Janet Evanovich - Cacciatrice di taglie

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Cacciatrice di taglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Stephanie Plum fa la cacciatrice di taglie per un’agenzia del New Jersey. Il suo compito è ritrovare il misterioso Ranger, sospettato di aver ucciso il figlio di un boss del traffico d’armi. Ma Ranger è anche l’uomo che ha insegnato a Stephanie tutto quello che sa del suo mestiere e che esercita su di lei un fascino pericoloso. E la cattura di Ranger non è l’unico pensiero che non la fa dormire di notte. La spassosa nonna Mazur si è trasferita da lei, un amico le ha affidato un cane bulimico, l’intimità con il fidanzato Joe Morelli è diventata impossibile, Stephanie deve più volte dissuadere dal suicidio un’amica e un maniaco tenta di ucciderla.

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Sorrisi. «Devi riportare l’auto a casa?»

«Al diavolo l’auto» disse Mitchell. «Mio figlio ha una partita di calcio.»

Tornai alla Buick e feci salire Bob sul sedile posteriore. Almeno non dovevo preoccuparmi di essere seguita, grazie alla partita di calcio. Guardai nello specchietto retrovisore solo per assicurarmene: niente Habib e Mitchell. Majoyce mi stava pedinando. Accostai al marciapiede, mi fermai e Joyce si fermò pochi metri dietro di me. Scesi dall’auto e andai da lei.

«Piantala» dissi.

«È un Paese libero.»

«Hai intenzione di seguirmi tutto il giorno?»

«Probabilmente.»

«E se ti chiedessi gentilmente di non farlo?»

«Siamo realisti.»

Guardai la sua auto, una piccola fuoristrada nera nuova fiammante. Poi guardai la mia: la grossa Buick blu. Tornai al volante. «Tieniti forte» dissi a Bob. E partii in retromarcia.

Crash.

Ingranai la prima e mi feci avanti di qualche metro. Scesi e ispezionai i danni. Il paraurti della fuoristrada era accartocciato e Joyce stava lottando con l’airbag che si era gonfiato. Il posteriore della Buick era intatto. Neanche un graffio. Tornai al volante e me ne andai. Non è saggio mettersi a discutere con una donna che ha un brufolo.

A Deal il cielo era coperto, e una foschia arrivava dall’oceano. Cielo grigio, mare grigio, marciapiedi grigi, un’enorme villa rosa che apparteneva ad Alexander Ramos. Passai davanti alla villa, feci inversione di marcia, ripassai nuovamente, svoltai e parcheggiai all’angolo. Mi domandavo se Ranger fosse lì in osservazione. Avevo l’impressione di sì. Non c’erano furgoni o camioncini in sosta lungo la strada. Questo voleva dire che doveva trovarsi in una casa, e che la casa doveva essere vuota. Facile indovinare che si trattasse di una delle ville disabitate lungo la spiaggia. Molto più improbabile che fosse una di quelle sulla strada. Non ce n’era nessuna con le finestre chiuse.

Guardai l’orologio. Stessa ora, stesso posto. Ramos non c’era. Dopo dieci minuti squillò il telefono.

«Ehilà» disse Ranger.

«Ehilà a te.»

«Non sei molto brava a seguire le istruzioni.»

«Vuoi dire quelle di non accettare il lavoro di contrabbandiere di sigarette? Era troppo allettante per lasciarselo scappare.»

«Starai attenta, vero?»

«Certo.»

«Il nostro uomo ha difficoltà a uscire di casa. Rimani lì.»

«Come lo sai? Dove ti trovi?»

«Sta’ pronta. Lo spettacolo sta per cominciare» disse Ranger. E chiuse la comunicazione.

Alexander Ramos oltrepassò il cancello e attraversò la strada di corsa verso la mia auto. Spalancò la portiera e si gettò dentro. «Vai!» gridò. «Vai!»

Allontanandomi dal marciapiede vidi due uomini in giacca e cravatta che uscivano dal cancello e si precipitavano verso di noi. Pigiai a fondo l’acceleratore e ce ne andammo a gran velocità.

Ramos non aveva per nulla un bell’aspetto. Era pallido, sudava e ansimava. «Cristo» disse «non credevo che ce l’avrei fatta. Quella casa è un manicomio. Per fortuna ho guardato dalla finestra al momento giusto e ho visto la tua auto. Stavo impazzendo là dentro.»

«Vuole andare al negozio?»

«No. È il primo posto in cui mi cercherebbero. Non posso neppure andare da Sal.»

Cominciavo ad avere una pessima sensazione. Per esempio, che quello fosse uno di quei giorni in cui Alexander non aveva preso la medicina.

«Portami ad Asbury Park» disse. «Conosco un locale lì.»

«Perché quegli uomini la inseguivano?»

