«Ehi, amico, non criticare le mie idee», replicò Chase. «Abbatte la mia autostima.»
Bishop mise le mani sullo schienale della sedia che stava di fronte all’energumeno. Si domandò se era abbastanza veloce per alzarla e arrivare a rompergliela sulla testa. Probabilmente sì, ma comunque Chase avrebbe sparato ammazzandolo. E questo era un bell’inconveniente per il piano.
«Voglio dire che sarebbe un po’ difficile per il nostro Hirschorn trovare un altro pilota così in fretta.»
«Certo», replicò Chase. «Ma sarebbe un po’ difficile anche per te ritornare in vita.»
«Capisco il tuo punto di vista.» Invece di alzare la sedia per colpire, Bishop vi si sedette. Prese il pacchetto di sigarette dalla tasca della camicia e lo buttò sul tavolo. «Serviti pure», disse. Pensò che se l’altro si fosse sporto in avanti, forse sarebbe riuscito a spezzargli prima il braccio e poi il collo.
Ma Chase non si avvicinò. Il sorriso di pietra si fece più ampio. «Ehi, sai cosa penso?» disse.
Bishop rifletté un momento. «No», rispose. «Che cosa pensi?»
«Penso che stai cercando di fregarmi.»
«Davvero?»
«Davvero.»
«È incredibile. E perché dovrei?»
«Ah, non chiederlo a me», continuò Chase. «Se sei furbo, stai seduto lì e fumati le tue sigarette. Ti verrà il cancro, ma vivrai più a lungo.»
Bishop sorrise appena, si portò alle labbra la sigaretta — ormai consumata fino al filtro — e tirò un’ultima lunga boccata. Poi gettò il mozzicone a terra e lo schiacciò sotto il tacco. Tutto sommato, pensò, era davvero meglio ucciderlo, quello lì. Era troppo abile per correre rischi.
Gli occhi dei due uomini si incrociarono. Chase sapeva che cosa Bishop stava pensando. Lo sapeva, eppure non smetteva di sorridere. Il che probabilmente non era un buon segno.
Non importava. Qualsiasi cosa Bishop stesse progettando, non l’avrebbe messa in atto in quel momento, perché proprio allora si udì un suono dall’esterno, un ritmico battito nell’aria. Un elicottero, un piccolo Jet Ranger o qualcosa di simile, che si avvicinava a bassa quota. Era molto vicino e molto basso: probabilmente doveva atterrare sulla vicina pista.
«Aspettate qualcuno?» chiese Bishop.
Chase non rispose: non ce n’era bisogno. Bishop gli leggeva in faccia la sorpresa.
La mente di Bishop iniziò a correre. Chi può arrivare qui senza essere atteso? Non sembrava il rumore di un elicottero della polizia. Ma nessun altro avrebbe potuto trovare quel posto senza conoscerlo e ciò significava che doveva essere qualcuno della banda di Hirschorn, qualcuno che con tutta probabilità portava delle notizie, notizie inattese e molto urgenti.
Ciò a sua volta significava che Chris doveva essersi svegliato in tempo per rivelare chi era Frank Kennedy, chi era e che cosa stava combinando.
E ciò significava, infine, che il tempo a disposizione di Bishop era appena finito.
Weiss era sempre immobile davanti alla finestra, con gli occhi fissi sulla città e la nebbia, le mani in tasca, il mento abbassato sul petto. Seguiva l’avanzare lento di una motocicletta che si faceva strada in un incrocio fitto di macchine.
Una luce pallida e bianca proveniva dalla scrivania, dal computer acceso dietro di lui. Non erano arrivati messaggi di Bishop, e questo lungo silenzio non faceva che alimentare il fuoco del senso d’urgenza che lo invadeva. Conoscendo Bishop, voleva dire che si trovava in un posto dal quale non poteva comunicare. Il che significava che, contravvenendo alle precise istruzioni di Weiss, era riuscito a conquistarsi la fiducia di Hirschorn e si stava avvicinando al cuore della sua attività criminale. Qualsiasi cosa stiano organizzando, accadrà presto. C’è poco tempo, farò del mio meglio. JB.
Poco tempo. Ma quanto poco? Cos’era che stavano organizzando? È che cosa c’entrava con Whip Pomeroy, Julie Wyant, Shadowman?
