La colonna di auto riprese a muoversi e le luci degli stop si spensero in successione, come pedine del domino che cadevano una dopo l’altra. Poco più avanti, dei lampeggianti ai lati della strada segnalavano la presenza della polizia. Due auto si erano tamponate. Ecco quindi l’incidente, la strozzatura, la coda. Weiss superò il punto e poté riprendere un’andatura normale, nel traffico che si andava diradando. Alla sua sinistra apparvero infine le incerte luci gialle della città, velate dalla foschia. Sulle labbra aveva già il gusto del primo sorso di scotch, ne percepiva già il calore dentro di sé. Era ora.
Ma proprio in quell’istante gli venne in mente una cosa. Gli venne in mente nel senso weissiano del termine, proprio come l’arrivo di una presenza separata all’interno dei suoi pensieri, la logica di un’altra personalità. Era questo il metodo di Weiss. I sentimenti, i percorsi emotivi delle persone venivano a lui spontaneamente, si insediavano nel suo profondo permettendogli di comprendere all’improvviso che cosa quelle persone avrebbero pensato, che cosa avrebbero fatto. Eppure non sapeva come e perché ciò avvenisse.
Aveva pensato a Julie Wyant. Poi a Shadowman. E poi ancora a se stesso e… Ecco, era accaduto. Quella mente avvelenata, la logica di una mente avvelenata era dentro di lui. E con essa un tremendo furore — terrificante, corrosivo —, un furore che, come una seconda anima, imponeva la sua volontà su un uomo, finché ogni sua azione non era altro che una manifestazione di furore.
Era un pensiero pazzesco, spaventoso. Perché non era concepibile che una personalità come quella potesse provare amore. Sì, Weiss aveva conosciuto picchiatori che trattavano bene la moglie, boss della mala tenerissimi con i figli, persino un serial killer gentilissimo con la vecchietta della porta accanto. In questi casi, però, lo spirito violento e quello gentile erano due entità separate. Amavano chi volevano amare e uccidevano chi dovevano uccidere e non si trattava mai della stessa cosa.
Ma in un qualche modo, senza sapere come, mentre era seduto nell’auto, Weiss era entrato nell’animo di Shadowman e aveva compreso che lì questa separazione non esisteva. La mente avvelenata che aveva ucciso i bambini a China Beach era la stessa che desiderava Julie Wyant, che la bramava. Pomeroy aveva frainteso: Shadowman non aveva prima picchiato Julie e poi implorato la ragazza di essere sua. Era stata un’unica cosa. Picchiarla era il suo modo di corteggiarla e dimostrarle il suo amore… Il suo amore altro non era che un atto distruttivo e la distruzione di Julie era il sommo atto d’amore. Era come se il Furore si fosse fatto persona per adorare qualcuno, come fosse stato l’Omicidio, o il diavolo stesso… Weiss sbuffò rendendosi conto di quanto fosse melodrammatico quel pensiero. Eppure era inquietante. Il diavolo innamorato… Come si sarebbe comportato il diavolo, nella sua prima notte di nozze? E che cosa non avrebbe fatto per reclamare la sua donna?
Weiss imprecò. L’auto imboccò la rampa di uscita, scendendo verso la nebbia, ai piedi della città. Sterzò con rabbia, facendo stridere gli pneumatici.
Prese Market Street, ma non in direzione del suo appartamento, e del bicchiere di scotch che tanto anelava. Era diretto verso l’ufficio, verso il computer e il telefono.
Perché, ora, finalmente, lentamente, cominciava a capire. Cominciava a capire cosa stava per succedere.
PARTE QUARTA
FIAMME DELL’INFERNO
Era buio ormai quando giunsero al luogo dell’esecuzione. Avevano guidato a lungo.
Chris Wannamaker, abbandonato sul sedile posteriore della BMW, solo allora stava iniziando a percepire il movimento dell’auto. Gli occhi si aprirono e si richiusero lentamente. Tutto il suo corpo grosso e muscoloso sembrava cascante, senza forza. Non riusciva a muovere la testa appoggiata contro il finestrino, e neanche a chiudere la mascella che penzolava aperta. Aprì di nuovo lentamente gli occhi e vide che fuori era notte.
