Rimasero a guardare, in silenzio e immobili, la sedia di metallo inchiodata al pavimento al di là del vetro. Entrarono due guàrdie che trascinavano un uomo ammanettato. Lo fecero sedere e lo incatenarono ai ganci fissati sul pavimento; poi si ritirarono. La porta si chiuse. Weiss e Ketchum si sedettero di fronte all’uomo incatenato, Lenny «Whip» Pomeroy.
Non aveva l’aspetto di un galeotto comune. Era magro, con i lineamenti delicati e dita lunghe, delicate e nervose. Gli occhi avevano un’espressione di scusa e le labbra sottili continuavano a muoversi. Sembrava impegnato in un monologo con se stesso che si manifestava come un impercettibile sussurro.
Erano due mesi che mercanteggiava con i federali, rivelando identità nascoste in cambio di quella protezione. Praticamente era da allora che non vedeva il sole e il suo pallore era cadaverico.
«Dunque, Pomeroy», iniziò Ketchum. «Sono l’ispettore Ketchum del dipartimento di polizia di San Francisco. Questo è il detective Weiss, della Weiss Investigations, un’agenzia privata. Deve farti un paio di domande.»
Gli occhi del poveretto si mossero da uno all’altro fino a scegliere Weiss, senza però fissarlo, piuttosto ronzandogli intorno come un insetto irrequieto. Scosse appena la testa. «No, no. Avevamo detto tre mesi.» La voce era come un nervoso singulto che il microfono rendeva metallico e spezzato. Le catene cigolarono, mentre muoveva le mani. «Non vi dirò niente per almeno tre mesi.»
«Non sono qui per questo», disse Weiss, in tono pacato.
«Tre mesi, questo era l’accordo.» Non riusciva a tener ferme le mani.
«Non voglio nessuna informazione sui tuoi clienti.»
«Avevamo un accordo, mi avevate detto…»
Weiss tagliò corto: «Stiamo cercando Julie Wyant».
L’effetto fu immediato e drammatico. Weiss non avrebbe creduto che il giovanotto potesse ulteriormente impallidire, ma anche l’ultimo, impercettibile colore vitale scomparve dalle sue guance. Sulla sedia in quel momento c’era un essere trasparente, tranne gli occhi, enormi e terrorizzati.
Weiss non riusciva a capire se stava scuotendo la testa o se era in preda a una crisi isterica. Parlò comunque, sempre con voce calma. «Non lavoro per Shadowman», disse. «Sto cercando di fermarlo.»
Gli occhi non smettevano di roteare. «Sì… be’… Per forza dite così, no? Io… Come faccio a saperlo? Capite quel che dico? Come faccio…?» La voce venne meno. Le labbra continuarono a muoversi ma non uscì più un suono.
Weiss ignorò la domanda. «Io la vedo così», continuò, ancora più calmo. «È accaduto qualcosa mentre Cameron Moncrieff stava morendo nel suo letto. Forse ha detto o fatto qualcosa che riguardava Shadowman e per cui il killer si è sentito minacciato. Julie Wyant era presente, così come il legale di Moncrieff, Peter Crouch; anche Harry Eidder, il giardiniere, ha sentito, forse dalla finestra, forse perché passava di lì o stava origliando.»
«Si occupava delle rose.» La frase si distinse nel mormorio senza senso dell’uomo, come un improvviso bagliore nella notte buia. «Le prime rose Heart of Gold della stagione, fiorite proprio sotto la finestra della camera da letto. Ha sentito per caso, solo per caso.»
Weiss annuì, incoraggiandolo con uno sguardo profondo e comprensivo. Era piegato in avanti, con le mani sulle ginocchia. «Che cosa vi ha detto, Pomeroy? Che cosa è accaduto quel giorno? Devo saperlo, per Julie.»
Weiss e Pomeroy si guardarono attraverso la parete trasparente. Più tardi, Ketchum avrebbe detto che gli era sembrato di assistere a un esorcismo, come se il nome della ragazza, trasformato in una formula rituale, avesse obbligato il giovanotto a liberarsi dell’ossessione.
Le labbra su quel volto cadaverico sussurravano sempre più forte. «Non potete capire… Non potete, non la conoscete.»
