«D’accordo, ma, se mi è permesso chiederlo, che cosa cazzo vuole farci con questo aggeggio?»
Hirschorn si rilassò e rise. «Sii paziente, amico. Ti sarà spiegato tutto. È una missione semplice: si va e si torna. E io sarò con te per tutto il tempo.»
«Semplice…» gli fece eco Bishop. Guardò di nuovo l’elicottero, e sul suo viso tornò la caratteristica espressione maliziosa. «Posso dare un’occhiata alla cabina?»
«Certo», rispose Hirschorn in tono cordiale. «Fai pure. Voglio che ti senta a tuo agio.»
Bishop non lasciò a terra la borsa ma la issò sopra una delle piccole ali del velivolo prima di salire a sua volta. Aprì il portellone, buttò la borsa sul pavimento e si abbassò per prendere posto sul sedile del pilota. Attraverso il parabrezza, le persone nel capannone erano solo delle sagome ritagliate nella luce al neon.
«Dio onnipotente», disse a voce alta.
Un altro uomo, al suo posto, avrebbe forse perso la testa, chiedendosi in che diavolo di storia era andato a cacciarsi, per di più in un posto così sperduto. Ma Bishop era calmo; in quell’istante provava persino una sensazione di sicurezza. Qualunque fosse la missione che intendevano compiere con quella macchina da guerra, lui l’aveva già mandata a monte, almeno per quella notte. Perché era l’unico pilota che avevano a disposizione, e di certo avrebbe preferito farsi sparare piuttosto che far volare quella roba nei cieli di casa sua. Il problema era che, se si fosse rifiutato, quelli gli avrebbero sparato sul serio. Dunque la prima cosa da fare era levare il culo di lì e comunicare a qualcuno il nascondiglio di quel mostro.
Non sarebbe stata un’impresa facile, con i due uomini armati all’interno del capannone e altri, probabilmente, fuori. Così, senza scomporsi, per precauzione Bishop abbassò la mano — che era fuori dalla vista degli scagnozzi — fino alla cerniera della borsa da viaggio e cominciò ad aprirla. Intanto, controllò i vari sistemi operativi del mezzo. Notò che erano incompleti. Dovunque avessero comprato o rubato quel velivolo, non erano riusciti a ottenere la strumentazione da guerra completa, per esempio i sistemi antiradar. Ma il GPS e i sistemi di puntamento computerizzati erano a posto: sembrava proprio che avessero intenzione di usarli, quei missili Hellfire.
«Dio onnipotente», ripeté Bishop.
Estrasse il computer dalla borsa, se lo mise in grembo e lo accese. Mentre lo faceva, continuava a girare la testa in ogni direzione e a mettere le mani sui vari comandi, per far vedere, se stavano osservandolo, che stava davvero esaminando l’apparecchio. Pensò che Hirschorn, essendo così orgoglioso del suo gioiello, gli avrebbe dato il tempo di ispezionarlo per bene.
Non appena il computer si fu avviato, Bishop aprì il programma di posta e si accorse, finalmente, di non aver spedito l’ultimo messaggio che aveva scritto. Questo fatto lo turbò per un istante e gli fece maledire Kathleen, che l’aveva distratto dal suo lavoro. Così, Weiss non sapeva che era partito con Hirschorn.
D’altro canto, avere un messaggio pronto ora gli permetteva di agire più velocemente. Lo aprì.
Weiss, ha funzionato. Wannamaker è fuori, io sono in gioco. Stasera alle sei sarò in volo verso una destinazione ignota. Quando sarò là, mi daranno le istruzioni sul mio incarico e ti farò sapere. Se abbiamo fortuna, possiamo portare a termine la missione senza comprometterci…
Muovendo le dita nel modo più impercettibile che gli riuscì, aggiunse: «c150kmnoah-64d».
Non ci fu il tempo di scrivere altro, perché Hirschorn gli stava facendo segno di scendere.
«Dai, Kennedy! Avrai tutto il tempo per giocarci. Ora dobbiamo metterci al lavoro.»
Bishop premette il comando di invio e attese per alcuni secondi che gli sembrarono secoli, perché Hirschorn lo aspettava lì fuori. Il computer stava ancora aspettando il collegamento e Bishop pensò che avrebbe potuto aspettare all’infinito, in quella zona sperduta. Avrebbe provato a inviare l’e-mail fino all’ultimo impulso di vita delle batterie.
