Mise in moto ma doppo qualichi rantolo il motore si fermò. Riprovò. Stesso risuitato. Riprovò ancora e il motore ancora s’arrefutò. Si sentì sudare. Se la machina si era definitivamente scassata, tutto quello che aviva in testa di fare non poteva essere fatto. E allura? Saltare l’avviso di quel lunedì? No, sarebbe stato un gesto di slealtà e lui non poteva, proprio per sua natura, commettere slealtà. Non restava che rimandare, ricominzare daccapo. Ma se fossero scaduti i termini? Sarebbe riuscito a compiere l’eccezionale impresa di contrarsi? Perso era. Riprovò, dispirato, e stavolta il motore, doppo qualichi colpo di tosse, s’addecise a partire.
Mimì Augello c’inzirtò e ci sbagliò. C’inzirtò in quanto alle dimensioni della, diciamo accussì, nova vittima, ci sbagliò invece in quanto non si trattava di una pecora.
La matina di lunedì 13 ottobriro, Fazio s’arricampò in commissariato con la novità, che poi non era per niente una novità, che era stata ammazzata una capra. Solito colpo di pistola in testa, solito bossolo, solito pizzino.
CONTINUO A CONTRARMI
Nisciuno dei presenti sciatò, nisciuno s’azzardò a fare una battuta spiritosa.
Nella cammara del commissario aleggiò un silenzio denso e perplesso.
«Ci sta arriniscendo e come!» fece Montalbano decidendosi a parlare per primo.
D’altra parte, gli attaccava: era lui il capo.
«A che?» spiò Augello.
«A farsi pigliare sul serio.»
«Io l’ho pigliato sul serio subito» disse Mimì.
«Bravo, vicecommissario Augello. La proporrò per un encomio solenne al signor Questore. Contento?»
Mimì non replicò. Quanno il commissario era d’umore accussì agro, la meglio era di starsene con la vucca chiusa.
«Sta cercando di farci sapere qualche altra cosa, oltri a tenerci al corrente dello stato della sua contrazione» ripigliò doppo tanticchia Montalbano.
Parlava a mezza voce pirchì più che altro stava ragionando con se stesso.
«Da che lo capisci?»
«Ragiona, Mimì, se non ti viene troppo difficile. Se voleva farci sapere solo che si stava contraendo, qualisisiasi cosa significa per lui contrarsi, non aveva bisogno di correre da un posto all’altro di Vigàta e dintorni ammazzando ogni volta un armalo diverso. Perché cangia armalo?»
«Forse le lettere iniziali di…» azzardò Augello.
«Ci ho già pensato, PPCC o MPCC ti significa cosa?»
«Potrebbe essere la sigla di un gruppo o di un movimento eversivo» azzardò timidamente Fazio.
«Ah, sì? Fammi un esempio.»
«Che so, dottore. Dico la prima cosa che mi passa per la testa. Per esempio, potrebbe essere Partito Popolare Cristiano-Comunista.»
«E tu pensi che ci sono ancora comunisti rivoluzionari? Ma fammi il piacere!» lo liquitò sgarbato Montalbano.
Calò altro silenzio. Augello s’addrumò una sigaretta, Fazio si fissò sulla punta delle scarpe.
«Astuta la sigaretta» gli ordinò il commissario.
«Pirchì?» spiò sbalordito Mimì.
«Pirchì mentri tu te la stavi a fissiare a Magonza…»
«Ad Amburgo ero.»
«Dove eri, eri. Insomma, mentri tu eri fora da questo nostro bel paese, un ministro s’è svegliato una matina e si è preoccupato per la nostra salute. Se vuoi continuare a fumare, te ne vai a fare due passi strata strata.»
Santiando tra i denti, Mimì si susì e niscì dalla cammara.
«Posso andarmene?» spiò Fazio.
«Chi ti tiene?»
Rimasto solo, tirò un lungo respiro di soddisfazione. Si era sfogato per l’umore nivuro che quel cretino che andava ammazzando armali gli aveva fatto viniri.
Era passata un’orata scarsa che per tutto il commissariato rimbombò la voce di Montalbano.
«Augello! Fazio!»
Si precipitarono. A solo taliare in faccia il commissario, Augello e Fazio si fecero persuasi che qualche ingranaggio si era messo in moto dintra al so’ cirived- dro. Stava infatti facendo una specie di surriseddro.
