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Andrea Camilleri: La prima indagine di Montalbano

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Andrea Camilleri La prima indagine di Montalbano

La prima indagine di Montalbano: краткое содержание, описание и аннотация

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Del commissario Salvo Montalbano credevamo ormai di sapere tutto: di conoscerne vita, morte e miracoli, i luoghi, i gusti, le compagnie… Ma il suo creatore, Camilleri, riserva ai suoi lettori ancora tante sorprese. Nei tre racconti di questo volume presenta un giovanissimo poliziotto, all’inizio della carriera, che intreccia una relazione non con la ben nota Livia, ma con una certa Mery; e il teatro delle sue indagini non è la solita Vigàta, ma uno sperduto paesino di montagna della Sicilia più segreta dal buffo nome di Mascalippa… Tra misteriose uccisioni di animali, ragazze troppo silenziose e troppo intriganti e il finto rapimento di una bambina, quello che risulta sempre familiare è l’incorruttibile carattere di Montalbano, con qualche intemperanza giovanile in più, ma già riconoscibile come uno dei più umani e amati protagonisti della narrativa italiana contemporanea.

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«Ci sono novità?» spiò assetandosi.

«Si» arrispunni secco Montalbano. «Tri omicidi.»

Quanno lo vedeva accussì arriposato e sorridente, al commissario gli smorcava il nirbuso e Mimì gle faceva ‘ntipatia.

«Minchia!» reagì Augello alla notizia saltando letteralmente dalla seggìa.

Poi, taliando in faccia gli altri due, si fece pirsuaso che c’era qualichi cosa di strammo.

«Mi state babbiando?»

Fazio si mise a taliare il soffitto.

«In parte sì e in parte no» disse il commissario.

E gli contò tutta la facenna.

«Questo non è uno scherzo» fece Mimì alla conclusione restando mutànghero e pinsoso.

«Mi dispiace solo che stavolta ha ammazzato un armalo che né io né Fazio ci possiamo mangiare» disse Montalbano.

Augello lo taliò.

«Ah, tu la pigli accussì?»

«E come la dovrei pigliare?»

«Salvo, quello va a crescere.»

«Non ti ho capito, Mimì.»

«Mi riferisco alle dimensioni delle…»

Si fermò, imparpagliato. Non gli pariva giusto chiamarle vittime.

«… degli armali. Un pesce, un pollo, un cane. La prossima volta, vedrete, ammazzerà una pecora.»

Venniridì 10 ottobriro il commissario stava assittato nella verandina che si era appena appena mangiato una caponatina da primo premio assoluto, quanno il telefono sonò. Erano le dieci di sira e Livia, come al solito, spaccava il secondo.

«Ciao, amore, eccomi qua puntuale. A che ora arrivi domani?»

Glielo aveva promesso a Livia, il mese avanti, che in ottobriro avrebbe potuto passare un sabato e una domenica con lei a Boccadasse. Anzi, nella telefonata della sera prima le aviva detto che, essendo tornato Mimì dalle vacanze, si sarebbe potuto trattenere macari il lunedì. Allora perché gli venni ci fatto di rispondere come rispose?

«Livia, mi devi scusare, ma temo proprio di non riuscire a liberarmi. Mi è capitato che…»

«Zitto!»

E calò un silenzio che parse tagliato con un colpo di mannaia.

«Non è per una questione di lavoro, credimi» ripigliò lui doppo tanticchia, coraggiosamente.

Voce di Livia proveniente dalle parti della Groenlandia del nord.

«Che ti è successo?»

«Ti ricordi di quel dente che mi doleva? Bene, mi è tornato all’improvviso un dolore che …»

«Sono io il dente che ti duole» fece Livia.

E riattaccò.