«Nessuno mi inseguiva.»

«Ma io li ho visti.»

«Non hai visto niente.»

Dieci minuti dopo puntò l’indice e disse: «Là. Fermati in quel bar».

Entrammo tutti e tre nel bar, ci sedemmo a un tavolo e procedemmo allo stesso rituale della volta precedente. Il barista portò una bottiglia di ouzo al tavolo senza che gli fosse chiesto nulla. Ramos ne ingollò due bicchierini e poi si accese una sigaretta.

«La conoscono tutti» dissi.

Lui si guardò in giro, osservando i fatiscenti séparé lungo una delle pareti e il bancone di mogano scuro che occupava tutta la lunghezza di un’altra. Dietro al bancone c’era la solita collezione di bottiglie e dietro a queste il solito grande specchio da bar. All’estremità opposta della stanza, uno degli sgabelli era occupato da un uomo che osservava il fondo del proprio bicchiere.

«Per alcuni anni sono venuto qui» mi disse Ramos. «Vengo quando ho bisogno di stare lontano da quei pazzi.»

«Quei pazzi?»

«La mia famiglia. Ho allevato tre figli incapaci che spendono i soldi più rapidamente di quanto io riesca a guadagnarli.»

«Lei è Alexander Ramos, vero? Ho visto una sua fotografia sul “Newsweek” non molto tempo fa. Mi dispiace per Homer. Ho letto dell’incendio sui giornali.»

Lui si versò un altro bicchierino. «Un pazzo di meno con cui avere a che fare.»

Mi sentii impallidire. Era un’affermazione agghiacciante per un padre.

Lui tirò una lunga boccata dalla sigaretta, chiuse gli occhi e assaporò quel momento. «Loro credono che il vecchio non sappia ciò che sta succedendo. Ebbene, si sbagliano: il vecchio sa tutto. Non ho messo in piedi i miei affari con la stupidità. E non l’ho fatto neppure con la gentilezza, perciò è meglio che stiano attenti a dove ficcano il naso.»

Mi voltai a dare un’occhiata alla porta. «È sicuro che qui possiamo stare tranquilli?»

«Quando sei con Alexander Ramos, sei sempre al sicuro. Nessuno tocca Alexander Ramos.»

Già, giusto. Ecco perché ci stavamo nascondendo in un bar di Asbury Park. Sembrava di stare a Stranilandia.

«Ma non amo essere disturbato quando fumo» disse. «Non voglio avere sotto gli occhi tutte quelle sanguisughe.»

«Perché non se ne libera? Dica loro di lasciare la casa.»

Lui mi osservò attraverso un velo di fumo. «Che impressione farebbe? Sono la mia famiglia.» Lasciò cadere la sigaretta a terra e la calpestò. «C’è solo un modo per liberarsi dalla famiglia.»

Oh, santo cielo.

«Abbiamo finito, qui» disse. «Devo tornare prima che mio figlio mi faccia fuori.»

«Hannibal?»

«Il signor Sotutto. Non avrei mai dovuto mandarlo al college.»

Si alzò e gettò una manciata di soldi sul tavolo. «E tu? Sei andata al college?»

«Sì.»

«E adesso che cosa fai?»

Temevo che se gli avessi detto di essere una cacciatrice di latitanti mi avrebbe sparato. «Un po’ di questo e un po’ di quello» dissi.

«Tutta quella buona istruzione e non hai un lavoro?»

«Parla come mia madre.»

«Probabilmente stai facendo venire il crepacuore a tua madre.»

Questo mi fece sorridere. Era un pazzo furioso, ma in qualche modo mi piaceva. Mi ricordava mio zio Punky.

«Lei sa chi è stato a uccidere Homer?»

«Homer si è ucciso da solo.»

«Ho letto sui giornali che non hanno trovato l’arma, perciò hanno escluso il suicidio.»

«C’è più di un modo di uccidersi. Mio figlio era stupido e avido.»

«Oh… non l’ha ucciso lei, vero?»

«Ero in Grecia quando gli hanno sparato.»

Ci guardammo negli occhi. Sapevamo entrambi che questo non rispondeva alla domanda. Ramos avrebbe potuto ordinare l’esecuzione del figlio.

Lo riaccompagnai a Deal e parcheggiai in una strada laterale, a un isolato dalla villa rosa.

«Ogni volta che vuoi guadagnarti venti verdoni devi soltanto farti vedere giù all’angolo» disse Ramos.

Sorrisi. Non avevo accettato denaro da lui e probabilmente non sarei tornata.

«D’accordo» dissi «mi tenga d’occhio.»

Me ne andai non appena scese dall’auto. Non volevo rischiare che i tizi in giacca e cravatta mi vedessero. Dieci minuti dopo il telefono squillò.

«Un incontro breve» disse Ranger.

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