«Sei pazzo!»
«Lo vedi, sta già funzionando.»
«Be’, non ti andrà bene, perché sono una professionista ben allenata nella difesa personale.»
«Non dire balle. Ho chiesto in giro: tu non sei allenata a niente. Vendevi biancheria intima per signora finché non sei stata licenziata.»
«Non sono stata licenziata. Sono stata sospesa dall’incarico.»
«Qualunque cosa sia.» Aprì la mano, tenne il palmo verso l’alto e mi mostrò un coltello a serramanico. Premette il bottone e la lama scattò fuori. «Ora, se tu collabori non farà troppo male. Non ti voglio uccidere. Ho pensato di accoltellarti un paio di volte perché la scena venga bene. Magari tagliarti via un capezzolo.»
«Non pensarci neanche!»
«Ascoltami, signorina, lasciami in pace, d’accordo? Devo affrontare un’accusa per omicidio.»
«È una stupidaggine. Non funzionerà mai! Hai parlato col tuo avvocato di questo?»
«Non posso permettermi un avvocato! Mia moglie mi ha fottuto tutto, mi ha ripulito.»
Un centimetro dopo l’altro stavo arretrando verso il divano mentre parlavamo. Ora che conoscevo il suo piano di tagliarmi via un capezzolo, usare la pistola non mi sembrava una cattiva idea.
«Ferma lì» disse. «Non vorrai che ti dia la caccia in giro per tutto l’appartamento, vero?»
«Volevo solo sedermi, non mi sento tanto bene.»
E questo non era poi molto lontano dalla verità. Il cuore mi batteva all’impazzata nel petto, e avevo cominciato a sudare freddo. Mi lasciai cadere sul divano e affondai le dita nella fessura tra i cuscini. Niente pistola. Frugai con la mano sotto il cuscino accanto a me. Ancora niente.
«Che cosa stai facendo?» domandò lui.
«Sto cercando una sigaretta» dissi. «Ho bisogno di un’ultima sigaretta per calmare i nervi.»
«Scordatelo. È arrivata l’ora.» Mi si scagliò contro con il coltello, io mi scansai e lui conficcò il coltello nel cuscino del divano.
Gridai e arrancai a quattro zampe in cerca della pistola finché la trovai sotto il cuscino centrale. Munson mi venne addosso di nuovo, e io gli sparai a un piede.
Bob aprì un occhio.
«Figlia di puttana!» strillò Munson, lasciando cadere il coltello e afferrandosi il piede. «Figlia di puttana!»
Io arretrai tenendolo sotto tiro. «Sei in arresto.»
«Sono ferito. Sono ferito. Morirò. Morirò dissanguato.»
Entrambi abbassammo lo sguardo sul suo piede. Il sangue non stava esattamente sgorgando fuori. C’era una macchiolina sul mignolo.
«Devo averti colpito solo di striscio» dissi.
«Gesù» disse «che tiro maldestro. Eri proprio su di me. Come puoi aver mancato il mio piede?»
«Vuoi che ci riprovi?»
«Ormai è tutto rovinato. Hai rovinato tutto come al solito. Ogni volta che io ho un piano tu lo mandi all’aria. Avrebbe funzionato tutto alla perfezione. Dovevo venire qui, tagliarti un capezzolo e darti fuoco. Ma adesso è andato tutto a puttane.» Gettò le braccia in aria pieno di disgusto. «Donne!» Si voltò e cominciò a zoppicare in direzione della porta.
«Ehi» strillai «dove stai andando?»
«Me ne vado. Il dito del piede mi fa un male da morire. E guarda la scarpa. C’è un gran buco. Pensi che le scarpe crescano sugli alberi? Lo vedi, è questo che voglio dire. Tu non hai rispetto per nessuno se non per te stessa. Voi donne siete tutte uguali. Prendete, prendete, prendete. Dammi, dammi, dammi.»
«Non preoccuparti per la scarpa. Lo Stato provvederà a fartene avere un paio nuove.» Insieme con un bel maglione arancione e un paio di catene per le caviglie.
«Scordatelo. Io non tornerò in galera finché non saranno tutti convinti che sono pazzo.»
«Io ne sono già convinta. E inoltre ho una pistola e ti sparerò di nuovo se mi costringerai.»
Lui tenne le mani in alto. «Avanti, spara.»
