Janet Evanovich - Cacciatrice di taglie

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Cacciatrice di taglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Stephanie Plum fa la cacciatrice di taglie per un’agenzia del New Jersey. Il suo compito è ritrovare il misterioso Ranger, sospettato di aver ucciso il figlio di un boss del traffico d’armi. Ma Ranger è anche l’uomo che ha insegnato a Stephanie tutto quello che sa del suo mestiere e che esercita su di lei un fascino pericoloso. E la cattura di Ranger non è l’unico pensiero che non la fa dormire di notte. La spassosa nonna Mazur si è trasferita da lei, un amico le ha affidato un cane bulimico, l’intimità con il fidanzato Joe Morelli è diventata impossibile, Stephanie deve più volte dissuadere dal suicidio un’amica e un maniaco tenta di ucciderla.

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«E?»

«E si sporca tutta la scarpa» disse Vinnie. «Se fate questo scherzetto ai due tizi, avranno il loro da fare con le scarpe e saranno distratti; e tu potrai andartene.»

«Solo che non abbiamo una veranda» disse Lula.

«Metteteci un po’ di fantasia!» disse Vinnie. «Piazzate il sacchetto proprio dietro l’auto. Poi sgattaiolate via e qualcuno qui nell’ufficio strillerà loro che c’è qualcosa che brucia.»

«Suona bene» disse Lula. «L’unica cosa che ci serve è un po’ di cacca di cane.»

Tutti rivolgemmo l’attenzione a Bob.

Connie prese un sacchetto di carta marrone dal cassetto in basso. «Io ho il sacchetto e tu puoi usare la confezione vuota del pollo come paletta.»

Misi il guinzaglio a Bob e uscii con Lula dalla porta sul retro per passeggiare un po’. Bob fece pipì circa quaranta volte, ma non fornì alcun contributo per il sacchetto.

«Non sembra ispirato» disse Lula. «Forse dovremmo portarlo al parco.»

Il parco era a soli due isolati di distanza, perciò accompagnammo Bob e rimanemmo a ciondolare in giro aspettando che rispondesse alla chiamata della natura. Solo che la natura non lo chiamava.

«Hai mai notato che quando non ti serve della cacca di cane sembra essercene ovunque?» disse Lula. «E ora che ne vogliamo un po’…» Poi spalancò gli occhi. «Aspetta un attimo. Cane a ore dodici. Ed è un cane grosso.»

Infatti qualcuno stava portando il cane a passeggio nel parco. La bestia era grande e nera. L’anziana donna dall’altra parte del guinzaglio era minuta e bianca. Indossava scarpe col tacco basso e un grosso cappotto di tweed marrone, i capelli grigi erano nascosti da un berretto di lana fatto a mano. Aveva con sé un sacchetto di plastica e un fazzoletto di carta nella mano. Il sacchetto era vuoto.

«Non che voglia essere blasfema o cose simili» disse Lula. «Ma è il buon Dio che ci manda quel cane.»

Il cane si fermò improvvisamente e si accovacciò. Lula, Bob e io attraversammo il prato. Tenevo Bob al guinzaglio e Lula faceva ondeggiare la confezione del pollo e il sacchetto di carta, e tutti correvamo a gran velocità quando la donna alzò lo sguardo e ci vide. Il colorito sparì dal suo viso mentre arretrava terrorizzata.

«Sono vecchia» disse. «Non ho denaro. Andate via, non fatemi del male.»

«Non vogliamo il suo denaro» disse Lula. «Vogliamo la cacca.»

La donna tirò il guinzaglio. «Non potete prendere la cacca. Devo portarla a casa. È la legge.»

«La legge non dice che lei deve portarla a casa» disse Lula. «Dice solo che qualcuno deve farlo. E noi ci offriamo volontarie.»

Il grosso cane nero finì di fare quel che doveva e annusò Bob incuriosito, il quale restituì l’annusata e poi rivolse lo sguardo alla fessura tra le gambe della donna.

«Neanche per idea» dissi a Bob.

«Non so se sia giusto» disse la donna. «Non ho mai sentito una cosa del genere. Credo di dover essere io a portare la cacca a casa.»

«D’accordo» fece Lula «le pagheremo la cacca.» Lula mi guardò. «Dalle un paio di banconote.»

Frugai nelle tasche. «Non ho soldi con me. Non ho preso il portafogli.»

«Non accetterò niente di meno di cinque dollari» disse la donna.

«Il fatto è che non abbiamo denaro con noi» spiegò Lula.

«Allora la cacca è mia» disse la donna.

«Col cavolo» replicò Lula, spingendo da parte la donna e raccogliendo la cacca con la confezione del pollo. «Ne abbiamo bisogno noi.»

«Aiuto!» strillò la donna. «Mi rubano la cacca! Ferme! Ladre!»

