Spensi le luci e mi infilai sotto la coperta del mio giaciglio di fortuna, sul divano. La nonna russava nella camera da letto. Il freezer, durante il ciclo di scongelamento, ronzava in cucina. Udii il rumore lontano della portiera di un’auto che veniva sbattuta, nel parcheggio. Tutti rumori normali, mi dissi. Allora perché il cuore mi batteva con tanta preoccupante forza? Perché avevo guardato quello stupido programma sui serial killer in televisione, ecco perché.
D’accordo, dimentica il programma. Dormi. Pensa a qualcos’altro.
Chiusi gli occhi e pensai ad Alexander Ramos, che probabilmente non era tanto diverso da quei killer perversi che mi stavano provocando le palpitazioni. Quale problema aveva Ramos? L’uomo che controllava il flusso di armi clandestine in tutto il mondo era costretto a chiedere un passaggio a una sconosciuta per comprarsi qualche sigaretta. La voce che correva sosteneva che Ramos fosse malato, ma non mi era parso né vecchio né pazzo, mentre era con me. Un po’ aggressivo, forse, non tanto paziente. Suppongo esistano luoghi dove il suo comportamento sarebbe ritenuto stravagante, ma questo era il New Jersey e mi sembrava che Ramos fosse perfetto per questo Stato.
Ero attonita al punto che a malapena gli avevo parlato, ma adesso che era trascorsa qualche ora avevo un milione di domande da fargli. Non era soltanto il desiderio di parlargli ancora un po’: avevo la bizzarra curiosità di vedere l’interno della sua casa. Quando ero bambina i miei genitori mi avevano portata a Washington a vedere la Casa Bianca. Rimanemmo lì in fila per ore, e poi fummo accompagnati in tutte le stanze aperte al pubblico. Una colossale delusione: a chi interessa la sala da pranzo del capo dello Stato? Io volevo vedere la cucina. Volevo vedere il bagno del presidente. E ora volevo vedere il tappeto del soggiorno di Alexander Ramos. Volevo esplorare la suite di Hannibal e dare un’occhiata nel frigorifero. Voglio dire, tutti loro erano stati sulla copertina del «Newsweek» perciò dovevano essere personaggi interessanti, giusto?
Questo mi fece pensare ad Hannibal, che non mi era sembrato per nulla interessante. E a Cynthia Lotte, che a sua volta non mi era parsa granché. E Cynthia Lotte nuda con Homer Ramos? Ancora niente di interessante. Bene, e allora Cynthia Lotte e Batman? Andava meglio. Un momento: Hannibal Ramos e Batman? Orrore! Corsi in bagno e mi lavai i denti. Non credo di avere una particolare fobia per l’omosessualità, ma Batman è oltre il limite.
Quando uscii dal bagno qualcuno stava armeggiando alla porta d’ingresso e grattava rumorosamente la serratura. La porta si aprì di scatto, subito bloccata dalla catenella di sicurezza, e l’allarme entrò in funzione. Quando arrivai nell’ingresso vidi il Luna che mi guardava dalla fessura tra la porta e lo stipite.
«Ehi, piccola» disse quando spensi l’allarme. «Come va?»
«Che stai facendo qui?»
«Ho dimenticato di dare a tua nonna la chiave di riserva dell’auto. Ce l’avevo in tasca. Così l’ho portata.» Mi lasciò cadere la chiave in mano. «Ragazzi, è forte questo allarme. So che ce ne sono alcuni che suonano la musica della sigla di Bonanza. Ti ricordi di Bonanza ? Ragazzi, quello era un grande telefilm.»
«Come hai fatto ad aprire la porta?»
«Ho usato uno stuzzicadenti. Non volevo disturbare così tardi.»
«È stato premuroso da parte tua.»
«Il Luna cerca sempre di essere premuroso.» Mi salutò col segno della pace e se ne andò tranquillo lungo il corridoio.
Chiusi la porta e riprogrammai l’allarme. La nonna stava ancora russando in camera mia e Bob non si era mosso di un millimetro dal suo posto vicino al divano. Se il serial killer della televisione si fosse fatto vedere nel mio appartamento sarei stata completamente sola.
