Non portava anelli al dito. E non sembrava triste. In effetti, aveva l’aria piuttosto allegra, a parte il fatto che l’ex moglie pazza di Dickie era in ufficio.
Finsi di guardarmi in giro con un certo interesse nella stanza della reception. «È carino, qui. Deve essere bello lavorarci.»
«Di solito sì.»
Lo presi come un «quasi sempre, a parte adesso». «Immagino che sia un buon posto per lavorare se si è single. Probabilmente avrà occasione di incontrare un sacco di uomini.»
«Dove vuole arrivare?»
«Be’, stavo solo pensando a Homer Ramos. Sa, mi domandavo se per caso lo avesse incontrato qui in ufficio.»
Per un lungo momento ci fu un silenzio glaciale e avrei giurato di riuscire a sentire il battito del suo cuore. Cynthia non disse niente. E nemmeno io.
Non avrei saputo dire che cosa stesse pensando lei, ma io mi stavo facendo scrocchiare le dita mentalmente. La faccenda di Homer Ramos, in realtà, era venuta fuori un po’ più bruscamente di quanto avevo previsto e mi sentivo a disagio: di solito sono sgarbata con la gente soltanto nei miei pensieri.
Cynthia Lotte si fece forza e mi guardò dritta negli occhi. Parlò con modi estremamente cortesi e con tono premuroso. «Non che voglia cambiare argomento o cose simili» disse «ma ha provato a nascondere col trucco quel brufolo?»
Inspirai profondamente. «Oh, no. Non pensavo proprio che…»
«Deve stare attenta, perché quando i foruncoli diventano così grossi e tutti rossi e pieni di pus possono lasciare cicatrici.»
Le mie dita volarono verso il mento prima che potessi fermarle. Oddio, aveva ragione. Il brufolo sembrava enorme. Stava crescendo. Dannazione! Il mio sistema di allarme interiore scattò e il messaggio che mandava al cervello era: scappa, nasconditi!
«Comunque, ora devo andare» dissi, arretrando verso la porta. «Riferisca a Dickie che non volevo niente di particolare. Ero nei paraggi e avevo pensato di salutarlo.»
Uscii, imboccai le scale e mi precipitai fuori dall’ingresso e dal palazzo. Mi rinchiusi nella Buick e mi avvicinai allo specchietto retrovisore per vedere il brufolo.
Enorme!
Mi appoggiai allo schienale e chiusi gli occhi. Era già abbastanza brutto avere quel dannato brufolo, ma oltretutto Cynthia Lotte mi aveva messa alla porta e non avevo scoperto niente per Ranger. L’unica cosa che sapevo della Lotte era che il grigio le stava bene e che aveva toccato il mio punto debole: un solo riferimento al mio brufolo ed ero già lontana.
Mi voltai a guardare lo Shuman Building e mi domandai se Ramos avesse relazioni di affari con lo studio di Dickie. E che genere di affari? Era possibile che la Lotte avesse incontrato Ramos in quel modo. Naturalmente, avrebbe anche potuto incontrarlo per strada, l’edificio in cui Ramos lavorava era soltanto a un isolato di distanza.
Misi in moto la Buick e lentamente passai davanti al palazzo Ramos. I nastri di plastica che delimitavano la scena del delitto erano stati tolti e vedevo gente al lavoro nell’ingresso. Il vialetto di servizio che passava sul retro era affollato di furgoni per le riparazioni.
Feci inversione di marcia e riattraversai la città fermandomi al negozio di elettronica sulla Terza strada.
«Ho bisogno di un sistema di allarme» dissi al commesso. «Niente di particolare. Solo qualcosa che avverta quando la porta d’entrata viene aperta. E la smetta di guardarmi il mento!»
«Non le stavo guardando il mento. Davvero! Non avevo neppure notato quel grosso brufolo.»
Mezz’ora dopo ero sulla strada dell’ufficio per andare a riprendere Bob. In un sacchetto posato sul sedile di fianco a me c’era un piccolo apparecchio rivelatore di movimento per la porta del mio appartamento. Mi dissi che era necessario per una questione di sicurezza generale, ma la verità era che aveva un unico intento: avvisarmi ogni volta che Ranger entrava in casa mia. E per quale motivo sentivo il bisogno di un sistema di allarme? C’era forse ragione di aver paura? No. Per quanto alcune volte Ranger potesse davvero mettere paura. C’era forse sfiducia in questo? Niente affatto. Io mi fidavo di Ranger. Il fatto era che avevo comprato il sistema d’allarme perché almeno per una volta volevo trovarmi in vantaggio su di lui. Mi faceva impazzire che riuscisse a entrare nel mio appartamento senza neppure svegliarmi.
