«Ehi, Juniak» strillò Costanza «vieni a dare un’occhiata a questo tizio nudo. Prova un po’ a immaginare a chi appartiene!»
«Va bene» disse Lula a Munson «fine dei giochi. Adesso puoi uscire.»
«No» rispose Munson «non scendo.»
«Scenderai eccome» disse Lula.
Juniak e altri due poliziotti raggiunsero Costanza sulla porta. Sorridevano tutti come piedipiatti rimbambiti.
«A volte penso che questo sia davvero un lavoro infame» disse uno dei poliziotti. «Ma poi ci sono occasioni in cui si vedono cose come queste e all’improvviso sembra che ne valga la pena. Perché quel tizio nudo ha un sacchetto di plastica al piede?»
«Gli ho sparato» dissi.
Costanza e Juniak si scambiarono un’occhiata. «Non voglio sapere niente» disse Costanza. «Non ho sentito niente.»
Lula rivolse a Munson la sua tipica occhiata da cane inferocito. «Se non tiri fuori quel tuo mucchietto d’ossa dall’auto, vengo a prenderti.»
«Fottiti» disse Munson. «Va’ a farti fottere, culona.»
I poliziotti trattennero il respiro e fecero un passo indietro.
«E va bene» disse Lula. «Adesso mi hai veramente stancato. Tanto hai fatto che hai rovinato le mie buone intenzioni. Ora vengo lì e ti stano come un topo, tu e quel tuo uccello che sembra una matita.»
Si precipitò fuori dell’auto e spalancò la portiera posteriore.
E Munson saltò giù immediatamente.
Gli avvolsi attorno la coperta ed entrammo tutti nella stazione di polizia, tranne Lula che aveva una fobia per quel genere di ambiente. Lei fece retromarcia nel vialetto, trovò un posto nel cortile e parcheggiò.
Ammanettai Munson alla panca vicino al tenente che si occupava del registro delle sentenze, presentai la documentazione e ottenni la ricevuta per la consegna del latitante. La prossima cosa da fare che avevo nella lista era andare a trovare Brian Simon.
Stavo salendo al terzo piano quando Costanza mi trattenne. «Se cerchi Simon, lascia perdere. Se l’è data a gambe non appena ha saputo che eri qui.» Mi squadrò da capo a piedi. «Non voglio offenderti o niente del genere, ma hai un aspetto orribile.»
Ero completamente coperta di polvere, i jeans si erano strappati sul ginocchio, i capelli erano alle prese con una giornata veramente pessima, e poi c’era il brufolo.
«Sembra che tu non dorma da giorni» disse Costanza.
«In effetti è così.»
«Dovrei fare due chiacchiere con Morelli.»
«Non si tratta di Morelli. Si tratta di mia nonna. Si è trasferita da me e russa.» Per non parlare del fatto che nella mia vita c’era anche il Luna. E un bel numero di pazzi. E Ranger.
«Dunque fammi capire bene. Tu vivi con tua nonna e il cane di Simon?»
«Già.»
Costanza sorrise. «Ehi, Juniak» strillò «aspetta di sentire questa.» Si voltò di nuovo verso di me. «Non mi stupisce che Morelli sia tanto di cattivo umore.»
«Di’ a Simon che l’ho cercato.»
«Contaci» disse Costanza.
Dalla stazione di polizia andammo in ufficio e io entrai con Lula per vantarmi un po’ della mia bravura come cacciatrice di latitanti. Lula e io avevamo catturato il nostro uomo. Era stata una grande cattura, anche. Un maniaco omicida. Be’, insomma, forse non era stata un’operazione ineccepibile ma, santo cielo, l’avevamo preso.
Sbattei sulla scrivania di Connie la ricevuta per la consegna del latitante. «Siamo brave o no?» dissi.
Vinnie uscì dal suo ufficio. «Per caso ho sentito parlare di una nuova cattura?»
«Morris Munson» disse Connie. «Firmato, sigillato e consegnato.»
Vinnie si dondolò sui calcagni, le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni, il sorriso che andava da un orecchio all’altro. «Fantastico.»
«Non ci ha nemmeno dato fuoco questa volta» disse Lula. «Siamo state brave. Lo abbiamo sbattuto in galera.»
Connie si rivolse a Lula. «Lo sapete che siete tutte bagnate?»
«Già. Be’, abbiamo dovuto stanare il maledetto fuori della doccia.»
