Andrew Klavan - Shadowman

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Shadowman: краткое содержание, описание и аннотация

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Un investigatore romantico, arguto e profondo conoscitore dell’animo umano; un motociclista e pilota, cinico e testardo, che non esita a menare le mani, e infine un giovane apprendista detective, idealista e sognatore. Sono questi i tre eroi della Weiss Investigations, un’agenzia che, sullo sfondo mutevole di San Francisco, si trova coinvolta in una fitta trama di casi che alla fine convergono in un unico grande complotto. Sembra, infatti, che dietro a tutti i delitti, gli attentati e le trame criminali ci sia un killer che nessuno ha il coraggio di nominare.
, l’uomo ombra, и una realtа o soltanto un nome, dato per spaventare poliziotti e delinquenti? И un astuto criminale o solo un fantomatico personaggio inventato per archiviare i troppi delitti irrisolti? Ma la presenza di
и reale, presente in ogni tassello di un complesso mosaico di azioni criminali finalizzate a un piano che lui solo conosce. E che solo gli agenti della Weiss Investigations sapranno svelare…
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Il furgone di Chris si allontanò dal quartiere proprio nel momento in cui la moto di Bishop imboccava la strada dall’altro capo.

Dopo aver parcheggiato accanto alla casa, Bishop smontò e raggiunse la porta di corsa. Non perse tempo a guardare verso l’altra abitazione, quella di Kathleen. Non si chiese nemmeno perché lei non fosse venuta all’appuntamento. Ci era andato solo perché lei gli aveva parlato di Hirschorn, per non rischiare di perdersi qualcosa di importante. Ma in effetti non ci aveva creduto molto; pensava invece che si trattasse di una manovra di Kathleen per cercare di farlo ritornare da lei. Quando non l’aveva vista, non si era molto preoccupato, e di certo ora non aveva tempo di pensarci. Doveva andare subito all’aeroporto, per scoprire che cosa stava macchinando Hirschorn.

Salì le scale rapidamente, due gradini alla volta, come aveva fatto Chris. Entrò in camera e si avvicinò alla borsa ancora posata, aperta, sul letto. Chiuse la cerniera, afferrò i manici e si fermò a dare un’ultima occhiata alla stanza.

Ma aveva troppa fretta: non notò che qualcuno aveva frugato tra le sue cose, e non gli venne in mente che non aveva inviato l’ultimo messaggio per Weiss.

Si mise la borsa in spalla e nell’avviarsi alla porta spense il condizionatore.

Un minuto dopo, la motocicletta rombava sulla strada.

43

Chris arrivò per primo: fermò bruscamente il furgone davanti all’ingresso dell’hangar e saltò giù. Le suole dei suoi stivali risuonarono pesanti sul cemento mentre raggiungeva a lunghi passi il bimotore parcheggiato all’interno.

Ray Gambling stava vicino all’aereo, in tuta da lavoro e chino sulla cappottatura aperta, una chiave inglese in mano. Un altro meccanico, Wilson Tubbs, era sdraiato dentro la cabina di pilotaggio, con i piedi che spuntavano dalla portiera.

Chris li raggiunse in fretta e afferrò Ray prima che questi avesse il tempo di alzare gli occhi e riconoscerlo. Lo spinse indietro contro la cassettiera porta-attrezzi, le cui ruote erano bloccate. Ray gemette nell’urtare con la spina dorsale un cassetto aperto, e indietreggiò inciampando mentre il cassetto si chiudeva. Chris gli tolse la chiave inglese dalle mani e lo minacciò, urlando. «Dov’è Hirschorn?»

«Oddio, Chris… Oh Gesù…»

«Non fare la commedia con me, pezzo di merda. Sei tu che l’hai chiamato, Kennedy. L’hai messo dietro a mia moglie. Dovrei ammazzarti subito!» Chris alzò l’attrezzo come per colpire.

«Io non…»

«Kennedy l’hai chiamato tu, vero? È tutta opera tua.»

Tubbs, il meccanico, si era accorto solo in quel momento di quello che stava accadendo e stava cercando di uscire dall’aereo.

Ray si mise una mano sul petto. «Te lo giuro su Dio, Chris», balbettava. «Te lo giuro…»

«Dannazione, dov’è?» urlò Chris. «Dov’è Hirschorn? Che aereo deve prendere?»

«Ti prego, Chris, te lo giuro…»

«Ehi!» Era Tubbs, un ragazzo di circa trent’anni, basso ma svelto e reattivo. Era riuscito a svincolarsi dall’aereo e si trovava alle spalle di Chris. Gli afferrò il polso e cercò di fargli mollare la chiave inglese. «Che cosa diavolo stai…»

Chris liberò il braccio dalla presa e assestò una gomitata sul naso a Tubbs, che venne spinto contro l’aeroplano. Cadde seduto sul cemento e poi si sdraiò sul fianco, le mani sul viso insanguinato.

