«Che cosa… Come…?» disse Mitchell.
Feci salire Bob sulla Buick e mi allontanai dal parcheggio aprendomi la strada tra le auto della polizia e i camion dei pompieri.
Carl Costanza, in uniforme, dirigeva il traffico. «Sembra un destino» disse. «È la seconda auto che mandi arrosto questa settimana.»
«Non è stata colpa mia! Non è neppure la mia auto.»
«Ho sentito dire che qualcuno ha fatto lo scherzetto del sacchetto pieno di merda ai due tirapiedi di Arturo Stolle.»
«Scherzi? Immagino che tu non sappia chi è stato.»
«Buffo, stavo proprio per chiederti se ne sapevi qualcosa tu.»
«L’ho domandato prima io.» Costanza sorrise leggermente.
«No. Non so chi sia stato.»
«Neppure io» dissi.
«Sei un’ingenua» disse Costanza. «Non posso credere che ti sia fatta fregare con questa faccenda del cane di Simon.»
«In un certo senso mi piace.»
«Non lasciarlo da solo nell’auto, però.»
«Vuoi dire perché è contro la legge?»
«No: perché ha divorato il sedile della macchina di Simon. Tutto ciò che ne è rimasto erano brandelli di gommapiuma e qualche molla.»
«Grazie per avermi rivelato il segreto.»
«Immaginavo volessi saperlo.»
Me ne andai, pensando che se Bob avesse divorato il sedile della Buick quello si sarebbe probabilmente rigenerato da solo. A rischio di sembrare la nonna, cominciavo a domandarmi quale fosse il segreto di quell’auto: era come se quell’accidenti fosse impermeabile ai danni, aveva quasi cinquant’anni e la vernice della carrozzeria era in condizioni perfette. Tutto attorno le altre auto venivano ammaccate o distrutte o appiattite come frittelle, ma alla Buick non succedeva mai niente.
«È davvero un mistero» dissi a Bob, che teneva il naso schiacciato contro il finestrino, e non pareva interessarsi minimamente alla cosa.
Ero ancora sulla Hamilton quando il cellulare squillò.
«Ehi, bambina» disse Ranger. «Hai qualcosa per me?»
«Soltanto informazioni di base sulla Lotte. Vuoi sapere dove abita?»
«Passo.»
«Il grigio le sta bene.»
«Questo sì che è vitale.»
«Mmm. Siamo un po’di cattivo umore, oggi?»
«Di cattivo umore non è abbastanza. Ho un favore da chiederti. Ho bisogno che tu vada a dare un’occhiata al retro della villa di Deal. Chiunque altro della squadra sarebbe sospetto, ma una donna che passeggia col cane lungo la spiaggia non apparirà tome una minaccia al servizio di sicurezza dei Ramos. Voglio che tu faccia un inventario della casa. Conta tutte le finestre e le porte.»
C’era una spiaggia pubblica a circa quattrocento metri dalla proprietà dei Ramos.
Parcheggiai sulla strada, e Bob e io attraversammo un breve tratto di dune basse. Il cielo era nuvoloso e l’aria più fresca di come l’avevo lasciata a Trenton. Bob teneva il naso al vento ed era tutto allegro, io mi abbottonai il giubbotto fino al collo e rimpiansi di non aver portato niente di più caldo da indossare.
La maggior parte delle grandi e costose ville sulle dune era chiusa e disabitata. Onde grigie e spumeggianti ci venivano incontro con un forte sciabordio. Qualche gabbiano camminava lungo la battigia, ma niente di più. Soltanto io, Bob e i gabbiani.
Vidi la grande casa rosa, molto più esposta dal lato della spiaggia di quanto lo fosse sulla strada. Gran parte del primo piano e tutto il secondo erano chiaramente visibili. Un portico correva per tutta la lunghezza della costruzione principale e, adiacenti a questa, c’erano altri due corpi di fabbrica. L’ala nord era costituita da un piano terra adibito a garage e, sopra di esso, c’erano probabilmente le camere da letto. L’ala sud aveva due piani e sembrava interamente residenziale.
Continuai ad arrancare sulla sabbia, non volendo apparire eccessivamente curiosa mentre contavo le finestre e le porte. Semplicemente una donna che passeggiava con il suo cane e si congelava il culo. Avevo con me il binocolo ma temevo di usarlo: non volevo destare sospetti, era impossibile dire se mi stessero osservando da qualche finestra.