Weiss stava alla finestra, immobile a guardare giù. Vide un uomo in impermeabile nero che camminava velocemente sul marciapiede. Quando passò sotto la luce di un lampione, la sua figura si delineò per un istante, curva per difendersi dalla pioggia, poi scomparve nell’oscurità e nella nebbia. Weiss non si mosse, continuò a fissare il punto in cui l’uomo era apparso.
La sua mente tornò a quando, poche ore prima, in auto, aveva capito qualcosa di Shadowman, del suo veleno, della logica del suo mostruoso furore. Ricordò che Bishop aveva parlato di una lunga scia di morti dietro la scalata al potere di Hirschorn. Che fosse stato proprio Shadowman l’artefice materiale di tutti quegli omicidi? Forse allora Hirschorn era in debito con Shadowman, o addirittura gli doveva tutto. E aveva paura di lui, come chiunque. E se Shadowman avesse di colpo preteso il saldo del suo credito? Poteva diventare l’incubo della vita di Hirschorn, che di certo avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarsi di lui.
Ma che cosa poteva avergli chiesto Shadowman?
Weiss lasciò correre i pensieri. Pomeroy. Whip Pomeroy era la chiave. Pomeroy e il suo segreto, l’identità nuova di Julie, il nome che aveva attualmente. Pomeroy che aveva assistito all’umiliazione di Shadowman. Weiss sapeva che l’assassino doveva uccidere Whip per quel motivo. Torturarlo per estorcergli il nome di Julie e poi ucciderlo, perché aveva sentito. Pomeroy lo sapeva ed era così terrorizzato da arrivare a barattare i segreti del suo lavoro in cambio della segregazione nel carcere più sicuro del paese… eppure, aveva ancora una paura folle. «Non potete proteggerci, né me né lei. Non potete proteggere nessuno. Niente può fermarlo, niente», aveva detto.
Weiss mosse leggermente la testa e alzò lo sguardo dalla strada alla cortina di pioggia e nebbiolina davanti a lui. Nessuno può fermarlo. Ridicolo, pensò. Il carcere di North Wilderness era impenetrabile. Se Shadowman, o chiunque altro, poteva arrivare abbastanza vicino a Pomeroy da fargli confessare il suo segreto, allora Weiss era il re di Romania.
Eppure… eppure continuava a sentire quel furore, quel veleno, quell’irrefrenabile odio. Il furore personificato, trascinato dall’amore. Che cosa non avrebbe potuto fare? Weiss guardò giù nella nebbia e pensò: il Furore. Il Furore innamorato.
Proseguì in quella direzione. Se era possibile, come sarebbe avvenuto? Se il furore e l’amore ti obbligavano ad agire, se Julie doveva essere trovata per forza, se Pomeroy doveva morire a tutti i costi. Era una cosa complessa. Non si poteva certo corrompere una guardia o un altro prigioniero per far parlare Pomeroy. No. Bisognava entrare, stargli vicino, avere il tempo di estorcergli il segreto. Bisognava guardare quell’uomo negli occhi per capire se diceva la verità.
Weiss si accigliò, con lo sguardo sempre fisso nella notte, ma senza vedere più nulla. Il modo più facile sarebbe stato minacciare la famiglia di Pomeroy, i suoi amici, fargli sapere che avresti fatto loro del male se non cedeva. Ma era inutile, perché Weiss si ricordava delle parole di Ketchum: Pomeroy non aveva amici, e Moncrieff era stato la sua unica famiglia.
Il possente torace di Weiss fu scosso da un sospiro. Quindi la soluzione era una sola. Shadowman doveva introdursi nella prigione. Doveva ottenere un lavoro come guardia o qualcosa del genere. Ma nell’esaminare questa possibilità, Weiss scosse la testa. Si ricordò di aver letto che le guardie di North Wilderness erano accuratamente selezionate; dovevano avere anni di esperienza, mesi di addestramento. Non si potevano falsificare le credenziali a tal punto.
«No», disse a voce alta; la cosa era impossibile, quella di Pomeroy era paranoia.
Eppure c’era quel furore. Il veleno che era arrivato a percepire prima, in macchina. La logica di quel furore. Weiss rimase immobile, le mani in tasca. Riportò lo sguardo a fuoco, sulla nebbia e i suoi movimenti sinuosi, vorticosi. Vide le sagome che passavano veloci in basso, e le luci che trapassavano la foschia, circondate di aloni e arcobaleni.
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