«Perché è stupido», incalzò Ketchum.
«Esatto. Così, una volta individuato Hinckel, gli ho chiesto di richiamare Carlos e dirgli che si era sbagliato nel valutare una moneta, e gli doveva ancora circa duemila dollari.»
«Ed eccolo qui», disse Ketchum con un sorriso soddisfatto. «Che cosa te ne pare, Carlos? L’unico motivo per cui sei stato preso è che sei un pezzo di merda imbecille. Questo dovrebbe farti stare meglio quando marcirai in prigione.»
A quel punto tacquero, ognuno immerso nei suoi pensieri. Al termine della discesa, l’auto fece una specie di salto prima di imboccare la successiva salita, che era quasi verticale. Sul parabrezza apparve un cielo azzurro e una candida nuvola illuminata dal sole.
Poi Ketchum ridacchiò fra sé e sé prima di dire: «Sai, mi piace questa storia. Il Topo sogna di violentare una ragazza inventata e assolda questo cazzone qui dietro per realizzare il suo sogno. Che ne pensi, Carlos? In fin dei conti, come assassino esistevi solo in quanto prodotto della fantasia della tua vittima. Ora che lui è morto, tu scompari». Ridacchiò ancora, con un suono cupo. «Sei un’interfaccia, amico, ecco che cosa sei.»
Weiss si voltò verso Ketchum, con la solita espressione grave in faccia. Lasciò passare un momento, poi disse: «Ketchum, devo parlare con mister Falsa Identità».
La risatina di Ketchum si soffocò in gola. «Che cosa cavolo stai dicendo?»
«Whip Pomeroy, e in fretta anche. Devo parlargli prima possibile.»
L’ispettore lanciò un’occhiata di sbieco al suo vecchio amico, al suo unico amico. «Mi prendi in giro?» Ma l’espressione di Weiss non cambiò. «È in custodia chissà dove. Come diavolo faccio a portarti da lui?»
La macchina si fermò in precario equilibrio in cima alla salita. Davanti a loro passò un tram che si stagliò contro il cielo, scampanellando. Ketchum ne approfittò per guardare Weiss negli occhi. L’espressione di quest’ultimo era immutata: sempre quello sguardo grave, stanco del mondo.
Ketchum ritornò a fissare la strada, scuotendo la testa disgustato.
«Non ci posso credere», sospirò.
Il mattino dopo, quando Weiss entrò, avevo i piedi appoggiati sulla scrivania e il Chronicle aperto davanti a me.
«Ti pago per questo?» lo sentii dire.
«Non proprio.» Chiusi rumorosamente il giornale e abbassai i piedi. «Comunque stavo leggendo le sue eroiche imprese.»
«Vorrai dire le tue imprese, non le mie.»
«Mie? In che senso?»
«Nel caso della vergine spagnola, il killer… era proprio come hai detto tu: un’interfaccia. Esisteva pur non essendo reale.»
Risi e arrossii contemporaneamente. «D’accordo, d’accordo, mettiamoci una pietra sopra.»
«No, sono serio, penso che cambierò l’insegna sulla porta: INDAGINI ACCURATE MEDIANTE NONSENSE FILOSOFICI.»
«Lavoro, condivido la vita del gruppo, cerco di dare un contributo, e che cosa ricevo in cambio?»
«INVESTIGATORI SEMPRE AL VOSTRO SERVIZIO, CHE CI SIANO O CHE NON CI SIANO.»
«Niente altro che derisione e mancanza di rispetto.»
Weiss era in piedi accanto a me con le mani in tasca, visibilmente divertito. Dopo pochi secondi indicò il giornale con il mento e disse: «Allora, che ne pensi?»
«Di che cosa?» replicai. «Del caso Spender? Proprio non lo so.»
«Dai, sei tu il pensatore qui dentro. Si tratta di una di quelle stronzate psicologiche? Si sentiva in colpa per via delle fantasie? Voleva punirsi?»
Feci una smorfia. «Forse. Ma a me sembra semplicemente che preferisse la morte alla realtà. Sono in molti a pensarla così, ma in pochi riescono a rendersene conto.»
Fui gratificato dall’espressione pensosa di Weiss. Stava allontanandosi, ma all’ultimo istante si girò e disse: «A proposito, ti affianco a Sissy nel processo Strawberry».
Non capii subito, o almeno non credetti a quello che avevo sentito. Poi l’eccitazione crebbe. «Vuol dire che…?»
«Ha bisogno di un assistente per seguire un paio di testimoni.»
