Andrew Klavan - Shadowman

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Shadowman: краткое содержание, описание и аннотация

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Un investigatore romantico, arguto e profondo conoscitore dell’animo umano; un motociclista e pilota, cinico e testardo, che non esita a menare le mani, e infine un giovane apprendista detective, idealista e sognatore. Sono questi i tre eroi della Weiss Investigations, un’agenzia che, sullo sfondo mutevole di San Francisco, si trova coinvolta in una fitta trama di casi che alla fine convergono in un unico grande complotto. Sembra, infatti, che dietro a tutti i delitti, gli attentati e le trame criminali ci sia un killer che nessuno ha il coraggio di nominare.
, l’uomo ombra, и una realtа o soltanto un nome, dato per spaventare poliziotti e delinquenti? И un astuto criminale o solo un fantomatico personaggio inventato per archiviare i troppi delitti irrisolti? Ma la presenza di
и reale, presente in ogni tassello di un complesso mosaico di azioni criminali finalizzate a un piano che lui solo conosce. E che solo gli agenti della Weiss Investigations sapranno svelare…
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38

Dopo che le guardie ebbero recuperato Pomeroy per riportarlo in cella, Weiss rimase seduto dov’era ancora per un po’. Teneva le mani sulle gambe e fissava la barriera trasparente dietro la quale, ormai, non c’era più nessuno. Ketchum gli era accanto e, stranamente, non parlava.

«Dannazione», sospirò finalmente Weiss.

«Be’, almeno una cosa positiva c’è», disse Ketchum. «Non ci ha detto il nome, ma finché si trova qui, il nostro amico, Shadowman, non può certo raggiungerlo.»

Weiss annuì, poco convinto. Ketchum poteva anche aver ragione, ma c’era qualcosa… quel senso di urgenza che non lo abbandonava, quella visione di lui che saliva le scale, con i minuti contati.

Comunque, in quel momento, non c’era altro da fare. Si alzò pesantemente e avanzò verso la porta, seguito da Ketchum. Suonò e aprì il battente.

Prima di imboccare il corridoio, si voltò un’ultima volta a guardare la sedia vuota al di là del vetro. «Forse hai ragione», disse. «Penso che qui sia al sicuro.»

Uscirono e, per un po’, la stanza, il parlatorio numero tre del carcere di massima sicurezza di North Wilderness, rimase vuoto. Vuoto e deserto per mezz’ora, quaranta minuti, non di più. Poi la porta ronzò e si aprì di nuovo per lasciar passare un uomo magro con il vestito grigio scuro. Teneva le mani unite davanti a sé, i gomiti stretti ai fianchi. Sembrava una persona pignola e sprezzante.

L’assistente di Bernard Hirschorn, Alex Wellman, si sedette su una delle sedie di plastica e aspettò. Dopo qualche minuto, la porta al di là del vetro si aprì ed entrarono due guardie, con un prigioniero incatenato. Era l’uomo chiamato Ben Fry.

39

Sono ora costretto a ritornare, brevemente, sulle mie meno avvincenti avventure.

Avevamo lasciato l’eroe — cioè io — in preda a un dilemma morale. La mia brillante investigazione mi aveva fatto scoprire lo scomodo segreto del reverendo Reginald O’Mara. Per dirla tutta, nel momento m cui aveva presumibilmente visto il nostro cliente derubare e menomare per la vita un ragazzo dell’università, era intento a pratiche ben poco ortodosse con un parrocchiano del suo stesso sesso. Ora, io non sono cattolico, e neanche un moralista. Non mi importa certo di chi si inchiappetta chi, a patto che entrambi siano consenzienti e adulti. Ma mi rendevo conto che non tutta l’opinione pubblica o, peggio, i parrocchiani del reverendo la potevano pensare come me. Ciò mi portò alla conclusione che padre O’Mara fosse, per dirla con i teologi, nella merda fino al collo. Se avessi fatto rapporto a Sissy, come mi aveva chiesto, avrei distrutto la carriera di un uomo giusto, che aiutava i poveri e i disperati, per salvare il nostro cliente, cioè, come ho già detto, un delinquentello che non meritava altro che di finire in carcere, dove la testimonianza del sacerdote l’avrebbe spedito senza alcuna difficoltà, purché si ignorasse la faccenda dell’inchiappettamento.

Però, se avessi fatto finta di niente, sarei venuto meno al mio dovere professionale. Ecco perché ero in un bel dilemma. Da un lato c’erano tutte le belle parole sulla giustizia, Sissy che mi chiamava «mio caro», il fatto che, almeno nella mia testa, questo caso mi dava la possibilità di diventare un eroe come quelli dei romanzi che leggevo da piccolo e di avere nuovi incarichi assieme a Sissy e quindi, così speravo, di andare a letto con lei. Argomentazione che per un uomo ha un’indubbia validità. Ma, d’altro canto, la prospettiva di diventare un rovina-preti per liberare un delinquente non mi piaceva proprio. Così mi arrovellai finché non mi venne in mente che, quando si ha un problema morale, ci si rivolge a un prete.