«Spiegami, allora. Che cosa è successo?» continuò Weiss. «Moncrieff le ha detto qualcosa? Qualcosa che Shadowman non voleva che sapesse? O le ha dato qualcosa che non doveva avere…»
«No!» sibilò Pomeroy. «No, no, no. Non capite. Pensate che si tratti… si tratti di cose… di cose. Ma voi non la conoscete, non conoscete Julie.» Scandì le sillabe del nome con dolcezza, con una specie di esaltazione.
A Weiss non piacque quel tono, lo faceva sentire insicuro, come se improvvisamente la sua ricostruzione avesse meno valore, o lui stesso non volesse più sapere la verità.
«È lei che ha cambiato le cose», continuava Whip, senza mutare il modo di esprimersi: melenso, esagitato. «Ha cambiato… tutto. Tutti. Era… una creatura irreale, come la figura di un quadro, un sogno diventato realtà. Era come le persone non sono mai. Non potete capire.»
Weiss, sempre più oppresso e a disagio, fissò l’uomo che stava dall’altra parte del vetro, incatenato. Dall’espressione sembrava che stesse per entrare in una sorta di trance, provocata dal desiderio della donna scomparsa.
Il detective scosse sconsolato la testa, come se non comprendesse; in realtà, temeva proprio di cominciare a capire.
«Ti faceva sentire come se tu fossi l’unica persona al mondo», stava sussurrando Pomeroy, estasiato. «E quando ti toccava… ecco… le cose cambiavano. Tutti cambiavano.»
«Moncrieff, è di Moncrieff che stiamo parlando.» Weiss cercò di farlo ritornare in sé. «Intendi dire che ha cambiato Moncrieff.»
«Cam l’adorava, come me, come tutti… E dopo che Cam l’ebbe assunta, il modo in cui lei ebbe cura di lui durante la malattia, il modo in cui si comportava con lui… È cambiato, ecco tutto. Voleva… fare qualcosa, non so se mi spiego.»
Weiss cercava di liberarsi del malessere che lo aveva colto e di mettere a fuoco la logica emotiva dello scenario che Pomeroy stava descrivendo. Moncrieff, un consumato trafficante di droga e pappone, sul letto di morte. Il peso dei suoi peccati lo schiaccia e sente già le fiamme dell’inferno sul deretano. «Vuoi dire che voleva fare qualcosa di buono prima di morire?»
La testa di Pomeroy andava su e giù, le mani si torturavano a vicenda, facendo muovere le catene. «Qualcosa per lei», disse. «Qualcosa per… salvarla.»
«Per salvarla.» Dalla prostituzione, pensò Weiss. «Voleva salvarla. Perciò le diede… che cosa? Del denaro?»
«Sì, del denaro. Cam però non aveva poi così tanti soldi. Le diede ciò che aveva di più utile a sua disposizione… cioè io… insomma, una nuova identità.»
«Moncrieff ti ha chiesto di fornirle una nuova identità?»
Gli occhi di Pomeroy vagarono per la stanza, come se inseguissero una mosca. Stava sussurrando ora, e non si capiva più che cosa stesse dicendo. Poi: «Era quello che potevo fare per lei. Cam lo sapeva. Nessuno ha mai rintracciato uno dei miei clienti. Nessuno, se io non ho parlato».
«D’accordo», lo incalzò Weiss. «Questo l’ho capito. Moncrieff voleva dare a Julie del denaro e una nuova identità per rifarsi una vita. Ma adesso ti chiedo: che cosa c’entra Shadowman? Che cosa vuole da voi? Perché la deve trovare? Che cosa sa Julie? Che cosa le ha detto Moncrieff prima di morire…?»
«Aaaah…» Il suono uscì improvviso dalle labbra di Pomeroy. Sembrò che fosse ritornato di colpo sulla terra e lo sguardo, il nuovo sguardo, era quello di un uomo che ha appena ricevuto una scossa elettrica sui testicoli. La bocca era semiaperta, gli occhi strabuzzati, i lineamenti contratti. Era come se le congetture di Weiss gli provocassero un dolore fisico. «Dite così perché… ve l’ho già detto: non la conoscete. Perciò pensate sempre che si tratti di cose. Denaro o informazioni… Non riuscite a immaginare che ci possa essere…»
Le labbra continuarono a muoversi, ma la voce era scomparsa. Weiss non riusciva ancora a capire, era ancora seduto con quel sospetto sospeso nell’aria, a cui non riusciva a dare forma.
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