Eppure Sissy mi aveva chiamato «mio caro» e aveva detto qualcosa sul sistema giudiziario e… ho già detto che mi aveva chiamato «mio caro»? Insomma, presumevo che fosse mio dovere aiutare gli avvocati nel tentativo di salvare il ragazzo.
Perciò nel primo pomeriggio mi recai a Pine Street, sulla scena del crimine. Mi divertivo un mondo nei panni del vero detective, sfoggiando addirittura un sorrisetto sardonico e uno sguardo sospettoso a cui nulla doveva sfuggire. Mi misi sul marciapiede opposto al bancomat a osservare i passanti. Li vedevo senza difficoltà e non c’era dubbio che fosse possibile riconoscere qualcuno anche in un secondo momento, avendolo visto a quella distanza. Dunque non c’era dubbio — almeno per me — che il reverendo O’Mara avesse detto la verità.
Stavo per riprendere la via dell’ufficio quando, però, mi colse un sospetto. Mi fermai ancora un momento a osservare più attentamente i passanti al di là della strada, e mi tornarono in mente le foto segnaletiche di Strawberry. La sua faccia, ripresa dal davanti e di profilo, era incorniciata da una massa di capelli; la chiazza pelata, se mai ci fosse stata, non si sarebbe potuta vedere se non da dietro. Ora, padre O’Mara aveva detto che non lo aveva mai visto di spalle… e l’aggressore, per fuggire, era scappato diritto in avanti, svanendo nel buio dopo aver sparato. Quindi come aveva fatto il testimone a vedere la chiazza pelata?
Alzai lo sguardo verso le finestre delle case dietro di me e pensai che avrebbe potuto notarla solo se l’avesse visto dall’alto.
Le caselle della posta indicavano dieci nomi, fra cui un Murphy, al primo piano: forse un irlandese cattolico, come il reverendo O’Mara. Suonai il campanello e mi rispose una voce maschile; dissi che dovevo consegnare dei fiori. La porta si aprì e mi sentii un grande investigatore.
Brad Murphy mi aspettava sulla porta. Era un giovane carino che stava in piedi con la mano appoggiata sul fianco un po’ sporgente, in un atteggiamento effeminato.
«Signor Murphy», dissi, «sono della Weiss Investigations, un’agenzia privata. Conosce un sacerdote di nome Reginald O’Mara?»
Il volto aggraziato del ragazzo mi fissò., con uno sguardo assente, ancora per un secondo. Poi Murphy scoppiò in un pianto dirotto.
«Glielo avevo detto», esclamò con la voce acuta rotta dai singhiozzi. «Glielo avevo detto che non saremmo mai riusciti a mantenere il segreto!»
Bishop era in camera sua, seduto alla scrivania, che batteva sulla piccola tastiera del portatile.
Weiss, ha funzionato. Wannamaker è fuori, io sono in gioco. Stasera alle sei sarò in volo verso una destinazione ignota. Quando sarò là, mi daranno le istruzioni sul mio incarico e ti farò sapere. Se abbiamo fortuna, possiamo portare a termine la missione senza comprometterci…
«Voltati.»
Al suono di quella voce alle sue spalle, le mani di Bishop si fermarono a metà della frase, ma lui non si voltò. Guardava fuori dalla finestra, dove il caldo sole pomeridiano incendiava l’aria fra i rami.
«Voltati», ripete la voce.
Con un gesto fulmineo, salvò l’e-mail e spense il computer. Solo allora spostò appena la sedia per vederla in viso.
Kathleen era già nella stanza, a pochi passi da lui. Da lì era improbabile che avesse letto il messaggio, ma Bishop non ne era del tutto sicuro.
«Come va, Kathleen?» disse con un tono di voce pacato, anche se era stupefatto di trovarsela alle spalle, e stupefatto di vederla lì. Dopo la storia al Clover Leaf, Chris l’aveva controllata come un cane da guardia e lei non era potuta più venire ai loro abituali incontri. L’ultima volta che l’aveva vista, quella mattina, stava uscendo con Chris per andare al lavoro.
Invece adesso era lì, in carne e ossa, con le braccia conserte e incazzata a morte, a giudicare dall’aspetto.
«Come cazzo pensi che vada, Frank?» disse. «Che ti prende? Non hai sentito quanto urla Chris? Sei l’unico in tutto il quartiere a non essertene accorto?»
