«Sì, così poi dobbiamo trascinarlo per tutta la strada. Non ci penso neanche.»
L’auto si fermò e Chris sgranò gli occhi. Guardò disperatamente intorno, nell’oscurità. Poi quello che doveva dire gli tornò tutto in mente, come frammenti di un puzzle che si ricomponeva lentamente dentro di lui. «Aspettate, vi prego», piagnucolò. «È stato Kennedy. Ecco che cosa dovevo dirvi. È tutta colpa di Kennedy.»
«Adesso lo taglio davvero. Fa’ qualcosa!» disse Flake.
«D’accordo, d’accordo», rispose Goldmunsen. «Cerchiamo di stare tutti calmi e di procedere in modo professionale. Sblocca la portiera dietro, forza.»
Flake fece scattare il blocco delle serrature e Goldmunsen fece segno a Chris con la pistola.
«Scendi dalla mia parte», gli disse.
«È stato Kennedy, lo giuro!»
Ma il gorilla lo ignorava. Aprì lo sportello e scese senza smettere di puntare la pistola sul prigioniero. Anche Flake scese.
«Ascoltate», insisteva Chris. «Kennedy, è lui che ha combinato tutto. È lui che…» Si teneva la testa fra le mani, cercando di rimettere insieme i pezzi di quel rompicapo.
Goldmunsen gli indicò l’uscita con la pistola. «Forza, vieni giù.»
«Porta le chiappe fuori di lì. Non costringermi a venire a prenderti», lo incalzò Flake. «Dico sul serio, sbrigati!»
Chris fissava angosciato la canna della pistola. La paura gli impediva qualsiasi movimento; non riusciva neanche più a parlare. Quasi senza accorgersene, iniziò a scivolare sul sedile verso la pistola, come un serpente incantato dal flauto.
All’esterno, l’aria fresca della montagna lo fece tremare ancora di più. Si sentiva debole, perduto.
«Non è giusto», mormorava. «Questa cosa… non è giusta. È un errore…»
Erano in una radura di un fitto bosco eppure c’era qualcosa di strano. Alla luce della luna Chris vide qualcosa che lo disorientò ulteriormente. Case. C’era una fila di quelli che sembravano vecchi edifici di mattoni, come in una cittadina del vecchio Far West. La maggior parte delle case era a due piani, con in cima un timpano arrotondato o addirittura un bordo di merli. In realtà, delle costruzioni rimaneva solo la facciata: le finestre, buie e scure come i fori degli occhi in uno scheletro, si aprivano direttamente sul bosco. Si trattava dei resti di una città abbandonata dopo la corsa all’oro di fine Ottocento, conservati per i turisti, ma per Chris era come trovarsi in un paesaggio da incubo, completamente irreale. La stranezza del posto, unita alla confusione mentale e al terrore, gli impediva di riordinare le idee.
«Andiamo», disse Goldmunsen.
«Aspettate», rispose Chris. «Sentite, Kennedy…»
Goldmunsen, indifferente, lo colpì con il calcio della pistola. Chris barcollò, poi cadde sulle ginocchia. Il cielo, gli alberi, le case roteavano intorno a lui e i suoi pensieri si erano nuovamente dispersi in mille direzioni.
«Questo ragazzo», commentò Goldmunsen, «non sembra prestare attenzione a quello che gli stiamo dicendo.» Scuotendo bonariamente la testa si avvicinò a Chris, lo prese per i capelli e lo tirò in piedi. Poi gli puntò la pistola nelle costole intimandogli di muoversi.
Nella mente del pilota erano rimasti solo confusione e terrore. Cominciò ad avanzare inciampando verso le case, e insieme ricominciò a supplicare. «Vi prego. Ascoltatemi. State facendo un errore. Dovete ascoltarmi…» La voce era debole, quasi impercettibile. Supplicava e mormorava come se recitasse una preghiera. «È stato Kennedy, è stata tutta colpa sua, di lui e di Kathleen.»
«Che cosa ne pensi?» disse Goldmunsen alle sue spalle. «Riusciremo a ritornare prima che Lucky chiuda?»
«Non lo so», rispose Flake. «Non mi riesce di pensare, con questo che blatera continuamente. Mi dà sui nervi. Mi sta venendo voglia di divertirmi un po’ con il coltello, di prendermela comoda.»
«Ci spiava», continuava Chris, con un filo di voce. «Qualcuno deve credermi. Per tutto il tempo, lui e Kathleen. Dobbiamo dirlo al signor Hirschorn.»