Le sopracciglia di Vinnie schizzarono fino in cima alla fronte. «Vorreste dire che lo avete arrestato nudo?»
«Non sarebbe stato tanto male se non fosse corso fuori di casa e giù in strada» disse Lula.
Vinnie scosse la testa, il sorriso ancora più ampio. «Io adoro questo lavoro.»
Connie mi consegnò quello che mi spettava; io diedi a Lula la sua parte e tornai a casa per cambiarmi. La nonna c’era ancora, si stava preparando per la lezione di guida: aveva indossato la tuta viola con le scarpe da ginnastica e una maglietta a maniche lunghe con una scritta sul petto che diceva CIUCCIAMI IL CALZINO. «Oggi ho incontrato un uomo nell’ascensore» disse. «E l’ho invitato a cenare con noi stasera.»
«Come si chiama?»
«Myron Landowsky. È un po’ attempato, ma immagino che da qualche parte dovrò pur cominciare.» Prese la borsetta dal ripiano, se la ficcò sotto il braccio e fece una carezza sulla testa a Bob. «Bob è stato un bravo bambino oggi, a parte il fatto che ha mangiato il rotolo di carta igienica del bagno. Ah, già, speravo che tu e Joseph poteste venire con la macchina. Myron non guida quando è buio, per via della vista debole.»
«Non c’è problema.»
Mi preparai un sandwich con un uovo fritto per pranzo, mi cambiai i jeans, spazzolai i capelli raccogliendoli in una coda bassa e coprii il brufolo con una tonnellata di correttore. Misi un po’ di mascara sulle ciglia e mi guardai allo specchio. Stephanie, Stephanie, Stephanie, dissi. Che cosa stai facendo?
Mi stavo preparando per tornare alla spiaggia, ecco che cosa stavo facendo. Mi affliggeva il fatto di aver probabilmente sprecato l’opportunità di parlare con Alexander Ramos. Il giorno prima ero rimasta seduta al tavolo di fronte a lui come una perfetta imbranata. Stavamo sorvegliando la famiglia Ramos e quando io, inaspettatamente, ero riuscita a entrare nel pollaio non avevo fatto al gallo neanche una domanda. Ero sicura che il consiglio di Ranger fosse saggio, che avrei dovuto stare lontana da Alexander Ramos, ma mi sembrava stupido non tornare e provare a trarre qualche vantaggio dalla situazione.
Afferrai la giacca e misi il guinzaglio a Bob. Feci una sosta in cucina per salutare Rex e per rimettere la pistola nel vaso dei biscotti. Mi pareva non fosse una buona idea averla addosso mentre facevo da autista ad Alexander Ramos. Sarebbe stato difficile spiegare la presenza della pistola se Ramos o qualcuno dei suoi baby sitter mi avesse perquisita.
Quando scesi trovai l’auto di Joyce Barnhardt parcheggiata nel cortile del mio palazzo. «Che bella faccia! Sembri una pizza» disse.
A quanto pare il correttore non era del tutto efficace. «Hai bisogno di qualcosa?»
«Sai di che cosa ho bisogno.»
Joyce non era l’unica idiota che si aggirava nel parcheggio. Mitchell e Habib erano fermi sul lato opposto. Andai verso di loro e Mitchell abbassò il finestrino del lato guidatore.
«Avete visto la donna con cui stavo parlando?» domandai. «Quella è Joyce Barnhardt. È lei l’agente di rinforzo che Vinnie ha assoldato per trovare Ranger. Se volete arrivare a lui dovete pedinare Joyce.»
Entrambi guardarono Joyce.
«Se una donna si vestisse in quel modo al mio Paese, la lapideremmo a morte» disse Habib.
«Belle poppe, però» disse Mitchell. «Sono vere?»
«Per quel che ne so, sì.»
«Quante possibilità credi che abbia di scovare Ranger?»
«Nessuna.»
«Quante possibilità pensi di avere tu?»
«Nessuna.»
«Abbiamo ordine di sorvegliare te» disse Mitchell. «Ed è quello che faremo.»
«Peccato» commentò Habib. «Mi piace davvero guardare quella puttanella di Joyce Barnhardt.»
«Avete intenzione di seguirmi tutto il pomeriggio?»
Il rossore salì dal collo di Mitchell fino alle guance. «Abbiamo qualche altra cosa da fare.»
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