta presso la porta, con le mani sulle ginocchia, l’espressione a un tempo vigile e rilassata. Sjuganov si schiarì la gola e disse:

«Come vuole, Mr. Lime. Ma sappia che il bersaglio è protetto. Nella villa ci sono due irlandesi, forse ex membri dell’IRA. Lola ha due guardie del corpo che alloggiano nella vecchia dacia di legno della proprietà. C’è un sistema di telecamere. Come pensa di introdursi nella casa?».

«Pensavo di suonare il campanello» risposi.

La mia risposta lo sorprese. Si aggiustò la cravatta.

«Non glielo consiglierei» disse.

Sjuganov produsse una serie di foto a colori. Anche quelle erano state scattate con un teleobbiettivo, ma si vedevano chiaramente sia Oscar sia Lola. In una delle foto i due sembravano arrabbiati. In un’altra camminavano fianco a fianco. Lola era elegante nel mantello di pelliccia che le arrivava alla caviglia e un grazioso berretto di pelle. Oscar era avvolto in un lungo e pesante cappotto e stringeva in mano qualcosa di simile a una mazza da golf. O una lunga spranga.

«Crede di poter giocare a golf sulla neve?» dissi.

Sjuganov rise:

«La porta sempre con sé. Secondo me è un’arma. Infatti, guardi qui.»

Mi mise davanti un’altra foto. Questa volta c’era anche il grosso irlandese. Seguiva i due a qualche metro di distanza, con le mani sprofondate nelle tasche di uno spesso cappotto di pelle. In testa portava uno zucchetto di lana. Aveva l’aria infreddolita e annoiata.

«Il bersaglio esce raramente, e mai da solo. Quindi, Mr. Lime, devo chiederle ancora una volta. Che cosa vuole che faccia? Che cosa vuole fare? Il mio compito, tutto sommato, è concluso.»

«Passeggiano tutti i giorni?» domandai.

«Di solito fanno una passeggiata di mattina. Il giorno della recente bufera di neve l’uomo è rimasto in casa.»

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