«Chi… chi…» balbettò.
«Giacomo Arena. Un autotrasportatore.»
«Arena?»
Faciva finta di tentare d’arricordarsi, ma era un pessimo attore. Ora aviva il labbro superiore sudatizzo.
«Ah sì, Arena, ha lavorato tempo fa da noi, come autista. Poi si è licenziato e si è messo in proprio.»
Era una novità per Montalbano. Che gli facilitava però di molto le cose.
«Dunque vi conoscete?»
«Sì, ma…»
E tutto restò sospiso. Mongiardino non spiegò che viniva a significare quel ma, il commissario non spiò altro per un pezzo.
Doppo Montalbano si calò lentissimamente di scianco, allungò una mano verso il cestino della carta straccia, scostò un foglio di giornale che lo cummigliava, tirò fora la palla che l’avvocato gli aviva imprestato, la posò sul tavolino. Ma non disse ancora nenti.
Mongiardino taliava affatato la palla, ora aviva macari la fronte sudata. Alla fine s’addecise lui a spiare, malamente fingendo maraviglia:
«Ma quella non è?…»
«Sì, è la palla con la quale stava giocando sua nipote quando è stata rapita. L’abbiamo trovata.»
«Dove?!»
Non era stata una domanda, ma un grido vero e proprio. Montalbano pigliò tempo. Che minchia faciva Fazio? Si era addrummisciuto? Finalmente tuppiarono.
«Avanti.»
La porta si raprì completamente. Nel corridoio, perfettamente inquadrati dintra al vano della porta, ci stavano Alfano e Fazio che tenevano in mezzo a Giacomo Arena, ammanettato. Arena, con la cammisa e la giacchetta macchiate di sangue, il naso gonfio e bluastro, pariva allura allura nisciuto da una cammara di tortura. Faciva veramente imprissioni. Mongiardino lo taliò e aggiarniò talmente che il commissario si scantò che gli pigliava un sintòmo.
«Posso procedere, dottore?» spiò Fazio.
«Procedi.»
Tempismo perfetto. Fazio richiuì la porta. Ora Mongiardino aviva le mano che gli trimavano.
«Lei mi stava domandando dove abbiamo trovato la palla di sua nipote» ripigliò il commissario. «L’abbiamo trovata nel garage della casa che Arena ha affittato vicino a Piano Torretta. Se mi consente, non adopererò più l’aggettivo “presunto” premesso alla parola rapimento. Perché il ritrovamento della palla dimostra inequivocabilmente che il rapimento c’è stato. E inoltre i due testimoni, mi pare di avergliene parlato l’altra volta, hanno riconosciuto Arena attraverso delle foto che gli ho fatto scattare.»
Fece un sorriso storto che scantò Gerlando.
«Naturalmente, si tratta di foto fatte prima che Fazio riducesse Arena come lei lo ha appena visto.»
«Ma… ma… che c’entro io… con Arena?»
Oramà era una pezza di pedi. Aviva un sudore che feteva d’agro, e che aviva spirciato la nuvola di profumo.
«Questo è il problema» disse Montalbano. «Arena, messo diciamo così alle strette da Fazio, ha fatto alcuni nomi.»
«Qua… quali?»
«La servo subito. Balduccio Sinagra junior, Calogero Infantino e…»
«E?…»
«E il tuo, pezzo di merda.»
Il passaggio improviso dal lei al tu fu per Mongiardino come un primo colpo di scupetta che lo ferì a morte, il “pezzo di merda” rappresentò invece il colpo di grazia. Ma quello che dovette veramente atterrirlo fu il lampo d’odio che intravitti nell’occhi del commissario. Odio vero, autentico, che non faciva parte della recita. Di subito capì che era perso, da quella cammara non aviva più la possibilità di nesciri come un omo libero. Le lagrime gli principiarono a colare da sole, tanto che sul momento non se ne addunò, doppo invece si mise a singhiozzare senza vrigogna, senza dignità.
«Io… io non… non volevo… è stato Balduccio a… è stato lui che…»
«Il resto me lo conti davanti al PM» disse Montalbano.
