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Andrea Camilleri: La prima indagine di Montalbano

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Andrea Camilleri La prima indagine di Montalbano

La prima indagine di Montalbano: краткое содержание, описание и аннотация

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Del commissario Salvo Montalbano credevamo ormai di sapere tutto: di conoscerne vita, morte e miracoli, i luoghi, i gusti, le compagnie… Ma il suo creatore, Camilleri, riserva ai suoi lettori ancora tante sorprese. Nei tre racconti di questo volume presenta un giovanissimo poliziotto, all’inizio della carriera, che intreccia una relazione non con la ben nota Livia, ma con una certa Mery; e il teatro delle sue indagini non è la solita Vigàta, ma uno sperduto paesino di montagna della Sicilia più segreta dal buffo nome di Mascalippa… Tra misteriose uccisioni di animali, ragazze troppo silenziose e troppo intriganti e il finto rapimento di una bambina, quello che risulta sempre familiare è l’incorruttibile carattere di Montalbano, con qualche intemperanza giovanile in più, ma già riconoscibile come uno dei più umani e amati protagonisti della narrativa italiana contemporanea.

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Tornò l’avvocato, pariva tanticchia più rinfrancato.

«Lei è venuto qua e non mi ha fatto nessuna domanda» disse. «Ma devo avvertirla. Se mi chiede cose che riguardano Gerlando Mongiardino io le risponderò che non mi interessano i fatti degli estranei.»

«Dopo quello che lei ha detto, non ho più bisogno di farle domande.»

La voce dell’avvocato ora parse venire da un abisso di sofferenza. A Montalbano arriniscì quasi insopportabile.

«Ha capito tutto?» spiò.

«Sì.»

«Lei ha avuto ragione fin dal principio. Ma io non potevo pensare che si potesse arrivare a tanta bassezza, a tanta… iniquità.»

Iniquità. Parola oramà poco adoperata, ma precisa, perfetta.

«Lei» continuò il vecchio «pensa di riuscire a fargliela pagare? Glielo domando non per me, ma per quelle due ore terribili che ha fatto patire a una bambina innocente.»

«Sì, posso riuscirci se lei mi aiuta. Ma questo significa che lei e sua moglie dovrete affrontare momenti peggiori, capisce? L’arresto di suo… di Gerlando, il processo…»

«Per noi, non può più esserci momento peggiore di quando abbiamo saputo. Che devo fare?»

«Mi dovrebbe dare la palla che ha dipinto per sua nipote.»

Il vecchio parse strammato, ma non fece domande.

«Gliela posso solo prestare. Perché la voglio spedire a Roma, a Laura.»

Si susì per pigliarla. Montalbano si susì macari lui e disse, per la seconda volta in quell’indagine:

«Signor Mongiardino, mi permette d’abbracciarla?»

«Dutturi, se a vossia non ci piaci più come cuciniamo qua, è patronissimo di cangiare trattoria!» fece Enzo offiso.

Montalbano aviva lasciato nel piatto una pasta al nivuro di siccia che ci mancava solo la parola.

«Scusami, sono nirbuso.»

Lo era al punto tali che si sentiva la vucca dello stomaco tanto stritta che non ci trasiva manco una spingula. E se il saltafosso, ovverossia lo sfonnapedi, il trainello, non funzionava alla perfezione? Se chi doviva pigliare per vera quella che era solamente un’accurata verosimiglianza, si addunava invece dell’inganno da un particolare trascurato, da un dettaglio sottovalutato e si tirava narrè all’ultimo minuto?

«Dutturi, il secunno non se lo mangia? Taliasse che per vossia ho messo di lato certe spigole che…»

«No, Enzo, non ce la faccio.»

Stava per susirisi e nesciri dalla trattoria, pirchì il nirbuso era arrivato a un livello tale che accomenzavano a dargli tanticchia di nausea i pur meravigliosi sciàuri che vinivano dalla cucina, quanno vitti trasire a Fazio. Scattò addritta.

«Allora?»

Prima delle parole, lo tranquillizzò il surriseddro di Fazio.

«Tutto fatto, dottore. Venivo ad avvertirla.»

«Hai mangiato?»

«Un panino. Ma non si preoccupi.»

La trattoria era stipata di clienti, la maggior parte stava a taliare loro due, pigliata di curiosità.

«Parliamone fuori.»

Niscèro. Il nirbuso di Montalbano era tanticchia, ma solo tanticchia, calato. Il difficile doviva ancora viniri.

«Com’è andata?»

«Dottore, abbiamo dovuto stargli appresso e aspittare che principiasse a fare una strata poco frequentata, verso il campo di calcio. Aviva il fanalino posteriore destro scassato, non c’è stato bisogno d’inventarci nenti. E non c’è stato manco bisogno di tirarla a longo per farlo incazzare, si è subito incazzato lui da se stesso.»

«E perché?»