«Fazio, lo sai il nome del proprietario della capra ammazzata? Aspetta, se lo sai fammi solo segno di sì con la testa, non parlare.»
Fazio, strammato, calò ripetutamente la testa.
«Vuoi vedere che indovino come comincia il cognome del proprietario? Comincia con la lettera o . Giusto?»
«Giusto» sclamò Fazio ammirato.
Mimì Augello fece una breve e ironica battutina di mano e doppo spiò:
«Hai finito di fare giochi di prestigio?»
Montalbano non gli arrispunnì.
«E ora ripetimi i cognomi dei proprietari degli altri animali» disse invece rivolto a Fazio.
«Ennicello, Contrera, Contino, Ottone: il proprietario della capra, quello che abbiamo detto ora ora, si chiama Stefano Ottone.»
«Ecco!» gridò Mimì.
«Ecco che?» spiò Fazio imparpagliato.
«E quello che ha scritto» gli spiegò Augello.
«Hai detto giusto, Mimì» fece Montalbano. «Con le iniziali dei cognomi ci sta scrivendo un altro messaggio. E noi sbagliavamo a pinsari che il messaggio lo stava componendo con gli armali ammazzati.»
«Ora mi spiego pirchì!» fece Fazio.
«Spiegalo macati a noi questo pirchì.»
«Nella casLizza dei pensionato al quale ha ammazzato il cane, c’rano macari due capre. E io stamatina mi spiai perché non tosse tornato dal signor Contino invece di andare a sdirruparsi a venti chilometri di distanza per cercare un’altra capra. Ora ho capito. Gli abbisognava un cognome che principiava con la vocali o !»
«Che possiamo fare?» intervenne Augello.
Il suo tono era tra il nirbuso e l’angosciato. Macari Lazio taliò il commissario con gli occhi di un cane che voli l’osso.
Montalbano allargò le braccia.
«Non possiamo aspettare che spari a un uomo per intervenire. Perché la prossima volta, ne sono più che pirsuaso, ammazzerà a qualcuno» insistette Mimì.
Montalbano allargò nuovamente le braccia.
«Io non capisco come fai a startene accussì calmo» fece, provocatorio, Augello.
«Perché non sono tanto fissa come a tia disse frisco frisco il commissario.
«Vuoi chiarire?»
«Prima di tutto, chi ti dice che sono calmo? Poi: me lo spieghi tu che minchia possiamo fare? Costruiamo un’arca come Noè, ci mettiamo dintra tutti gli armali e aspettiamo che l’omo venga ad ammazzarne uno? Terzo: non è detto, non è scritto da nessuna parte che la prossima volta spara a un omo. Lui ammazzerà un cristiano solo alla fine del messaggio. Fino ad ora ha scritto la prima parola, che è “ecco”. La frase evidentemente non è finita. Non sappiamo quanto sarà lunga, quante parole ci vorranno. Vi consiglio di armarvi di santa pacienza.»
La matina di lunedì 20 di ottobriro, Montalbano, Augello e Fazio si trovarono in commissariato alle sett’albe e senza che si erano dati appuntamento. A vederseli davanti a quell’ora di primo matino a momenti a Catarella gli pigliò il sintòmo.
«Che fu, ah? Che successe, ah? Che capitò, ah?»
Ebbe tri risposte diverse, tri farfantarìe. Montalbano disse che non aviva chiuso occhio per una forti acidità di stomaco, Mimì Augello spiegò che aviva dovuto accompagnare al trino un amico so’ che era venuto a trovarlo, Fazio che era stato obbligato a nesciri presto per accattare l’aspirina a so’ mogliere che aviva tanticchia di fevri. Ma di comune accordo lo mandarono a pigliare tri cafè ristritti dal bar vicino ch’era già aperto.
Vivuto il cafè in silenzio, Montalbano s’addrumò una sigaretta. Augello aspettò che tirasse la prima vuccata e quindi diede il via alla sua privata vendetta.
«Ah ah!» fece agitando un indice ammonitore. «E che gli conti al signor ministro se capita qua e ti vede?»
Santiando, Montalbano niscì dalla cammara e si mise a fumare sulla porta del commissariato. Al terzo tiro, sentì squillare il telefono. Tornò dintra con la velocità di una palla allazzata.
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