L’aveva detto sul serio, mi aveva assegnato un caso vero. Era la prima volta ed era un bel passo in avanti per me. «Grazie, grazie mille», dissi. «È fantastico, davvero, grazie ancora.»
«È la ricompensa per aver risolto il caso della vergine.»
«Bene, perfetto! È fantastico!»
«Ora mi giro, d’accordo? Non scomparire.»
«Oh, basta!»
Raggiunse il suo ufficio e lasciò la porta aperta. Sentii che faceva un sospiro profondo e si calava pesantemente sulla sedia. Iniziai a organizzare il lavoro sulla scrivania, sorridendo. Intanto sentii che aveva acceso il computer e stava controllando la posta. Il caratteristico suono annunciò l’arrivo di un messaggio. Bishop, pensai.
Ci fu una pausa di silenzio, in cui probabilmente Weiss lesse la posta. Io presi il ricevitore per chiamare Sissy Truitt e annunciarle che aveva un nuovo assistente.
In quel momento fui raggiunto da un grugnito di Weiss.
«Ma che cazzo mi combina?» lo sentii esclamare, e udii il rumore della sua mano che picchiava sulla scrivania.
Qui la situazione è molto instabile. Chris Wannamaker sta per essere messo da parte. Abbiamo avuto un confronto e Hirschorn sicuramente l’ha saputo. Molte incognite: quando Kathleen cederà e dirà tutto al marito, come lui reagirà, quale decisione prenderà Hirschorn. Non vedo però altro modo per procedere. Parlando con Kathleen ho avuto la sensazione che neanche Chris sappia che cosa sta accadendo. Solo Hirschorn ne è al corrente e devo cercare di stargli addosso. Qualsiasi cosa stiano organizzando, accadrà presto. C’è poco tempo, farò del mio meglio. JB.
Quel mattino Driscoll era avvolta in una luce pallida e tersa. Era presto e la calura non era ancora salita. Il quartiere era tranquillo, gli uomini stavano andando al lavoro e anche qualche donna, i bambini erano ai campeggi estivi. Un cane abbaiava e, qua e là, si sentiva il ronzio degli irrigatori. Una tortora appollaiata sui fili del telefono cantava la sua lamentosa canzone.
Bishop era seduto davanti alla finestra della camera da letto e guardava Chris che picchiava Kathleen. Erano di sotto, in soggiorno, e stavano litigando da dieci minuti quando Chris l’aveva colpita con uno schiaffo sulla guancia.
«Ah, maledetto!» urlò la donna, cercando di colpirlo in faccia con un pugno. Ma Chris schivò il colpo e, più furente che mai, la picchiò ancora, così forte che Kathleen cadde al suolo, sul fianco. La fronte sbatté sullo spigolo imbottito del divano.
Bishop contrasse l’angolo della bocca quando la vide cadere: per uno come lui era la massima espressione di disagio. Tuttavia non si mosse, rimase a guardare, seduto alla scrivania, fumando nell’ombra. Le luci della stanza non erano accese e la finestra era appena aperta; poteva però vedere bene i Wannamaker e udirne anche le voci, quando gridavano.
«Voglio quella testa di cazzo fuori da quella casa, subito!» gridò Chris alla moglie, a terra.
Lei gli rispose urlando, fra le lacrime: «È casa mia e l’affitto a chi cazzo mi pare!»
Gli occhi di Chris esprimevano tutto il suo furore. Camminava avanti e indietro incombendo su di lei e, anche da una certa distanza, Bishop poteva vedere i segni che gli aveva lasciato due sere prima, al Clover Leaf. Un ematoma rosso-violaceo copriva un’intera guancia; era lì che gli aveva assestato la gomitata. Con quel livido in faccia, Chris sembrava un mostro, soprattutto mentre camminava in quel modo, come un animale in gabbia, agitando il dito davanti alla moglie, urlando e digrignando i denti.
Aveva abbassato la voce, ma alcune parole arrivavano ancora a Bishop: «… ti ronza intorno…»
Kathleen rispose. Bishop non sentì le sue parole, ma intuì che fossero altri insulti, perché Chris la colpì con un calcio dietro la coscia. La donna urlò, strisciando via sul pavimento, e rimase piegata su un fianco, ansimante, tenendosi la gamba. Chris continuava a camminare avanti e indietro, sovrastandola. «Puttana!» urlò a un certo punto. Bishop vide il corpo della donna scosso dal pianto.
Читать дальше