Flake era davanti, al volante, mentre Goldmunsen era dietro, al suo fianco, un braccio da gorilla appoggiato sulla pancia. All’estremità del braccio da gorilla c’era una mano da gorilla serrata su una pistola, una Glock, puntata nel vuoto. Quando Chris si mosse, Goldmunsen sorrise, come si fa quando qualcuno si sveglia. Poi spostò la mano con la Glock e la puntò verso Chris.
Questi si mosse ancora e lasciò sfuggire un lamento. La testa gli girava e aveva la sensazione che stesse per accadergli qualcosa di terribile. Voleva che quel tormento finisse, voleva chiudere gli occhi e ritrovarsi nel suo letto quando li avesse riaperti. Ci provò: nessun risultato. Era sempre in macchina e la macchina continuava a viaggiare, a macinare chilometri, avvolta nella notte.
Cercò di mettere a fuoco il paesaggio, ma non si vedeva molto. C’erano degli alberi e la strada tortuosa, qualche squarcio di cielo scuro fra i rami. Erano da qualche parte nella foresta, e lui cominciava ad avere paura, molta paura. In quel bosco gli sarebbe successo qualcosa di terribile. Doveva cercare di impedirlo. Doveva pur esserci qualcosa da fare in quel breve intervallo di tempo.
Ma il tempo a sua disposizione era terminato. Flake stava lasciando la strada e Chris sentì lo sterrato sotto le ruote. Fu sballottato sul sedile e, ancora confuso, cercò di alzare la testa. Vide Flake che guidava. Vide che Goldmunsen, al suo fianco, gli sorrideva. E vide l’arma che teneva in mano.
«No», disse con la voce impastata. «Non…»
Improvvisamente si ricordò tutto: capì che stavano andando alla sua esecuzione, e il terrore gli fiaccò ulteriormente le forze.
«No, no», balbettò. «Dovete…»
«Fermati qui, mi pare che vada bene», stava dicendo Goldmunsen a Flake.
«Fammi allontanare ancora un po’ dalla strada. Qualche poliziotto stronzo ci potrebbe vedere», replicò Flake.
«Va bene», ribatté l’altro, «andiamo avanti ancora un po’.»
Chris cercò di portarsi la mano alla fronte dolorante. Per un momento sembrò che l’interno della macchina fosse immerso nella nebbia. Poi tutto tornò orribilmente a fuoco.
«Mio Dio, no…»
«Fallo tacere, per favore», sbottò Flake.
«No, aspettate. Ascoltate», diceva Chris, tenendosi la testa. «C’è una cosa… dovete ascoltarmi.»
«Su, non prendertela», disse Goldmunsen in tono cordiale. «Sarà finita in un paio di minuti.»
«Ma voi dovete ascoltarmi… dovete.» Chris si teneva la testa, cercando di pensare a che cosa doveva dire, sfruttando l’ultimo momento disponibile. Ma le tempie gli pulsavano e il dolore e la paura non lo lasciavano riflettere. «Ascoltate, vi prego.»
«Non servirà a molto, amico. Abbiamo degli ordini», disse Goldmunsen. «Sai come vanno queste cose. Cerca di stare calmo e noi renderemo tutto più facile.»
Chris fissò sbattendo gli occhi la faccia sorridente del gorilla. «Goldmunsen, ascoltami», disse. «Ti prego.»
«Ehi», si intromise Flake con un tono duro, guardando Chris nello specchietto retrovisore. «Non hai sentito che cosa ti ha appena detto? Chiudi quella bocca.»
Goldmunsen si strinse nelle spalle. «Lo senti? Non vorrai fare arrabbiare Flake… Sai che cosa succede quando si arrabbia. Inizia con il coltello, e viene fuori un casino.»
«Oddio, per favore…»
«Dico davvero, non ti piacerebbe, credimi. Dunque, sii uomo e ci penserò io a te. Non sentirai niente.»
Una nuova ondata di paura e debolezza attraversò il corpo di Chris. Deglutì per cercare di non pensarci. «Voi non capite», disse.
Goldmunsen rise. «Oh, sì che capiamo.»
«No, no, è che… Mio Dio, dovete ascoltarmi, non voglio morire!»
«Mi dispiace, ma non vedo alternative», disse Flake. «Perciò comportati da uomo e taci una volta per tutte.» Poi rivolgendosi a Goldmunsen borbottò: «Dagli un altro pugno e fallo tacere, sbrigati».
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