«Ha riconosciuto Alfano. Gli ha spiato: “Ma tu non sei quello che voliva fare il trasloco? Allora mi state appresso, sbirri di merda!”. E in un vidiri e svidiri ha tentato di dargli un pugno. Senonché Alfano è stato più lesto e con un cazzotto gli ha scugnato il naso. Madonna, quanto sangue gli nisciva! Si è allordato tutto, cammisa, pantaloni… L’abbiamo ammanettato e l’ho portato al commissariato. Dopo sono tornato narrè, dove c’era il camioncino con Alfano e ho telefonato al magazzino. Mi ha risposto proprio Infantino. Ho solo detto: “Polizia. Venga a prendere il camioncino di Arena in via Moro. C’è ancora roba sua”. E ho chiuso.»

«È venuto Infantino?»

«Nonsi, dottore. Forse non si è fidato della telefonata, forse ha pensato che non era stata la polizia a chiamarlo. Passata una mezzorata, è arrivata una machina con due a bordo. Quando gli stavo dando le chiavi del camioncino, uno di loro mi fa: “Ma Arena, dov’è?”. E io gli ho solo detto: “L’abbiamo arrestato”. E basta.»

«Bene. Ora, appena arriviamo in commissariato, tu telefona a quell’amico che hai alla Vigamare e fatti dire se Gerlandò Mongiardino è lì. Se c’è, quando te lo dico io, accompagnato da Alfano e sempre con la macchina di servizio, vai alla Vigamare e mi porti in ufficio a Mongiardino.»

«Lo devo arrestare?»

«No. Ma devi fare scarmazzo, rumorata. Trattalo male. E se ti giura che al momento non può seguirti e che passerà più tardi, rispondigli che il commissario lo vuole vedere immediatamente e che perciò non faccia storie e salga in auto.»

«E dopo?»

«Dopo viene la parte più delicata. Tutto deve avvenire al momento giusto, al minuto secondo, in perfetto sincronismo.»

«Ma cosa, dottore?»

«Ora te lo spiego.»

Accompagnato da Fazio, Gerlando Mongiardino s’appresentò in ufficio che erano da picca passate le quattro di doppopranzo. Elegantissimo, tutto allicchittato, era avvolto da una nuvola di acqua di colonia, pariva addirittura preceduto da un turibolo invisibile che spargiva sciàuro. Ma era fora dalla grazia di Dio.

«Commissario! Non capisco!» fece furioso.

«Cosa?»

«Se lei aveva necessità di vedermi, bastava una telefonata e arrivavo! Invece mi ha fatto trattare dai suoi uomini come un delinquente! E davanti ai miei dipendenti!»

Montalbano taliò a Fazio con un’ariata di maraviglia.

«Ma sei impazzito? Chi ti ha ordinato di trattare il signor Mongiardino come un delinquente, io?!»

«No» disse Fazio. «E poi io i delinquenti li tratto in un altro modo.»

E ghignò. Pariva veramente il poliziotto tinto delle pillicole miricane, quello che piglia a lignate e a càvuci nei cabasisi. Montalbano fece un gesto di rassegnazione e taliò a Gerlando, come a dire: “Lo vede con che brutta gente m’attocca di travagliare?”.

«La prego di voler accogliere le mie scuse, signor Mongiardino.»

E, doppo, arrivolto a Fazio:

«Tu, Fazio, vattene. E chiudi la porta.»

Fazio niscì rivolgendo un’ultima taliata torvola a Mongiardino.

«Si accomodi.»

«Commissario» disse quello dando un’occhiata al Rolex, «non ho tempo. Non è una scusa, mi creda. Ho un appuntamento tra mezzora a Montelusa. è un appuntamento che non… mi capisca… non vorrei proprio perdere.»

«D’affari?»

«No. Di tutt’altro genere» disse Mongiardino.

E fece un misero surriseddru allusivo. Ma era nirbuso assà, si era assittato in pizzo in pizzo alla seggia, batteva in continuazione un pedi ’n terra. Probabilmente, e Montalbano ci spirava, l’avivano avvertito dell’arresto inspiegabile di Arena. E non sapiva da che parte gli sarebbe arrivata la botta.

«Una fìmmina?» spiò Montalbano, complice.

«Eh!» fece Gerlando. «Una piccola distrazione ogni tanto, lei è uomo e mi capisce, non…»

«Come no? La capisco benissimo. Ma io non le ruberò manco dieci minuti, glielo assicuro!»

L’altro s’assistimò meglio sulla seggia, ma di malavoglia.

«Perché ha voluto vedermi?»

«Perché c’è qualche novità sul presunto rapimento di sua nipote.»

«Ancora quella storia?! Ma se le ho detto che non credo che si sia trattato di un rapimento!»

«E infatti io ho detto “presunto”.»

«E allora?!»

«Lei conosce un tale che si chiama Giacomo Arena?»

La stoccata fu accussì improvisa che Gerlando non fece a tempo a quartiarsi. Istintivamente il suo busto fece uno scarto, come a scansarsi dal colpo.

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