Montalbano s’infurio. Va bene, le aveva contato una farfantarìa, ma metti che il malo di denti ce l’avesse avuto pi davero, era quello il modo di rispondere di una fìmmina innamorata? A uno che arraggia per il duluri? Ma almeno una parola di compatimento, Christo santo! Tornò ad assittarsi nella verandina spiandosi pirchì aviva detto a Livia che non sarebbe più andato a trovarla. Fino a un secondo prima era deciso a partire, poi quelle parole gli erano nisciute dalla vucca accussì, senza controllo, senza che se ne rendeva conto. Un attacco incontrollato di lagnusìa, vale a dire un’irresistibile voglia di non fare nenti, standosene a tambasiare casa casa in mutande?

No, provava veramente gana di aviri Livia allato a lui, sentirla vivere, sentirla respirare nel letto addrummisciuta, sentirla trafichiare, sentirla ridere, sentire la sua voce che lo chiamava dalla spiaggia o dall’altra cammara.

E allura pirchì? Una botta di sadismo, come spisso o capita tra innamorati? No, non era cosa che apparteneva alla natura so’. Possibile che aviva fatto una cosa senza senso, irrazionale?

Lontano, al limite dell’udibilità, un cane abbaiò.

E tutto ’nzèmmula fiat lux! Eccola, la spiegazione! Assurda, certo, ma indubbiamente era quella. Un attimo prima di andare al telefono e rispondere a Livia aviva sintuto lo stesso abbaìo di cane. F dintra di sé, a livello quasi inconscio, aviva capito che era venuto il tempo di occuparsi seriamente della facenna del pisci, del pollo e del cani assassinati. Le frasi scritte su quei pizzini di carta quatrittata contenevano certamente una minaccia oscura, indecifrabile, ma reale. Cosa sarebbe capitato quando quel pazzo avrebbe finito, come diceva lui, di contrarsi? E inoltri quel verbo, contrarsi, in che senso andava pigliato?

Andò a taliare sull’elenco il numero della “Sirenetta”, lo fece.

«Il commissario Montalbano sono. C’è il signor Ennicello?»

«Glielo chiamo subito.»

Il ristorante doveva essere pieno. Si sentivano voci animate, risate di màscoli e fìmmine, scruscio di posate e bicchiera, le note di un pianoforte, una voce fimminina che cantava.

“Al momento del conto vi voglio!” pinso Montalbano.

«Commissario, sempre agli ordini!»

Aveva la voce allegra, Ennicello, gli affari dovivano andargli bene.

«Mi scusi se l’ho disturbata. Le telefono a proposito del pesce dell’altro giorno…»

«Qua da noi lo mangiò? Non era fresco?»

Mangiare alta “Sirenetta”! Manco sutta tortura!

«No, mi riferivo a quel muletto che hanno sparato nella…»

«Ancora di quella passata si ricorda commissario?»

«Non dovrei?»

«Ma quello certamente uno scherzo fu! Vede, nel primo momento mi preoccupai, ma dopo, riflettendoci a mente fridda, mi feci pirsuaso che era stat tutta una babbiata…»

«Una babbiata pericolosa, non crede? Poteva, che so, passare la vigilanza notturna, accogersi di un estraneo armato nel ristorante…»

«Ha ragione, commissario. Però, vede, per fare uno scherzo che arrinesci bene qualcosa bisogna rischiare.»

«Eh già.»

«Senta, commissario, ho il ristorante pieno e…»

«Ancora una domanda e la lascio tornare ai suoi clienti. Signor Ennicello, secondo lei del tipo di pesce da ammazzare fu voluta o casuale?»

Ennicello dovette strammare.

«Non ho capito, commissario.»

«Le rivolgo la domanda in un altro modo. Mi spiega come fece quell’uomo a tirare for a dalla vasca il muletto?»

«Non tirò fora il solo muletto, dottor Montalbano. Col coppo pigliò tri pesci. Scelse quello forse perchè era il più grosso di tutti.»

«E lei come fa a sapere che pigliò tri pesci?»

«Perché quella mattina stessa trovai nella vasca macari una tinca e una trota morte.»

«Sparate?!»