«Ce l’ho» disse Lula. «L’ho presa tutta.» Lula, Bob e io corremmo come il vento e tornammo in ufficio con il sacchetto di cacca.

Ci fermammo alla porta sul retro dell’ufficio. Bob era tutto felice, e saltellava intorno. Ma Lula e io eravamo senza fiato.

«Ragazzi, per un momento ho avuto paura che ci prendesse. Correva piuttosto veloce per essere una donna anziana.»

«Non stava correndo» dissi. «Era il cane che la trascinava, cercando di star dietro a Bob.»

Tenni aperto il sacchetto mentre Lula ci gettava la cacca dentro.

«Sarà divertente» disse Lula. «Non vedo l’ora di gustarmi quei due tizi che calpestano il sacchetto di merda.»

Lula fece il giro fino davanti all’ufficio con il sacchetto e un accendino. Bob e io entrammo dalla porta sul retro. L’auto di Habib e Mitchell era parcheggiata proprio accanto al marciapiede, di fronte all’ufficio, proprio dietro la mia Buick.

Connie, Vinnie e io sbirciavamo dalla vetrina mentre Lula si portava di nascosto dietro la Macchina dei Tappeti. Mise il sacchetto per terra, proprio sotto il parafango posteriore. Vedemmo la fiamma dell’accendino, poi Lula fece un balzo e si precipitò dietro l’angolo.

Connie mise la testa fuori dalla porta. «Ehi!» strillò. «Ehi, voi due nella macchina… C’è qualcosa che brucia dietro di voi!»

Mitchell aprì il finestrino. «Che cosa?»

«C’è qualcosa che va fuoco dietro la vostra auto!»

Mitchell e Habib scesero per dare un’occhiata e tutti noi ci affollammo sulla soglia per unirci a loro.

«È solo spazzatura» disse Mitchell ad Habib. «Buttala via di lì con un calcio in modo che non danneggi l’auto.»

«È in fiamme» disse Habib. «Non voglio dare un calcio con la scarpa a un sacchetto in fiamme.»

«Ecco quello che succede quando si assume un fottuto cammelliere» disse Mitchell. «Voialtri non avete nessun senso del dovere.»

«Non è vero. Io lavoro duro in Pakistan. Nel mio Paese abbiamo una fabbrica di tappeti, e il mio incarico è picchiare i bambini indisciplinati che ci lavorano. È un gran buon lavoro.»

«Accidenti» disse Mitchell. «Tu picchi i bambini che lavorano nella fabbrica?»

«Sì. Con un bastone. È una posizione di grande responsabilità. Bisogna stare attenti a picchiarli senza rompergli quelle dita così piccole altrimenti non riescono più a fare nodi tanto accurati.»

«È disgustoso» commentai.

«Oh no» disse Habib. «Ai bambini piace e fanno un sacco di soldi per le loro famiglie.» Si rivolse a Mitchell e lo ammonì con un dito. «E io lavoro molto duro picchiando i bambini, perciò non devi dire certe cose di me.»

«Scusa» disse Mitchell. «Credo di essermi sbagliato sul tuo conto.» Diede un calcio violento al sacchetto. Il sacchetto si ruppe e una parte degli escrementi gli si appiccicò alla scarpa.

«Che diavolo è?» Mitchell scosse il piede e la merda di cane in fiamme volò ovunque. Un grosso malloppo cadde sul tappeto che copriva l’auto; si sentì il sibilo di qualcosa che prendeva fuoco e le fiamme si sparsero ovunque.

«Cristo santo» disse Mitchell, afferrando Habib e precipitandosi sul marciapiede.

Le fiamme mandavano scintille e crepitavano, e anche le tappezzerie interne si stavano incendiando. Ci fu una piccola esplosione quando arrivarono al serbatoio della benzina, e l’auto fu avvolta da un fumo nero e dal fuoco.

«Suppongo che non si trattasse di uno di quei tappeti ignifughi» disse Lula.

Habib e Mitchell erano appiattiti contro il palazzo a bocca aperta.

«Forse ora puoi andare» disse Lula. «Non credo che ti seguiranno.»

Quando il camion dei pompieri arrivò, la Macchina dei Tappeti era ormai una carcassa e il fuoco si era ridotto a dimensioni da barbecue. La mia Buick si trovava circa tre metri davanti all’auto dei tappeti ma era rimasta intatta. Non c’erano neppure bolle sulla vernice della carrozzeria. L’unica cosa era la maniglia della portiera leggermente più calda del solito.

«Ora devo andare» dissi a Mitchell. «Peccato per la vostra auto. E non mi preoccuperei per le sopracciglia: sono un po’ bruciacchiate, ma probabilmente ricresceranno. Mi è successo già una volta e tutto è tornato a posto.»

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