Andrew Klavan - Shadowman

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Shadowman: краткое содержание, описание и аннотация

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Un investigatore romantico, arguto e profondo conoscitore dell’animo umano; un motociclista e pilota, cinico e testardo, che non esita a menare le mani, e infine un giovane apprendista detective, idealista e sognatore. Sono questi i tre eroi della Weiss Investigations, un’agenzia che, sullo sfondo mutevole di San Francisco, si trova coinvolta in una fitta trama di casi che alla fine convergono in un unico grande complotto. Sembra, infatti, che dietro a tutti i delitti, gli attentati e le trame criminali ci sia un killer che nessuno ha il coraggio di nominare.
, l’uomo ombra, и una realtа o soltanto un nome, dato per spaventare poliziotti e delinquenti? И un astuto criminale o solo un fantomatico personaggio inventato per archiviare i troppi delitti irrisolti? Ma la presenza di
и reale, presente in ogni tassello di un complesso mosaico di azioni criminali finalizzate a un piano che lui solo conosce. E che solo gli agenti della Weiss Investigations sapranno svelare…
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Hirschorn annuì. Non aveva più il sorriso benigno sotto i baffi argentei. I suoi occhi non erano più amichevoli. Guardava Bishop con calcolata attenzione, come per studiarne le reazioni mentre proseguiva. «Ecco che cosa deve fare. Ci vediamo all’aeroporto domani alle sei. Voleremo fino a una certa destinazione e, una volta là, le diremo ciò che è necessario che sappia, niente di più. Da quel momento, non potrà lasciare il luogo o comunicare con qualcuno all’esterno per nessuna ragione, finché l’operazione non sarà conclusa. Mi dispiace dover prendere tutte queste precauzioni ma, lei capisce… sono certo della sua buona fede, ma non si sa mai. Questo mio socio… be’, è un tipo… alquanto esigente… estremamente esigente», ripeté in un filo di voce. E qualcosa nel tono, nel modo in cui pronunciò queste ultime parole, fece capire a Bishop che Hirschorn aveva paura; ne era quasi certo, l’uomo aveva paura del suo socio. Gli ritornò in mente l’e-mail di Weiss: «Sembra esserci un legame fra queste persone e un sicario professionista che la polizia chiama Shadowman…»

«Diciamo che non sono lieto di aver dovuto modificare i piani all’ultimo minuto, soprattutto per un’operazione così complessa», continuò Hirschorn. «Per adesso quello che deve sapere è che si tratta di un buon affare, ma dal momento in cui lei ne entra a far parte, devo essere sicuro che terrà la bocca chiusa. Questo è tutto.»

Bishop annuì, riflettendo sulla trappola in cui si stava cacciando. Perché di una trappola si trattava, non vi erano dubbi. Doveva farsi portare in un luogo segreto, non essere reperibile fino alla fine del lavoro e poi… che cosa diavolo pensavano di farne di lui, una volta che il lavoro fosse finito? Pagarlo e semplicemente salutarlo con una stretta di mano? Uno che non sapevano quasi chi fosse, di cui non sapevano se fidarsi o meno? Stronzate. Centomila dollari per un giorno di lavoro erano veramente troppi; una bella pallottola in testa era sicuramente più economica, e soprattutto più sicura.

Weiss andrà sicuramente su tutte le furie, quando lo saprà, si ritrovò a pensare: lo avrebbe tolto dal caso non appena fosse stato informato.

E dunque doveva solo accertarsi che Weiss non lo venisse a sapere finché non fosse stato troppo tardi.

«C’è un’ultima cosa», aggiunse Hirschorn, immobile sulla poltrona con le mani in grembo, le dita intrecciate. Anche se il vecchio sembrava rilassato, Bishop ne intuiva la tensione, sentiva — quasi fisicamente — i nervi vibrare. «Se non se la sente di farlo, la capirò. Non ci saranno problemi, nessuna minaccia. Ma deve decidere adesso. Una volta che è dentro, non ci sarà più possibilità di uscirne, nessuna possibilità.»

Bishop era ancora sprofondato nel divano, la mano sullo stomaco, gli occhi cupi nel viso pallido. Una trappola, continuava a pensare. Una trappola, in piena regola.

«Se salirà con me su quell’aeroplano domani», gli ripeté Hirschorn, «tornerà a casa con centomila dollari in tasca… oppure non tornerà. Non so se mi spiego.»

Bishop annuì ancora. Pensò: Cristo; ma disse: «Certo, capisco».

«Allora, ci sta?»

«D’accordo.»

29

Quel pomeriggio Weiss guidò fino a Half Moon Bay, lungo la costa. Dall’oceano spirava una brezza piacevole e l’aria era tersa. Le colline circostanti erano coperte di alti pini verde scuro e nuvole perlacee s’inseguivano sul mare, che s’intravedeva fra le piante. Nella sua vecchia Taurus grigia, Weiss ignorava il panorama e rimuginava tra sé ripensando all’ultima e-mail di Bishop, cosa che, come sempre, gli rovinava la digestione.