Chris brandiva ancora la chiave inglese sopra la testa di Ray. «Dimmi dov’è o ti spacco la testa in due.»

«Chris, io…»

Dietro di loro si udì uno stridore di pneumatici. Chris si girò per guardare fuori dall’hangar.

E questa volta furono i suoi occhi a riempirsi di terrore. Sul piazzale c’era la BMW nera degli uomini di Hirschorn, che probabilmente lo avevano seguito fin lì, dopo essersi appostati vicino a casa. Goldmunsen e Flake si stavano affrettando a scendere dalla macchina. L’espressione minacciosa sul volto di Chris si era tramutata in sgomento. Il suo urlo divenne un lamento e gli si seccò in gola.

«Oddio», esclamò.

Lasciò andare Ray, che tornò a urtare la cassettiera. La chiave inglese cadde rumorosamente a terra. E in un secondo Chris era scomparso, schizzato via. Stava correndo verso il suo furgone.

Nel piazzale Goldmunsen, il gorilla, lo vide e cacciò un urlo. Flake, il piccoletto, assunse l’espressione di un segugio che punta la preda e iniziò a correre.

Chris aveva ormai la mano sulla portiera del passeggero quando, attraverso il finestrino, vide Flake che correva verso di lui, seguito da Goldmunsen. Erano a cinque passi. Stavano cercando la pistola sotto la giacca.

Non c’era il tempo per salire in macchina. Chris si bloccò, ruotò sui talloni e tornò a correre verso l’hangar.

Ray non si era mosso, paralizzato dalla paura. Quando vide Chris venirgli addosso come un treno in corsa, si appiattì contro l’aereo.

Chris lo superò guardandosi alle spalle per vedere dov’erano i suoi inseguitori, e per tale ragione si accorse troppo tardi della cassettiera degli attrezzi. Vi andò a sbattere con violenza e uno spigolo lo colpì allo stomaco, togliendogli il respiro. Nonostante le ruote fossero bloccate, la cassettiera s’inclinò e si rovesciò, rovinando fragorosamente a terra mentre Chris, senza fiato, barcollava nella direzione opposta e cadeva battendo malamente una spalla sul cemento.

Da quella posizione, vide Flake precipitarsi verso di lui. Lanciò un grido acuto, come quello di una donna, e annaspò finché non riuscì ad alzarsi, riprendendo la corsa frenetica verso la porticina dall’altra parte dell’hangar.

Era chiusa, ma aveva una finestrella di vetro. Da lì, Chris poté vedere la pista di volo, il cielo azzurro e il calore dell’estate che scioglieva l’asfalto.

Chris sapeva che la porta non era chiusa a chiave e vi si buttò contro. Per un istante, la sua faccia si appoggiò al vetro: Chris vide la pista, il cielo, il calore ruotare in una gran confusione nella sua mente sconvolta. E, in quello stesso istante, notò il particolare che poteva cambiare tutto, che gli avrebbe salvato la vita.

Vide Hìrschorn. Attraverso il tremolio dell’aria calda scorse Hirschorn in piedi vicino al 504, il Cessna bimotore. Tranquillo, con le mani in tasca, che guardava senza particolare interesse le ville sulle colline.

Pur spaventato, Chris riuscì a rincuorarsi. Ce l’aveva fatta, aveva trovato Hirschorn: gli avrebbe detto di Kennedy, del fatto che era un detective. Avrebbe salvato la missione e sarebbe rimasto vivo, al contrario di Kennedy.

Chris non si voltò, non c’era tempo. Ma sapeva che Flake non era ancora troppo vicino, che non lo avrebbe preso. Diede una spinta alla porta dell’hangar, che cominciò ad aprirsi verso l’esterno.

Poi il finestrino si annerì, perché Goldmunsen era apparso dall’altra parte e aveva sbattuto l’uscio in faccia a Chris.

Quando riaprì gli occhi, il pilota vide la faccia del gorilla che lo fissava, con una smorfia di soddisfazione. In quel momento fu raggiunto anche da Flake, che gli puntò alla gola la fredda canna di una Glock mentre, con il poco fiato rimasto, gli sussurrava nell’orecchio: «Ti ho beccato, figlio di puttana». Lo scostò dalla porta per permettere a Goldmunsen di entrare. Ray Gambling era immobile, ammutolito.

«Aspettate», urlò Chris, senza fiato. «Devo parlare con Hirschorn, devo dirgli…»

Non riuscì a terminare la frase. Goldmunsen lo colpì allo stomaco con uno dei suoi pugni duri come magli e il rantolo di Chris risuonò per tutto l’hangar, fino a giungere alle orecchie di Ray. Il pilota cadde in ginocchio.

Goldmunsen osservò la sua vittima con un gran sorriso, poi alzò gli occhi su Ray e gli rivolse lo stesso grottesco sorriso. Il vecchio distolse subito lo sguardo.

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