Mi fermai a un fast food e presi una confezione di bocconcini di pollo fritti per pranzo. Pensai che fosse la cosa migliore per Bob. Nessun osso che potesse fargli male.
Quando entrai nell’ufficio vidi tutti gli occhi illuminarsi davanti alla mia scatola di bocconcini di pollo.
«Bob e io stavamo giusto pensando al pollo» disse Lula. «Devi averci letto nel pensiero.»
Tolsi il coperchio alla confezione, lo misi sul pavimento e ci appoggiai una manciata di bocconcini per Bob. Ne presi uno per me e allungai il resto a Lula e a Connie. Poi telefonai a mia cugina Bunny, in banca.
«Che cosa sai di Cynthia Lotte?» le domandai.
Dopo un attimo tornò con la risposta. «Non molto» disse. «Di recente ha preso un’auto a noleggio. Paga i conti regolarmente, nessuna richiesta di sicurezza. Vive a Ewing.» Al telefono ci fu silenzio per un paio di secondi. «Che cosa stai cercando?»
«Non lo so. Lavora per Dickie.»
«Oh.» Come se questo spiegasse tutto.
Mi feci dare l’indirizzo e il numero di telefono della Lotte e salutai Bunny.
L’altra persona a cui telefonai fu Morelli. Non rispose a nessuno dei recapiti, perciò gli lasciai un messaggio sul cercapersone.
«Buffo» disse Lula. «Non avevi messo quei bocconcini sul coperchio della confezione? Non riesco a trovare il coperchio.»
Tutte guardammo Bob. Aveva un pezzetto di cartone appiccicato al labbro.
«Caspita» disse Lula. «Mi fa sembrare una dilettante.»
«Allora, non notate niente di strano su di me?» domandai.
«Solo che hai un grosso brufolo sul mento. Sarai in quel periodo del mese, eh?»
«È lo stress!» Ficcai la testa nella borsa e cercai il correttore. Torcia, spazzola, rossetto, gomma da masticare alla frutta, scacciacani, fazzoletti, detergente per le mani, spray urticante. Niente correttore.
«Io ho un cerotto» disse Connie. «Puoi provare a coprirlo con un cerotto.»
Misi il cerotto sul brufolo.
«Così va meglio» disse Lula. «Ora sembra che tu ti sia tagliata facendoti la barba.»
Fantastico.
«Prima che me ne dimentichi» aggiunse Connie «c’è stata una telefonata a proposito di Ranger, mentre parlavi con la banca. C’è un mandato di arresto contro di lui in relazione all’omicidio Ramos.»
«Che cosa dice il mandato?» domandai.
«Ricercato per interrogatorio.»
«È così che è cominciata per O.J. Simpson» disse Lula. «Dovevano solo interrogarlo. E guarda che cosa ne è venuto fuori.»
Volevo fare un controllo a casa di Hannibal, ma non potevo trascinarmi dietro Mitchell e Habib.
«Ho bisogno di un depistiggio» dissi a Lula. «Mi occorre che tu mi liberi di quei due tìzi nella Macchina dei Tappeti.»
«Intendi dire proprio liberartene o semplicemente che non vuoi che ti seguano?»
«Non voglio che mi seguano.»
«Be’, facile.» Prese una calibro .45 dal cassetto della scrivania. «Sparerò solo a un paio di gomme.»
«No! Niente spari!»
«Tu e le tue regole» disse Lula.
Vinnie mise la testa fuori dall’ufficio. «Che cosa ne dite del gioco del sacchetto in fiamme?»
Tutte ci voltammo nella sua direzione.
«Di solito è uno scherzo che si fa alla gente sulla veranda davanti a casa» disse Vinnie. «Metti della cacca di cane in un sacchetto. Poi metti il sacchetto sotto al portico dello sfigato e suoni il campanello. Quindi gli dai fuoco e scappi a gambe levate. Quando la vittima apre la porta, vede il sacchetto in fiamme e lo calpesta per spegnerlo.»
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