«Qui la situazione è molto instabile. Chris Wannamaker sta per essere messo da parte. Abbiamo avuto un confronto e Hirschorn ha ormai scelto…»

Tutte stronzate. Ogni singola parola era una stronzata. Weiss gli aveva espressamente chiesto, senza possibilità di essere frainteso, di «non farsi ulteriormente coinvolgere nell’operazione finché non scopriva qualcos’altro». Ma fra le righe di quest’ultimo messaggio Weiss poteva leggere che questo era esattamente ciò che quel cane sciolto di Bishop stava per fare. Perché si sarebbe scontrato con Chris Wannamaker, se non per svilirlo agli occhi di Hirschorn e mettersi in luce come un possibile sostituto? E per ottenere cosa? «Molte incognite: quando Kathleen cederà e dirà tutto al marito, come lui reagirà, quale decisione prenderà Hirschorn…» In parole povere, la situazione poteva esplodere da un momento all’altro. Se Kathleen si fosse fatta prendere dai sensi di colpa, o se avesse deciso di usare la sua storia con Bishop per chiudere con il marito. E se Chris avesse scoperto che lei dava informazioni a Bishop, oppure l’avesse scoperto Hirschorn…

In quel momento, Weiss non sapeva se ciò che lo faceva stare peggio era la collera o il senso di colpa. La collera nei confronti di Bishop, che metteva in pericolo la sua vita e quella delle altre persone coinvolte; o il senso di colpa per il fatto che lui, Weiss, non aveva intenzione di fermarlo.

«C’è poco tempo.» Così aveva scritto Bishop. Ed era la verità. Il tempo era veramente poco. Qualsiasi cosa stesse per accadere, Weiss sentiva che sarebbe accaduta presto. Non aveva idea di che cosa fosse, ma c’erano altri pezzi del puzzle che stavano iniziando a trovare il loro posto. E più ne scorgeva i contorni, meno gli piaceva.

Weiss aveva uno strano modo di procedere, basato sull’intuito. Ho spesso pensato a lui come a un artista in questo campo. Aveva l’abilità di riuscire a pensare con la testa degli altri, anche se erano degli sconosciuti, se non li aveva mai incontrati. Riusciva a immaginarsi che cosa avrebbero fatto e, senza che lui sapesse come, gli si presentava alla mente lo scenario di ciò che era accaduto o che doveva accadere.

Anche in quel momento stava per succedere. La morte di un ricco criminale, Cameron Moncrieff, il suicidio del suo giardiniere, Harry Ridder, il possibile suicidio della sua assistente, Julie Wyant, l’incarcerazione del suo amante, Whip Pomeroy, che patteggiava con i federali in cambio di protezione contro il fantomatico Shadowman. Tutto ciò iniziava ad avere un senso nella testa di Weiss; i comportamenti delle singole persone iniziavano a formare un unico quadro.

E insieme alla comprensione arrivava anche la sensazione di urgenza, di paura, di cui era solo vagamente consapevole. In un modo che non sapeva definire, questa sensazione era legata al nome di Julie Wyant. Anche se, presumibilmente, la ragazza era morta, anche se la polizia era sicura della sua dipartita e anche se lui stesso pensava che fosse deceduta, non riusciva a togliersela dalla mente. L’immagine di lei non lo abbandonava, accompagnata da una fantasia in cui lui saliva delle scale di corsa, con i minuti contati, fino a una porta chiusa a chiave dall’interno. L’abbatteva con un calcio e la trovava, giusto in tempo per salvarla, sdraiata sul letto con i bei capelli rosso oro intorno al volto angelico. Lei lo guardava con gratitudine, con quegli occhi eterei, protendeva le braccia…

Insomma, era così che si sentiva, proprio come in quel sogno a occhi aperti: sentiva che doveva fare in fretta, che ogni secondo era importante. Ecco perché non si azzardava a fermare Bishop, perché avrebbe convissuto con la collera e il senso di colpa, per non parlare del mal di stomaco. E anche perché stava dirigendosi a Half Moon Bay.

Era stata dura, ma infine aveva rintracciato l’avvocato di Cameron Moncrieff, Peter Crouch. Si diceva che fosse andato in pensione dopo la morte del suo assistito, ma nessuno sapeva dove e, cosa ancor più sorprendente, nessuno sembrava darsene pena. Il vecchio Crouch non aveva amici, non era mai piaciuto a nessuno. Un individuo grassoccio, dall’aspetto anonimo e dalla voce monotona, con l’espressione viscida e servile, sopportato solo da quegli spacciatori, magnaccia, strozzini e delinquenti di vario calibro che aveva difeso nella sua carriera e che lo frequentavano solo quando ne avevano bisogno. Nessuno era andato a salutarlo quando aveva fatto fagotto e lasciato la città, nessuno aveva versato una lacrima o tirato un sospiro di sollievo. Intorno a lui c’era solo indifferenza.

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