E si vennero a trovare tutti e tri contemporaneamente, Montalbano, Fazio e Augello, a voler trasire in quel vero e proprio pirtuso ch’era l’ingresso del centralino che a sua volta era un vano tanticchia più granni di un ripostiglio per le scope. Principiò una specie di lotta a spallate. Atterrito per l’irruzione, Catarella si fece erroneamente pirsuaso che quei tri ce l’avessero con lui. Lasciò cadere la cornetta che stava sollevando, si susì di scatto con gli occhi sbarracati, si addossò con le spalle alla parete e, le mani isate in alto, gridò:
«Mi arrenno!»
Montalbano si impadronì d’autorità del microfono.
«Qui parla il…»
Venne interrotto da una voce fimminina acutissima, isterica.
«Pronto! Pronto! Cu è ca palla?»
«Qui parla il…»
«Di subito accurrite! Rompitivi l’osso del coddro e accurrite!»
«Per caso, signora, le ammazzarono un qualichi armalo?»
La domanda imparpagliò la fìmmina.
«Eh? Di quali armalo palla? Che è, ‘mbriacu di prima matina?»
«Mi scusi, declini le sue generalità.»
«Ma comu palla, chistu?»
«Nome, cognome, indirizzo.»
A conclusione della disagiata conversazione telefonica, si capì che la signora De Dominici Agata, abitante in contrada Cannatello, “propiu allatu allatu alla funtaneddra”, era scantata a morti per via che il marito Ciccio era nisciuto di casa armato di fucile per andare a sparare a tale Armando Losurdo.
«Accriditimi: se lo dici, lo fa.»
«Ma perché gli vuole sparare?»
«E chinni sacciu? Chi lu veni a cuntari a mia, me’ maritu, ‘u pirchì?»
«Vai a dare un’occhiata» ordinò Montalbano a Fazio.
Fazio niscì murmuriartdosi e, a sua volta, ordinò a Galluzzo, che era appena arrivato in commissariato, di andare con lui.
La signora Agata De Dominici, cinquantina sicca sicca che pariva la personificazione della caristìa, appena vitti i due addecise d’abbattersi in lagrime sul petto capace di Galluzzo. Contò ai due esausti rappresentanti della legge (contrada Cannatello si trovava allo sdirrupo, avevano dovuto farsi tri quarti d’ora di strata a piedi pirchì con la machina non ci si arrivava) che il marito, nisciuto di casa alle cinco e mezza del matino per badare alle vestie, era rientrato deci minuti doppo che pariva addivintato pazzo, una stampa e una figura con Orlando, quello dell’òpira dei pupi, aviva i capiddri dritti in testa, santiava che manco un turco arraggiato, dava tistate al muro. Lei gli andava appresso addimandandogli che era capitato, ma lui pariva addivintato surdo, non ci dava risposta. A un certo momento si mise a fare voci che lui stavolta ad Armando non gliela faciva passari in cavallaria, ci sparava, quant’era veru ’u Signuruzzu. E difatto aveva pigliato il fucile che teneva a capo di letto ed era nuovamente nisciuto.
«Stavolta l’incastro gli danno! Non nesci cchiù dal càrzaro! Pi sempri si consumò!»
«Signora, prima di parlare d’ergastolo» intervenne Fazio, che aveva la testa di tornare al più presto al commissariato, «ci dica chi è questo Armando e dove abita.»
Risultò che Armando Losurdo era un tale che aviva qualiche sarma di tirreno in parte confinante con quello di De Dominici e non passava jornata che i due non si facessero una sciarriatina, ora uno tagliava i rami di un àrbolo all’altro con la scusa che invadevano il suo campo, ora l’altro s’impadroniva di una gallina che aveva casualmente sconfinato e se la faciva a brodo.
«Ma lei, signora, lo sa che è successo stavolta?»
«Non lo saccio! Non me lo disse!»
Fazio si fece spiegare dove abitava Armando Losurdo e partì, sempre a piedi, con appresso Galluzzo che la signora Agata aviva continuato ad abbrazzare vagnandogli la giacchetta di lagrime e mòccaro che le colava dal naso.
Quanno arrivarono sul posto, si vennero a trovare dintra a una scena di pillicola miricana di cobbois.
