Janet Evanovich - Cacciatrice di taglie

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Cacciatrice di taglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Stephanie Plum fa la cacciatrice di taglie per un’agenzia del New Jersey. Il suo compito è ritrovare il misterioso Ranger, sospettato di aver ucciso il figlio di un boss del traffico d’armi. Ma Ranger è anche l’uomo che ha insegnato a Stephanie tutto quello che sa del suo mestiere e che esercita su di lei un fascino pericoloso. E la cattura di Ranger non è l’unico pensiero che non la fa dormire di notte. La spassosa nonna Mazur si è trasferita da lei, un amico le ha affidato un cane bulimico, l’intimità con il fidanzato Joe Morelli è diventata impossibile, Stephanie deve più volte dissuadere dal suicidio un’amica e un maniaco tenta di ucciderla.

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Mi diede un rapido bacio e se ne andò.

Premetti il pulsante di richiamata del telefono. Rispose una donna e riconobbi la voce. Terry Gilman.

«Guarda qui» disse la nonna. «L’alligatore ha mangiato una mucca. Non è una cosa che si vede tutti i giorni.»

Mi sedetti accanto a lei. Per fortuna non ci furono altre scene di quel genere. Per quanto adesso sapessi che Joe stava andando a incontrare Terry Gilman, la morte e la distruzione mi facevano ancora un certo effetto. Il fatto che fosse senza dubbio un incontro di lavoro toglieva una parte del gusto all’idea di impazzire per la gelosia. E tuttavia sarei forse riuscita a entrare in una discreta agitazione se soltanto non fossi stata così maledettamente stanca.

Quando il programma sugli alligatori fu finito, guardammo per un po’ il canale delle vendite promozionali.

«Credo che andrò a letto» disse alla fine la nonna. «Devo fare il mio sonno di bellezza.»

Non appena fu uscita dalla stanza tirai fuori cuscino e coperta, spensi le luci e mi buttai sul divano. Mi addormentai all’istante, di un sonno profondo e senza sogni. E breve. Infatti fui svegliata dal russare della nonna. Mi alzai per chiudere la sua porta, ma era già chiusa. Sospirai, in parte di autocommiserazione e in parte di stupore, nel vedere che lei riusciva a dormire con tutto quel rumore. Avrebbe dovuto svegliarla. Bob sembrava non farci caso. Dormiva sul pavimento a un’estremità del divano, sdraiato su un fianco.

Mi infilai sotto la coperta e mi costrinsi a tornare a dormire. Mi rigirai per un po’. Misi le mani sulle orecchie. Mi agitai ancora. Il divano era scomodo. La coperta era in disordine e la nonna continuava a russare. «Arrrgh» dissi. Bob non si mosse.

La nonna doveva andarsene, in un modo o nell’altro. Mi alzai e arrancai fino in cucina. Guardai nella credenza e nel frigorifero. Niente di interessante. Era da poco passata mezzanotte. Non tanto tardi, in realtà. Forse avrei dovuto uscire e andare in un bar per calmare i nervi. La cioccolata era un calmante, giusto?

Mi infilai i jeans e le scarpe e coprii la giacca del pigiama con un cappotto. Presi la borsa dal gancio nell’ingresso e uscii. Ci sarebbero voluti solo dieci minuti per fare un salto al bar e poi sarei tornata a casa e senza dubbio mi sarei di nuovo addormentata.

Entrai nell’ascensore quasi aspettandomi di trovare Ranger, ma lui non si fece vedere. E non c’era ombra di lui neanche nel parcheggio. Accesi il motore della Buick, andai fino al negozio e comprai dei dolcetti al cioccolato. Ne mangiai un po’ immediatamente con l’intenzione di tenere il resto per quando fossi stata a letto ma, chissà come, finirono tutti.

Pensai alla nonna e al fatto che russava, e la cosa non mi invogliò a tornare a casa, perciò mi diressi a casa di Joe. Joe abita appena fuori dal Burg in una villetta a schiera che ha ereditato da una zia. All’inizio era parso strano pensare a lui come a un proprietario. Ma in qualche modo la casa si era modellata su Joe e l’unione si era dimostrata gradevole. Era una casetta graziosa in una strada tranquilla. La schiera di villette era in uno stile semplice ed essenziale, con la cucina sul retro e le camere da letto e il bagno al primo piano.

La casa era buia. Nessuna luce filtrava da dietro le tende. Nessun furgone parcheggiato lungo la strada. Nessun segno di Terry Gilman. Bene, forse mi stavo comportando proprio come una ragazzina ansiosa. E forse i dolcetti erano stati solo una scusa per andare lì. Composi il numero di Joe sul cellulare. Nessuna risposta.