«Chris…?»
«Che cosa cazzo avevi nella testa quando sei andato al bar ad azzuffarti in quel modo?»
Bishop si sentì sollevato. Non aveva letto il messaggio. «È successo e basta», le rispose.
«Stronzate, Frank, mi ha detto come è andata. Lo hai provocato. Che cosa credevi di fare?»
«Non… non so.»
«Te l’ho già detto, tu non sei il mio salvatore, nessuno ti ha chiesto di esserlo.»
«Non l’ho fatto per questo, è successo e basta», ribadì Bishop.
«Adesso non mi molla un secondo, dice che devi andartene, che devo buttarti fuori, altrimenti… Mi fa sorvegliare da tutti, e a ogni cosa che dico da fuori da matto. Se viene a sapere che sono stata qui mentre lui era in volo, finisce che mi ammazza. Ma cosa cazzo ti è venuto in mente?»
Bishop rimase seduto, guardandola con i suoi occhi chiari. Gli era venuto in mente che era ora di sbarazzarsi di lei, ecco tutto. Aveva ottenuto quel che voleva ed era entrato nel giro di Hirschorn. Lei non gli serviva più. Era giunto il momento di premere il pulsante EJECT.
Invece esitò, non ancora sicuro di volerle dire tutto. Tra un paio d’ore sarebbe stato in volo e poi… qualsiasi cosa fosse successa, non sarebbe tornato. Lei se ne sarebbe resa conto senza che lui dovesse sopportare lacrime o rimostranze.
Ci pensò ancora per qualche istante; poi, forse per un moto della coscienza o in nome di un suo particolare codice d’onore, sentì che le doveva qualcosa. Kathleen era in pericolo e lui doveva avvertirla. Se Hirschorn avesse scoperto che lei gli aveva passato delle informazioni, l’avrebbe sicuramente uccisa. Doveva darle la possibilità di salvarsi, forse perché la sua presenza in quelle notti d’estate gli aveva fatto molto piacere. Qualunque cosa fosse, non poteva abbandonarla in quel frangente pericoloso.
«Senti, Kathleen…» accennò lentamente.
Ma lei lo interruppe subito. «No, merda… Oh, no!»
«Ascoltami.»
«Te ne vai? Merda. Lo sapevo…» Batté un piede sul pavimento. «Che idiota che sono. Oddio, avrei dovuto saperlo che saresti andato via. È così, vero?»
Bishop guardò in basso e annuì. Desiderava non doverle dire di Hirschorn e tutto il resto. Avrebbe voluto semplicemente andarsene, senza complicazioni. «Sì», disse. «Devo andare.»
Kathleen cercò di ricacciare indietro le lacrime arricciando il naso, il mento tremante. Tenne le braccia ostinatamente incrociate sotto il seno, mentre aggiungeva: «Bene, è naturale, ovvio. Che idiota sono stata, una perfetta idiota».
«Devi ascoltarmi…» tentò nuovamente Bishop.
«Che cos’è stato tutto questo per te, Frank?» chiese. «Un lavoro estivo con annessa casa estiva e scopata estiva. Io ero giusto a portata di mano e…»
Bishop imprecò tra sé. Che cosa voleva da lui? Che cosa doveva dirle? Che era il suo lavoro? «Ascoltami, adesso!»
«Be’, si dà il caso che per me sia stato qualcosa di più», continuò lei. «Più di…» Non riuscì a proseguire perché stava per piangere. Strinse gli occhi e premette la base del naso fra il pollice e l’indice. Un’unica lacrima riuscì a passare e le cadde sulla mano. «Merda.»
Bishop si alzò in piedi, riluttante. «Kathleen…»
La donna si era coperta gli occhi con una mano e le labbra le tremavano.
«Sono così incasinata», disse. «Tutta la mia vita è un casino. Non posso tornare indietro», sospirò con amarezza, «non posso tornare da lui. Non posso e basta.»
Tolse la mano dagli occhi e mostrò il volto arrossato dal pianto. Poi lo pregò senza pudore. «Perché devi andare via? Perché non puoi restare? Perché?»
Bishop imprecò di nuovo tra sé. Si avvicinò alla donna e le posò le mani sulle spalle guardandola negli occhi, da cui colava a rivoli il mascara.
Читать дальше