«Ma dai, quale coltello? Che cosa dici?» sbottò Goldmunsen. «Lascia perdere quel coltello del cazzo. Io ho fame; vediamo di finire qui e andare da Lucky a farci una bella costata. Lo puoi usare lì, il coltello.»
«Dicevo per dire…» si difese Flake.
«So che cosa volevi dire. Sei un sadico. Dovresti farti curare.»
Intanto, un altro pezzo del puzzle riemerse nella mente di Chris. Rammentava tutto — il computer, il messaggio — e trovò le parole per dirlo. «È un investigatore. Ecco che cos’è», disse, con un filo di voce. «Kennedy è un investigatore privato.»
Cercò di guardarsi intorno, ma Goldmunsen lo spinse ancora con la canna della pistola. «Non ti fermare.»
Chris avanzò inciampando. «Non mi fermo, ma ascoltatemi. Goldmunsen, Flake, sentite che cos’ho da dirvi. Kennedy è un investigatore privato, è questo che stavo cercando di dire.»
«Per Dio, che qualcuno gli chiuda definitivamente la bocca», disse Flake.
«Dai, lascialo stare», gli rispose Goldmunsen. «Cerca di metterti nei suoi panni.»
«Non è proprio possibile. Che cosa sta dicendo adesso?»
«Sta dicendo che Kennedy è un investigatore privato.»
«Perfetto. Per chi ci ha preso, per degli idioti?»
«Deve pur dire qualcosa, lascialo perdere.»
Le facciate delle case fantasma si chiusero intorno a loro. Una civetta emetteva il suo richiamo. I grilli e le cicale frinivano con insistenza, la stessa insistenza con cui Chris aveva ripreso a lamentarsi.
«È la verità, vi dico! Kennedy è un investigatore privato. Per favore. È uno dell’agenzia… Weiss. La Weiss Investigations di San Francisco. L’ho visto sul suo coso, il portatile… il computer. C’era un’e-mail per questa agenzia.»
Avevano raggiunto un’apertura nella fila di edifici finti, una breccia irregolare tra i mattoni: Chris vi si infilò, spinto dalla pressione della pistola sulla spina dorsale, e i due scagnozzi lo seguirono.
«Ma senti che stronzata», mormorò Flake. «Di che parli, cazzone? Quale e-mail?»
«Senti, Flake, lascialo perdere, d’accordo», disse Goldmunsen. «Lo stai solo tormentando.»
«No, no, questa la voglio sentire», continuò Flake. «Vediamo fino a che punto ci crede stupidi. Kennedy ha mandato un’e-mail?»
Chris riuscì a parlare un po’ più forte. «Alla sua agenzia, l’agenzia Weiss. Lo giuro su Dio.»
«Ah sì, lo giuri su Dio?» continuò Flake, ironico. «Te l’ha fatta vedere lui? L’hai vista con i tuoi occhi?»
«Sul suo portatile.»
«Sul portatile. Bene, e dov’è questo portatile? Su, faccelo vedere.»
Il terrore di Chris divenne ancora più profondo, i suoi muscoli si trasformarono in gelatina. Perché non l’aveva preso? Come aveva potuto lasciarlo là? Che cosa credeva di fare? «Non ce l’ho, ma vedete, ho pensato che non…»
«Oh, hai pensato, vero? Hai pensato…» Flake rise. «Che cosa hai pensato? Hai pensato di poterci fare fessi con queste stronzate. Ma senti questo cretino. Non ci posso credere.»
«A che ora chiuderà la cucina da Lucky?» si stava chiedendo Goldmunsen a voce alta.
«Come?» disse Flake, distratto. «Non lo so, alle dieci forse. Come cazzo faccio a saperlo. Lascia perdere Lucky, smettila di pensare con lo stomaco.»
«Adesso penso con lo stomaco», ribatté Goldmunsen. «Dammi da mangiare e riprendo a pensare col cervello.»
Superate le case, percorsero i pochi metri che li separavano dagli alberi. Passo dopo passo, Chris si avvicinava alla sua tomba, un sepolcro vastissimo, che lo aspettava per inghiottirlo. Continuava a blaterare la sua storia, ma non sapeva più che cosa stesse dicendo. Nessuno lo ascoltava. La situazione continuava a precipitare, non riusciva a fermarla. Il suo sguardo saettava qua e là, e ovunque si posasse tutto appariva stranamente limpido e definito: gli alberi, i tronchi, i singoli rami. Il color indaco del cielo stellato. L’erba e i suoi stessi piedi. E poi, sotto una pallida luna argentea, un varco che si apriva nel bosco, in attesa di ingoiare lui. L’attacco di un sentiero. Il sentiero che portava sul luogo dell’esecuzione.
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