Non soltanto non riuscivo a sparare a un uomo disarmato, ma avevo anche finito le munizioni. Erano sulla mia lista di cose da comprare. Latte, pane, pallottole.
Gli passai accanto, presi la borsetta dal gancio a muro e rovesciai tutto sul pavimento, poiché era il modo più veloce per trovare le manette e lo spray urticante. Sia io sia Munson ci gettammo sulle cianfrusaglie sparse per terra e vinse lui: si prese lo spray urticante e fece un salto verso la porta. «Se mi segui ti spruzzo» disse.
Lo guardai mentre se ne andava a una specie di galoppo lungo il corridoio, facendo attenzione al piede ferito. Si fermò all’ascensore e mi mostrò la bomboletta di spray urticante, agitandomela davanti al naso. «Tornerò» disse. Poi entrò in ascensore e scomparve.
Chiusi la porta a chiave. Fantastico… per quello che contava. Andai in cucina a cercare qualcosa che mi fosse di conforto. La torta era finita. Negli oscuri recessi della credenza non era nascosta nessuna barretta al cioccolato. Nessuna bevanda alcolica. Niente snack al formaggio. Il vasetto di burro di arachidi era vuoto.
Bob e io provammo con un paio di olive, ma non erano affatto ciò che la situazione richiedeva. «Avrebbero bisogno quanto meno di una glassatura» dissi a Bob.
Raccolsi alla meglio le cianfrusaglie sparse sul pavimento dell’ingresso e le gettai di nuovo dentro la borsa. Misi l’allarme distrutto sul mobile, spensi le luci e tornai al divano. Giacqui così nel buio, ma la minaccia con cui Munson se n’era andato mi risuonava in testa. Davvero non importava se fosse pazzo intenzionalmente o realmente; di base c’era il fatto che ero andata molto vicina a rimanere senza capezzoli. Probabilmente non sarei più riuscita a dormire finché non avessi messo una porta blindata. Aveva detto che sarebbe tornato, e non sapevo se fosse una questione di ore o di giorni.
Il problema era che a malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti. Provai a cantare, ma scivolai nel sonno più o meno a metà di Novantanove bottiglie di birra sul muro. L’ultima cosa che ricordavo era di aver contato fino a cinquantasette bottiglie di birra, e poi fui svegliata di soprassalto dalla sensazione di non essere sola nella stanza.
Rimasi sdraiata, immobile, con il cuore che batteva furiosamente e i polmoni bloccati come in un fermo immagine. Non avevo sentito rumore di passi sul tappeto. Nell’aria attorno a me non sentivo l’odore del corpo di un uomo impazzito e sconvolto. C’era solo l’irrazionale consapevolezza che qualcuno si trovava nel mio spazio. E poi, senza preavviso, delle dita si posarono sul mio polso, e io fui improvvisamente in azione. L’adrenalina ebbe un’impennata e mi catapultai giù dal divano addosso all’intruso.
Entrambi fummo colti di sorpresa e inciampammo sul tavolino del salotto, finendo per terra in un groviglio di braccia e gambe. E in un attimo io mi ritrovai bloccata sotto di lui, la qual cosa non fu un’esperienza del tutto spiacevole non appena mi resi conto che si trattava di Ranger. Eravamo bacino contro bacino, petto contro petto, le sue mani allacciate ai miei polsi. Passò un istante durante il quale non facemmo altro che respirare.
«Bel placcaggio, bambina» disse. E poi mi baciò. Nessun dubbio sull’intenzione, questa volta. Non il tipo di bacio che si darebbe a una cugina, per esempio. Più il genere di bacio che un uomo darebbe a una donna quando muore dalla voglia di strapparle di dosso i vestiti e darle una buona ragione per cantare l’ Alleluja.
Mi baciò ancora più profondamente e infilò le mani sotto la mia T-shirt, appoggiando i palmi aperti sulla pancia. Una scarica di calore elettrico mi contrasse i capezzoli. Grazie a Dio li avevo ancora tutti e due!
La porta della camera da letto si aprì rumorosamente e la nonna mise fuori la testa. «Va tutto bene, qui?»
Grandioso. Adesso si sveglia!
«Sì. Tutto perfetto» dissi.
«È Ranger quello sopra di te?»
Читать дальше