Quando ero rientrato in albergo, Clara era in camera ad aspettarmi. Vedendo la mia espressione sconsolata aveva sgranato gli occhi ed era corsa ad abbracciarmi. Le avevo racconto tutto, lentamente e a bassa voce.
«Così hai picchiato un vecchio ubriacone?» aveva domandato incredula.
«Sì» le avevo risposto con un’improvvisa fitta di rimorso.
Si era stretta a me sussurrando:
«Povero, povero Peter. Povero Peter».
Io l’avevo scostata da me fissandola negli occhi.
«Tu sapevi di Oscar?»
«Lo sospettavo. Abbiamo pedinato Lola e anche lui in diverse occasioni. Ricevemmo una dritta dagli inglesi.»
«Perché non me lo hai detto?» Sentivo che sarebbe bastato un niente per volgere la mia rabbia e la mia aggressività contro di lei.
«Non avevo nulla di concreto in mano. E poi, mi avresti creduto?» Aveva un’espressione impaurita.
Le avrei creduto? Mi domandai sull’aereo. Probabilmente no. La notte precedente ci eravamo amati con foga, con disperazione. Quella mattina mi aveva accompagnato all’aeroporto e poi era partita in macchina alla volta di Copenaghen. Ci eravamo separati con un abbraccio.
«Telefonami.» Aveva detto. «E non fare sciocchezze.» In quel momento non me l’ero sentita di prometterle né l’una né l’altra cosa.
L’aereo si preparò all’atterraggio. Madrid era avvolta da una soffice oscurità. Presi un taxi e andai dritto a casa di Gloria e Oscar o Karl Heinrich. Stavo per scoprire quanto Gloria sapesse di tutta quella faccenda. Helmut Schadenfelt aveva sicuramente telefonato a Madrid non appena ero uscito dal suo fatiscente appartamento. Era probabile che Oscar fosse fuggito. Ma Gloria? Gloria aprì la porta, e come mi vide mi mollò un ceffone. Fece in tempo a colpirmi di nuovo prima che riuscissi ad afferrarle le braccia e a spingerla all’interno dell’appartamento.
La trassi a me. La tenni stretta fra le mie braccia finché non cessò di vomitare improperi al mio indirizzo. Sentii le sue spalle rilassarsi, poi sussultare al ritmo dei suoi singhiozzi. Quando si calmò la guidai in soggiorno, la feci sedere sul divano, le versai un whisky, ne presi uno anch’io e le accesi la sigaretta. Aveva un aspetto orribile. Ma il viso era disfatto e impiastrato di mascara.
«Perché accidenti non mi hai telefonato, Peter?» mi chiese.
«Volevo capire se in questa storia fossi coinvolta anche tu…»
«In quale storia, stronzo? Ieri squilla il telefono. È una voce maschile che dice qualcosa in tedesco. Gli passo Oscar, che subito diventa pallido come un cencio. Poi riattacca e prende il cappotto. È stravolto, come se avesse visto il diavolo in persona. Sulla porta si gira e dice: “Non ci rivedremo mai più. Puoi ringraziare Peter”. Io gli corro dietro, ma riesce a raggiungere l’ascensore, e quando arrivo giù in strada, è sparito. È successo altre volte che se ne andasse, ma questa volta è per davvero. E dire che stavamo attraversando un buon periodo. Ho telefonato a tutti. Perfino a qualcuna delle sue amichette. È sparito. Ha vuotato il conto comune e parte di quello d’esercizio della ditta. Dove cazzo è andato? E tu cosa c’entri in questo maledetto casino, Peter?»
Stava per scoppiare a piangere di nuovo, ma prese un sorso del drink.
«Credo che sia andato a Mosca» dissi.
«A Mosca. E perché? Che ci è andato a fare mio marito a Mosca?»
«Non… non è tuo marito. È una lunga storia, Gloria.»
Le misi davanti la foto di Oscar in divisa, lei la prese e la guardò a lungo, mentre fumava un’altra sigaretta sforzandosi di rimanere calma. Era una donna forte, combattiva. E aveva il diritto di sapere. Le raccontai la storia di Karl Heinrich e Lola, e lei mi stette ad ascoltare fino in fondo senza interrompermi né prorompere in esclamazioni drammatiche. Al suo posto probabilmente un’altra sarebbe crollata, ma non Gloria. La rivelazione dell’inconcepibile slealtà di Oscar suscitò in lei la stessa rabbia glaciale che provavo io. Scusandosi si alzò, uscì dalla stanza e tornò dopo qualche minuto con la faccia pulita, i capelli in ordine e indosso una camicetta stirata. Portò un bricco di caffè e due tazze, che posò sul tavolo. Tolse i bicchieri e il portacenere pieno. Era la Gloria che conoscevo: mentre rassettava, la sua mente sottile lavorava a pieno ritmo. Tornò a sedersi davanti a me e mi versò il caffè dicendo:
«Peter, cosa hai intenzione di fare?».