Il saltafosso era arrinisciuto meglio di quanto ci aviva spirato. Ma avrebbe preferito marturiare ancora tanticchia quell’autentica merda che aviva davanti. Sollevò la cornetta.
«Mandami Fazio.»
«No, per carità, Fazio no!» urlò Mongiardino satando addritta e impiccicandosi con le spalle contro una parete. «No! Le botte no!»
Lo scanto lo faciva cimiare. E principiò a pisciarsi d’incoddro.
«Non mi toccare!» fece dispirato, con le vrazza sti- se in avanti, quanno vitti trasire a Fazio.
«Manco con i guanti» disse Fazio.
E subito appresso vennero le jornate delle grandi sodisfazioni e della grandissima camurrìa.
La prima sodisfazioni fu quanno Fernando Belli, chiamato da Roma, confermò al PM tutto quello che aviva pinsato Montalbano, aggiungendo che Balduccio junior stisso era nisciuto allo scoperto con una telefonata tipo: “Hai visto che potiva capitare a tua figlia?”.
La secunna sodisfazioni fu quanno sbracarono, nell’ordine, Giacomo Arena e Calogero Infantino. Confessarono e il commissario li arrestò.
La terza sodisfazioni fu quanno mise le manette a Balduccio Sinagra junior che, per l’occasione, si mise a santiare in miricano.
La quarta sodisfazioni fu quanno la Guardia di Finanza addecise di dare una taliata alle società di Balduccio junior.
La quinta sodisfazioni fu quanno, durante la perquisizione nel garage di Giacomo Arena, di darrè a una pila di copertoni venne fora la palla di Laura, quella con la quale stava giocando al momento del sequestro. E Montalbano fece restituire l’altra palla, quella che gli era servita per il saltafosso, all’avvocato Mongiardino. Fece restituire pirchì gli fagliò il coraggio di andarci lui stisso e quindi di trovarisi faccia faccia con lo sconfinato dolore di quel poviro vecchio.
La camurrìa invece fu una sola e, appunto, grandissima: l’enorme quantità di rapporti che dovette compilare e le centinara di firme che dovette mettiri, in calce, di lato, di traverso, di supra, di sutta.
A un certo punto, dispirato, si spiò se avrebbe mai più avuto la gana di fare altri arresti in futuro, a petto di tanta burocrazia.
Era un vinniridì sira quanno pigliò l’aereo per Genova. Per telefono, non sarebbe mai arrinisciuto a spiegarsi con Livia. L’unica era andarci a parlare di persona. O meglio, di pirsona pirsonalmente.
Queste tre indagini del commissario Montalbano, scritte in periodi diversi, e lo si vede dalla scrittura, hanno un elemento in comune: non sono imperniate su delitti di sangue. Non c’è un morto, in queste pagine. è una scelta voluta (e anche un rischio voluto), ma il perché io stesso non so spiegarmelo fino in fondo. Forse una specie di rigetto. Del resto i morti ammazzati, nelle mie storie, sono sempre stati un pretesto.
I tre racconti sono inediti. Solo per uno di essi ho parzialmente utilizzato un mio scritto apparso su “Micromega”, n. 2, del 2002.
Le citazioni riguardanti la Cabbala le ho tratte da La Qabbalahdi Giulio Busi (Laterza Editori, Bari 1998).
C’è da aggiungere che i personaggi di queste tre storie, i loro nomi (soprattutto i cognomi!) e le situazioni nelle quali si trovano e agiscono sono frutto della mia fantasia.
Il libro è dedicato a Pepè Fiorentino e a Pino Passalacqua che non avranno modo di leggerlo.
A.C.
© 2004 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
I edizione Scrittori italiani e stranieri aprile 2004
I edizione Oscar bestsellers novembre 2005
ISBN 978-88-04-55020-4
Questo volume è stato stampato
presso Mondadori Printing S.p.A.
Stabilimento NSM - Cles (TN)
Stampato in Italia. Printed in Italy
Anno 2009 - Ristampa 6 7
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