Mise il palmare sul pavimento dell’elicottero e lo spinse sotto il sedile, ben nascosto. Il tentativo di invio era ancora in corso.
Un attimo dopo scese dal velivolo con la sua borsa in mano e si avviò verso Hirschorn.
«Volevo cominciare a fare conoscenza», disse.
«Oh, non mancherà l’occasione», rispose il vecchio, e gli diede una pacca sulla spalla sorridendo con i suoi denti bianchissimi. «Credimi. Chase, mostra a Kennedy i suoi alloggi.»
Chase era uno dei due uomini che li avevano scortati. Fece segno a Bishop di seguirlo con la torcia che teneva nella mano destra, mentre l’altra non abbandonava la mitraglietta.
«Dopo di te», disse con voce rauca.
Bishop andò con lui mentre Hirschorn e l’altro uomo armato rimanevano nel capannone per spegnere le luci e chiudere la porta.
Avanzarono lentamente fra gli alberi, alla luce della torcia che illuminava il cammino di Bishop da dietro. Chase non era uno sprovveduto e si teneva a una giusta distanza, in modo da non farsi cogliere di sorpresa. In effetti, Bishop aveva pensato di stordirlo, prendergli l’arma e scappare tra gli alberi. Se fosse riuscito a tornare al Cessna e a farlo partire, sarebbe potuto tornare in città per raccontare dell’elicottero alla polizia. Ma Chase era prudente, e a Bishop non rimase che aspettare.
Così raggiunsero la baracca a due piani con una scala su un lato. Bishop era ancora abbastanza tranquillo, pronto ad aspettare un’occasione migliore per filarsela, certo di avere ancora un po’ di tempo.
Sempre che Chris fosse morto, e che gli avessero sparato prima che tornasse in sé e raccontasse tutto. In questo caso, Bishop calcolava di avere tutto il tempo necessario.
In quel momento Weiss entrò in ufficio, e si accorse subito che qualcosa non andava. I pensieri che gli affollavano la mente si zittirono, lasciando il posto alla cautela. Si fermò sulla soglia, gli occhi fissi nel buio.
L’Agenzia era chiusa, erano passate le otto. Le luci erano spente e dalle stanze non proveniva alcun rumore. Eppure l’istinto, il suo istinto da poliziotto, gli diceva che non era solo.
Il corpulento detective, che sapeva muoversi con la massima leggerezza, quando voleva, percorse il corridoio nel più assoluto silenzio. Arrivato allo stanzino della posta, distinse grazie alle luci notturne della città le sagome della fotocopiatrice e del fax. Contro la parete c’era la mia scrivania e, abbandonato su di essa, c’ero io.
Nel vedermi Weiss si calmò, cercò l’interruttore e accese la luce. Gli si presentò lo spettacolo della mia persona seduta in posizione scomposta, incosciente, la testa tra le braccia sul piano della scrivania. Negli occhi dell’investigatore passò un lampo di stizza. Avevo interrotto il filo dei suoi pensieri, i suoi tentativi di prevedere le mosse di Shadowman. Con un sospiro afferrò la bottiglia di whisky posata accanto al mio gomito. La prese e si accorse che ce n’era ancora più della metà. Perciò ritenne che non fossi ancora morto e mi scosse senza molti riguardi.
«È pulito!» urlai, raddrizzandomi di botto, con la luce che mi feriva gli occhi.
Weiss mi fece oscillare la bottiglia di J B davanti alla faccia. «Ti ho insegnato a bere qualcosa di meglio di questa robaccia.»
Strabuzzai gli occhi. Weiss? C’era Weiss lì con me? «Weiss!» dissi con la voce impastata, guardando la bottiglia con gli occhi stretti a fessura. «No, no, va tutto bene. Ho finito.»
«Sì, hai finito di sbronzarti, direi.»
«Ho fatto tutto, ho solo pensato di…» Cercai di ricordare che cos’avevo pensato di fare.
«Svenire sulla scrivania?» suggerì Weiss. «Va bene, io sono favorevole a queste cose, danno all’Agenzia un certo fascino.»
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