Brad Murphy — l’inchiappettato — mi combinò un incontro con il reverendo O’Mara davanti al palazzo della Legione d’Onore, proprio sotto la statua del Pensatore , ciò che mi sembrò opportuno, visto quanto avrei dovuto pensare ancora prima di riuscire a stendere un qualsiasi rapporto.

Il palazzo, per chi non l’ha mai visto, è una costruzione maestosa, con un arco neoclassico fiancheggiato da imponenti colonnati. Davanti c’è un tempietto con una piccola piramide di vetro e al di là dell’ampia corte c’è una vasca d’acqua, che in quel momento rifletteva in modo molto scenografico il cielo divenuto basso e grigio come metallo. Ancora più in là svettavano esotici eucalipti, oltre i quali si stendevano le acque immense del Pacifico. Tutta questa maestosa grandezza mi faceva sentire ancora peggio. La figura del detective alla Marlowe che impersonavo un paio d’ore prima era in quel momento offuscata da quella di un viscido guardone che scava senza pietà nei segreti più reconditi degli altri.

Mentre ero intento a questi pensieri, ecco arrivare il reverendo O’Mara, con la faccia più plumbea del cielo di quel pomeriggio. Aveva circa cinquant’anni ed era abbastanza alto, con le spalle larghe e la vita sottile. Il volto era regolare, incorniciato da capelli che iniziavano a tingersi di grigio. Non indossava l’abito, né aveva il collarino bianco; solo un dolcevita grigio e dei pantaloni anonimi. Gli tesi la mano, ma lui l’ignorò, e ciò peggiorò la mia sensazione di essere un individuo meschino e piccolo, molto, molto piccolo.

C’era un gruppo di giapponesi che fotografavano la statua, perciò ci spostammo verso la corte. Eravamo affiancati, ma il reverendo non mi guardava. Teneva lo sguardo davanti a sé, parlando come se si stesse confidando con l’aria.

«Presumo che voglia del denaro», disse.

Sgranai gli occhi. «Non voglio soldi, santo cielo, no. Sono qui per aiutarla.»

Sbuffò in un modo che mi fece vergognare ulteriormente. Stavamo passando sotto l’arco e i nostri passi rimbombavano.

«Mi vuole aiutare?» disse.

«Esatto. Non credevo certo di imbattermi in una situazione del genere, durante le indagini.» Entrammo nella corte e le nostre voci non riecheggiarono più. «Stavo solo controllando la testimonianza, questo era il mio compito, e così ho scoperto…» Mi sentivo come in confessionale.

Procedemmo fino alla vasca e ci fermammo a fissare l’acqua. Finalmente lui si girò a guardarmi. Lo vedevo solo di scorcio, ma mi sembrò che stesse cercando di valutarmi.

«Che sorpresa», disse in tono più mite. «Un investigatore privato con una coscienza.»

«In effetti… sono nuovo del mestiere», risposi.

«Capisco. Comunque, siamo davanti a un bel problema.»

«Mi ascolti, lei sembra una persona per bene, padre. Io non voglio distruggerle l’esistenza, ma non posso neanche far andare in prigione il mio cliente.»

«E perché? Ha sparato a una persona.»

«Lo so, ma… è un cliente», dissi quasi dispiaciuto.

«Capisco.»

Una folata di vento freddo ci raggiunse e io mi infilai le mani in tasca, incurvando le spalle. Lo guardai. Teneva gli occhi rivolti lontano, come se stesse contemplando l’arrivo della catastrofe. Aveva un aspetto nobile, in quel momento. Nobile e triste.

«Non ha preso in considerazione l’idea di ritrattare?» riuscii finalmente a dire.

«Che cosa significa?»

«Be’, forse non ha visto quello che dice di aver visto. Forse non ne è così sicuro, non può testimoniare.»

Aveva capito, naturalmente. Alzò il mento e sorrise. «Vuole che menta per salvarmi. Che lasci andare quel delinquente per salvare me stesso.»

«Senza offesa, reverendo, ma lei ha già mentito.»

Mi guardò, sempre sorridendo. Penso che dopotutto, se non mi sono sbagliato, avesse pietà di me. Un giovanotto invischiato in una faccenda più grande di lui. «Qualche volta può essere necessario variare leggermente la verità. In ogni caso, non l’ho fatto per proteggere me stesso, anche se non mi aspetto che lei mi creda. Ci sono tante persone che dipendono da me, dal lavoro che faccio. E molte altre che sarebbero danneggiate dallo scandalo, anche se non c’entrano.»

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