Era un peccato che non fossi brava a scassinare le serrature. Avrei potuto entrare e andare a dormire nel letto di Joe. Proprio come Riccioli d’Oro.

Ingranai la marcia e lentamente percorsi tutta la lunghezza dell’isolato, con la sensazione di non essere più stanca. Diavolo, pensai, giacché sono qua senza niente da fare, perché non dare un’occhiata alla casa di Hannibal?

Uscii dal quartiere di Joe, presi la Hamilton e andai in direzione del fiume. Arrivai sulla Route 29 e in pochi minuti ero già davanti alla villetta. Buio, buio, buio. Nessuna luce nemmeno lì. Parcheggiai nell’isolato successivo, appena girato l’angolo, e andai a piedi fino alla casa. Rimasi lì, giusto davanti, a guardare le finestre. C’era forse un tenue bagliore nella stanza principale? Attraversai il prato con circospezione e poi i cespugli che circondavano la casa, quindi premetti il naso contro la finestra. C’era decisamente un po’ di luce proveniente da qualche parte della casa. Poteva essere la lampada di un comodino. Difficile dire da dove venisse.

Tornai precipitosamente sul vialetto e poi, di buon passo, alla pista ciclabile dove aspettai qualche istante perché gli occhi si abituassero all’oscurità. Quindi, con cautela, mi inoltrai verso il cortile di Hannibal. Mi arrampicai sull’albero e osservai la finestra. Tutte le tende erano tirate ma, di nuovo, c’era un barlume di luce che veniva da qualche punto al piano terra. Cominciavo a pensare che quella luce non volesse dire niente quando improvvisamente si spense.

Questo mi fece sobbalzare il cuore in petto, poiché non avevo alcuna voglia di farmi sparare di nuovo. In realtà, probabilmente, non era una grande idea rimanere lì sull’albero. Forse sarebbe stato meglio spiare da una certa distanza… per esempio dalla Georgia. Silenziosamente scesi a terra e stavo per andarmene in punta di piedi quando udii lo scatto di una serratura. O qualcuno aveva chiuso dall’interno per la notte, oppure stava venendo fuori per spararmi. Questo mi indusse ad affrettarmi.

Ero sul punto di svoltare sulla strada quando udii lo scricchiolio di un cancello che si apriva. Mi appiattii contro la recinzione, nascosta nell’ombra, trattenni il fiato e osservai la pista ciclabile.

Una figura solitaria comparve. Chiuse il cancello. Si fermò un momento e guardò esattamente nella mia direzione. Ero quasi sicura che fosse uscita dal cortile di Hannibal. Ero quasi sicura che non riuscisse a vedermi. C’era un buon tratto di distanza tra noi ed essa era quasi invisibile nell’oscurità; la luce naturale della notte ne mostrava solo la sagoma. Girò sui tacchi e si avviò nella direzione opposta a me, passando sotto la lama di luce che proveniva da una finestra, e per un attimo fu visibile. Il fiato mi si spezzò in gola. Era Ranger. Aprii la bocca per chiamarlo ma se n’era già andato, scomparso nella notte. Come un fantasma.

Corsi sulla strada e rimasi in ascolto. Non sentii nulla, tranne il rumore di avviamento di un motore non lontano da lì. Una piccola fuoristrada nera attraversò l’incrocio e lentamente si diresse in città. Ero per metà spaventata e per metà smarrita, come se fosse stata tutta un’allucinazione dovuta alla mancanza di sonno. Confusa, tornai all’auto e partii in direzione di casa.

La nonna stava ancora russando come un boscaiolo quando lasciai cadere la borsetta sul ripiano della cucina. Salutai Rex e arrancai verso il divano. Non mi diedi neppure la pena di togliere le scarpe. Mi limitai a crollare sui cuscini e a tirarmi addosso la coperta.

Quando riaprii gli occhi, il Luna e Dougie erano seduti sul tavolino del salotto e mi fissavano.

«Ehi!» strillai. «Che diavolo succede?»

«Salve, piccola» disse il Luna «spero che non ti abbiamo, come dire, svegliata.»

«Che cosa ci fate in casa mia?» strillai.

«Il ragazzo, qui, un tempo conosciuto come il Commerciante, ha bisogno di parlarti. È un po’, come dire, confuso. Sai com’è, un attimo fa era un uomo d’affari di successo, e l’attimo dopo — wham - si vede strappare via tutto il futuro da sotto i piedi. Non è proprio una bella cosa, ragazza.»

Dougie scosse la testa. «Non è una bella cosa» ripeté.

«Così abbiamo pensato che forse tu avevi qualche idea per il suo prossimo impiego» proseguì il Luna «visto che tu hai un lavoro di successo. Voi due siete un po’ come… be’, una bella coppia di imprenditori.»

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