Bob correva attorno a me, dimentico di tutto se non della gioia di essere all’aperto. Continuai a camminare passando davanti a parecchie case, disegnai uno schizzo su un pezzetto di carta, mi voltai e tornai indietro fino alla rampa di accesso al pubblico dove avevo parcheggiato la Buick. Missione compiuta.
Bob e io salimmo in auto e, lungo la strada, passammo davanti alla casa dei Ramos un’ultima volta. Quando mi fermai all’angolo, un uomo sui sessant’anni scese dal marciapiede e venne verso di me. Indossava una tuta da ginnastica e scarpe da jogging. E agitava le braccia. «Ferma» disse. «Si fermi un momento.»
Avrei potuto giurare che si trattava di Alexander Ramos. No, era ridicolo.
Lui trotterellò dal lato del guidatore e bussò al mio finestrino. «Ha una sigaretta?» domandò.
«Gesù… oh, no.»
Mi fece cenno di dargli ascolto. «Mi accompagni al negozio per comprare delle sigarette. Ci vorrà soltanto un minuto.»
Un accento piuttosto pesante. Il viso simile a quello di un falco. La stessa corporatura e la stessa altezza. Sembrava davvero Alexander Ramos.
«Lei vive da queste parti?» gli domandai.
«Già, vivo in quello schifo mostruoso di casa rosa. Che cosa ne dice? Mi accompagna al negozio o no?»
Mio Dio! Era Ramos. «Di solito non do passaggi agli sconosciuti.»
«Faccia un’eccezione: ho bisogno di una sigaretta. Comunque, lei ha un grosso cane sul sedile posteriore e ha anche tutta l’aria di una che dà passaggi agli sconosciuti. Che cosa crede, che sia nato ieri?»
«Non proprio ieri.»
Lui spalancò la portiera dal lato passeggero e salì in auto. «Davvero buffo. Mi tocca fare la parte di quello che fa l’autostop.»
«Non conosco la zona. Da che parte devo andare?»
«Giri lì all’angolo. C’è un negozio a circa ottocento metri.»
«Se si tratta solo di ottocento metri, perché non ci va a piedi?»
«Ho le mie ragioni.»
«Non dovrebbe fumare, eh? Non vuole che nessuno la becchi mentre va al negozio?»
«Maledetti dottori. Devo sgattaiolare fuori da casa mia solo per trovare una sigaretta.» Fece un gesto rassegnato. «E comunque non sopporto di stare in quella villa. Sembra un mausoleo popolato di cadaveri. Maledetto pezzo di merda rosa.»
«Se non le piace, perché ci vive?»
«Bella domanda. Dovrei venderla. Non mi è mai piaciuta, fin dall’inizio, ma mi ero appena sposato e mia moglie la voleva a tutti i costi. Con lei tutto doveva essere rosa.» Rifletté per un minuto. «Come si chiamava? Trixie? Trudie? Cristo, non me lo ricordo neanche.»
«Non si ricorda il nome di sua moglie?»
«Ho avuto molte mogli. Molte. Quattro. No, aspetti un minuto… cinque.»
«Adesso è sposato?»
Lui scosse la testa. «Ne ho davvero abbastanza del matrimonio. L’anno scorso mi sono operato alla prostata. Un tempo le donne mi sposavano perché avevo le palle e i soldi. Adesso mi sposerebbero soltanto per i soldi.» Scosse nuovamente la testa. «Non è sufficiente. Bisogna avere un limite, sa?»
Mi fermai davanti al negozio e lui saltò fuori dall’auto. «Non vada via. Torno subito.»
Una parte di me voleva scappare a gambe levate. Quella era la parte vigliacca. E una parte di me voleva gridare «Yahoo!» Quella era la parte cretina.
Due minuti dopo lui era di nuovo in auto e accendeva una sigaretta.
«Ehi» dissi «niente fumo in macchina.»
«Le do altri venti dollari.»
«Non voglio neanche i primi venti, e la risposta è no: niente fumo.»
«Odio questo Paese; la gente non sa vivere. Tutti bevono soltanto quella schifezza di latte magro.» Indicò l’incrocio. «Giri lì e prenda la Shoreline Avenue.»
«Dove andiamo?»
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