Cercai Rex nella gabbia e gli spiegai la faccenda dell’allarme. «Niente di cui preoccuparsi» dissi. «Lo so che è rumoroso ma almeno tu eri già sveglio e pronto a correre.» Rex era seduto in equilibrio sul suo culetto di criceto, con le zampine anteriori che gli pendevano davanti, i baffi che vibravano, le piccole orecchie di pelle sottile tese e gli occhi scuri e tondi spalancati. Lasciai cadere un pezzetto di cracker nella sua mangiatoia e lui si precipitò a ficcarselo nella tasca della guancia, poi sparì dentro la tana fatta con una lattina di zuppa. Rex sa come affrontare un momento di crisi.
Tornai al divano e mi tirai la coperta fino al petto. Niente più pensieri su Batman, mi dissi. E basta sbirciare sotto la sua tutina gommata. E basta con i serial killer. E anche con Joe Morelli visto che avrei potuto avere la tentazione di chiamarlo e chiedergli di sposarmi… o qualcosa del genere.
E allora a che cosa dovevo pensare? Per esempio, alla nonna che russava? Il rumore era abbastanza forte da compromettere il mio udito per il resto della vita. Mi sarei messa il cuscino sulla testa, ma in questo modo non avrei sentito l’allarme e il serial killer sarebbe potuto entrare e avrebbe potuto tagliarmi la lingua. Oh, merda, ecco che ricominciavo a pensare al serial killer!
Ci fu ancora rumore alla porta. Cercai di guardare l’orologio al buio. Doveva essere l’una. La porta si aprì con uno scatto e l’allarme si azionò. Senza dubbio Ranger. Mi passai una mano tra i capelli e mi assicurai che il cerotto fosse sempre al suo posto. Indossavo pantaloncini di flanella e una T-shirt bianca e all’ultimo momento fui presa dal panico che i capezzoli potessero vedersi attraverso la maglietta. Maledizione! Avrei dovuto pensarci prima. Mi affrettai ad andare nell’ingresso per spegnere l’allarme, ma prima che potessi raggiungere la porta un paio di tenaglie spuntò tra l’anta e lo stipite, fece saltare la catenella di sicurezza e la porta si spalancò.
«Ehi» dissi a Ranger «questo è barare!»
Ma non era Ranger quello che entrò dalla porta scassinata. Era Morris Munson. Strappò via il congegno antifurto dalla maniglia della porta e lo colpì con le tenaglie. L’allarme emise un ultimo gemito e morì. La nonna stava ancora russando. Bob era sempre pacificamente sdraiato vicino al divano. E Rex era in piedi sull’attenti a recitare la sua imitazione dell’orso grizzly.
«Sorpresa» disse Munson, chiudendo la porta e inoltrandosi nell’ingresso. La scacciacani, lo spray urticante, la torcia a manganello e la limetta per le unghie erano tutti nella borsa appesa a un gancio, fuori portata, alle spalle di Munson. La pistola era da qualche parte sotto i cuscini del divano, ma in realtà non volevo davvero usare la pistola: le armi mi spaventano a morte… e ammazzano la gente. Ammazzare la gente non è tra le prime voci nella lista delle mie cose preferite.
Forse avrei dovuto essere felice di vedere Munson. Voglio dire, in fin dei conti io avrei dovuto cercarlo, no? Ed eccolo qui, che si presentava spontaneamente a casa mia.
«Fermati dove sei» dissi. «Hai violato le regole della libertà su cauzione e sei sotto mandato di arresto.»
«Tu hai rovinato la mia vita» disse. «Io ho fatto di tutto per te, e tu hai rovinato la mia vita. Ti sei presa tutto. La casa, la macchina, i mobili…»
«Quella era la tua ex moglie, stupido! Assomiglio forse alla tua ex moglie?»
«Più o meno.»
«Per niente!» Specialmente visto che la sua ex moglie era morta, con le impronte degli pneumatici disegnate sulla schiena. «Come mi hai trovata?»
«Un giorno ti ho seguita fino a casa. È difficile perdere le tue tracce con quella Buick.»
«Non pensi veramente che io sia tua moglie, vero?»
Le sue labbra si tesero in un sorriso ambiguo. «No, ma se faccio credere di essere veramente fuori di testa posso reclamare l’incapacità di intendere e volere. Un povero marito sconvolto che diventa pazzo. Con te ho gettato tutte le basi, ora non mi resta che massacrarti e darti fuoco, e tornerò a casa libero.»
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