«Voglio rintracciare Oscar.»
«Dove?»
«A Mosca.»
«Ah!» disse lei. «Speri di trovarlo frugando tra oltre dieci milioni di persone!»
«Contatterò qualcuno che mi aiuterà a scovarlo» dissi.
«Okay. E poi?»
Presi un sorso di caffè. Era caldo e forte come lo sapeva fare Gloria.
Bella domanda, quella. Perché volevo trovare Oscar? Per sentire dalle sue labbra perché Amelia e Maria Luisa fossero morte? Decisi di essere sincero con Gloria.
«Ventiquattro ore fa volevo trovarlo per ammazzarlo. Preferibilmente due volte. Occhio per occhio, eccetera… Ma adesso, non ne sono sicuro. Forse voglio guardarlo negli occhi per l’ultima volta e costringerlo ad ammettere tutto. Oppure voglio dargli un pugno in faccia e poi andarmene.»
«Due» disse Gloria. «Dagli due pugni, uno per te e uno da parte mia. Ma devi lasciarlo vivere.»
«Cosa c’è, speri di riprendertelo per l’ennesima volta?» sbottai.
Gloria prese un sorso di caffè e incrociò le lunghe gambe sporgendosi in avanti.
«No, Peter. Non lo voglio più. Abbiamo avuto entrambi un sacco di amanti, Oscar, Karl Heinrich e io. Ma eravamo due vasi comunicanti. Non ci sono dubbi sul fatto che mi abbia amato, e io ho amato lui. Adesso è finita e io so cosa fare per fargliela pagare: quel vecchio comunista ipocrita si è abituato a vivere da ricco. Bene, per Oscar la bella vita finisce qui. È ora che il paladino del proletariato diventi proletario a sua volta.»
«Che vuoi fare?»
«Chiederò l’annullamento del matrimonio, così perderà tutti i beni in comune. Metterò in piedi una causa per truffa. Bloccherò le carte di credito, i conti correnti, i diritti di trasferimento e via elencando. Comunicherò a tutti i nostri clienti e clienti dei clienti che Oscar è insolvente e che la sua firma non vale cento pesetas. Sono un avvocato, ricordi? So come muovermi affinché l’uomo d’affari spagnolo di oggi torni a essere il tedesco orientale povero in canna di ieri. Peter, se lo uccidi mandi a monte la mia vendetta, non potrei mai perdonartelo.»
Non riuscii a trattenere un sorriso.
«Va bene Gloria, hai vinto: te lo prometto. Sei una ragazza in gamba.»
Probabilmente appena me ne fossi andato sarebbe scoppiata in un pianto disperato, ma era abituata a lottare e nessun uomo l’avrebbe vista in ginocchio, men che meno Oscar, colui che aveva amato per tutti quegli anni.
«Eh sì. Quando avrò superato questa storia, mi toccherà rispolverare qualche vecchio amante. Non riuscirà a farmi abbassare la testa. Lo conosco. Fra un mese gli mancherò da morire, e allora darà un calcio nel culo all’oca che sta con lui. Nessuno può fingere di amare oltre un certo limite. Ho ragione o no, Pedro?»
«Hai ragione. Te la senti di stare da sola? Vuoi che rimanga qui?» le domandai.
Finì il caffè e posò la tazza con forza eccessiva.
«O te ne vai adesso, Pedro, oppure vieni a letto con me».
Mi alzai e la raggiunsi, dandole un bacio fraterno sulla bocca, ma mi ritrassi quando la sua lingua avida cercò di insinuarsi nella mia bocca.
Gloria sorrise e mi diede una spintarella.
«È a causa della danese che hai deciso di fare il difficile?»
«Può darsi.»
«Se dovessi rincontrare l’amore, Pedro, coglilo. L’amore è l’unica cosa pulita di questo mondo. E adesso vattene, e telefonami tutti i giorni.»
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