Dall’unica finestra di una casuzza rustica, qualichiduno tirava revorbarate contro un viddrano cinquantino, chiaramenti Ciccio De Dominici, che, appostato darrè un muretto, ricambiava con fucilate le revorbarate sparate dalla finestra.
Troppo occupato nel duello, De Dominici non si addunò dell’arrivo alle sue spalle di Fazio che gli satò addosso arriniscendo macari, quando quello si voltò, a mollargli un gran cazzotto nella panza. Mentri tentava di ripigliare sciato, Fazio l’ammanettò.
Intanto Galluzzo faceva voci:
«Polizia! Armando Losurdo, non sparare!»
«Non mi fido! Jativìnni o sparu macari a vui!»
«Siamo della polizia, stronzo!»
«Giuralo sulla testa di tua matri!»
«Giura» gli ordinò Fazio, «altrimenti qua facciamo notte.»
«Ma siamo pazzi?»
«Giura e non scassare!»
«Giuro sulla testa di mia madre che sono un poliziotto!»
Mentri dalla casuzza veniva fora Losurdo con le mani isate, Fazio spiò a Galluzzo:
«Ma tua madre non è morta da tri anni?»
«Sì.»
«E allora pirchì la facevi tanto longa?»
«Non mi pareva giusto.»
Appena De Dominici vide comparire Losurdo, con un ammuttuni si liberò di Fazio e, ammanettato com’era, si lanciò a testa vascia, una specie d’ariete, contro il suo nemico. Uno sgambetto di Galluzzo l’atterrò.
Intanto Losurdo gridava:
«Non lo saccio che gli pigliò a questo pazzo! S’appostò e accominzò a spararmi. Io nenti gli feci! Lo giuro sulla testa di me’ matri!»
«Ma quest’omo è amminchiato con le teste delle madri!» commentò Galluzzo.
De Dominici si era intanto messo agginocchiuni, ma la raggia che aviva era tanta che non ce la faceva a parlare, le parole gli si affollavano nella vucca, gliela attuppavano e si trasformavano in bava. La faccia gli era addivintata di colore viola.
«U sceccu! U sceccu!» arriniscì finalmente a dire con voci lamentiosa, a un passo dal pianto.
«Ma quali sceccu?» gridò Losurdo.
«U me’, grannissimo cornuto!»
E poi, rivolto a Fazio e a Galluzzo, spiegò:
«Stamatina lo trovai a u me’ sceccu! Mortu spara- tu! Un colpo in testa! E fu iddru, stu garrusu e figliu di buttana, ad ammazzarimìllu!»
Alle parole “un colpo in testa”, Fazio s’appara- lizzò, appizzando le orecchie.
«Fammi capire» spiò lentamente a De Dominici, «ci stai dicendo che stamatina hai trovato il tuo asino ammazzato con un colpo in testa?»
«Sissi.»
Sparì, letteralmente, alla vista di Galluzzo, De Dominici e Losurdo che impietrirono, come se era passato quell’angelo che dice “ammè” e ognuno resta accussì com’è.
«Pirchì scappò?» spiarono contemporaneamente De Dominici e Losurdo.
Fazio arrivò alla casuzza di De Dominici sudato e senza sciato. Lo sceccu stava ancora attaccato con una corda a un àrbolo nelle vicinanze, ma era stinnicchiato ’n terra, ammazzato. Un filo di sangue gli nisciva da un’orecchia. Trovò subito il bossolo, praticamente tra le zampe della vestia, e, a occhio, gli parse uguale ai precedenti. Ma del biglietto non c’era traccia. Mentri stava a circarlo nei paraggi, capace che il vinticeddro di primo matino se l’era portato appresso, a una finestra della casuzza s’affacciò la signora De Dominici.
«L’ammazzò?» spiò con voce potente.
«Sì» arrispunnì Fazio.
E si scatinò l’iradiddì, il quarantotto, il virivirì.
«Aaaaaaahhhhhh!» ululò la signora De Dominici scomparendo dal vano della finestra. Macari a distanza, Fazio percepì il botto del corpo che cadiva ’n terra. Si mise a curriri, trasì nella casuzza, acchianò una scala di ligno, trasì nell’unica cammara sopraelevata che era quella di letto. La signora De Dominici stava sutta la finestra, sbinuta. Che fare? Fazio le si agginocchiò allato, le diede due schiaffetti leggeri:
Читать дальше