«No, per asfissia, per mancanza d’acqua: secondo me, quello ha svacantato il coppo sull’erba e ha aspettato che i pesci morissero. Gli sarebbe venuto difficile tenerli in mano mentri erano vivi. Poi ha pigliato il muletto e ha rigettato gli altri due nella vasca.»

«In altri parole, ha fatto una scelta. Secondo lei ha pigliato il muletto perché era il più grosso, ma le ragioni potrebbero essere altri, non le pare?»

«Commissario, come faccio a sapere quello che passa per la testa a un…»

«Un’ultimissima cosa. A che ora ha chiuso il risto­rante la sera avanti del fatto?»

«Io chiudo sempre, per i clienti, a mezzanotte e mezza.»

«E il personale per quanto si trattiene?»

«Ancora un’orata, pressappoco.»

Ringraziò, riattaccò. Quindi, munito di un foglio e di una biro, tornò ad assittarsi nella verandina. Scrisse:

Lunedì, 22 settembre = pesce

Lunedì, 29 settembre = pollo

Gli venne da ridere, pareva un menu.

Lunedì, 6 ottobre = cane

Perché sempre nelle prime ore del lunedì? Per il momento, meglio sorvolare. Scrisse le iniziali di ogni armalo ammazzato.

PPC

Non aveva senso. E non aveva manco senso se alla p di pesce sostituiva la c di cefalo.

CPC

E meno che mai se alla c di cefalo sostituiva la m di muletto.

MPC

Gli venne un pinsero goliardico: l’unico significato che poteva dare a quelle tri consonanti messe in fila era:

MANCO P’O’ CAZZO

Appallottolò il foglio, lo gettò a terra, si andò a cor­care più confuso che pirsuaso.

Mentri Montalbano s’arramazzava nel letto per arrinèsciri a pigliari sonno doppo una mangiata quasi industriale di sarde a beccafico, l’omo, nella sua cammara granni tutta tappezzata da scaffalature stracome di libri e la cui unica splàpita luce era data da un lume da tavolo, isò l’occhi dal libro antico e preziosa­mente rilegato che stava leggendo, lo chiuse, si levò gli occhiali, si appoggiò allo schienale della poltrona di ligno. Restò qualche minuto accussì, passandosi di tanto in tanto due dita sull’occhi che gli abbrusciavano. Doppo, con un sospiro funnuto, raprì il cascione destro della scrivania. Dintra, in mezzo a carte, gom­me da cancellare, chiavi, vecchi timbri, fotografie, c’era la pistola. La pigliò, estrasse il carricatore va­cante. Circò con la mano ancora più a fondo sempre nello stesso cassetto, trovò la scatola delle cartucce, la raprì. Ne restavano otto. Sorrise, bastavano e superchiavano per quello che aviva in mente di fare. Intro­dusse una sola cartuccia nel carricatore, una sola, co­me sempre faciva, rimise a posto la scatola, chiuì il cascione. La pistola se l’infilò nella sacchetta destra della giacca sformata. Tastiò la sacchetta di mancina: la torcia era al suo posto. Taliò il ralogio, si era già fatta la mezzanotti. Per arrivare al posto stabilito sicura­mente ci sarebbe voluta un’orata, il che veniva a si­gnificare che avrebbe potuto agire all’ora giusta. Si rimise gli occhiali, stracciò un rettangolino di carta da un quaderno a quadretti, ci scrisse supra con una biro, si mise il pizzino nel taschino della giacchetta. Appresso si susì, andò a pigliare l’elenco telefonico, lo sfogliò fino alla pagina che l’interessava. Doviva essiri più che sicuro che l’indirizzo era quello giusto. Doppo raprì la carta topografica che teneva a portata di mano sulla scrivania, controllò il percorso da fare partendo dalla so’ casa. No, forse ci avrebbe messo qualichi cosa di più che un’orata. Meglio. Andò alla finestra, la raprì. Una vintata fridda lo pigliò in piena taccia, lo fece arretrare. Non era cosa di nesciri col solo vistito. Quanno montò in machina aviva un impermeabili pisanti e un cappello nivuro.

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