Quando entrai in casa, Rex correva sulla sua ruota e Bob venne da me con gli occhi brillanti e la lingua penzoloni, sperando in una carezza e forse in un po’ di cibo. Salutai Rex e gli diedi un acino di uvetta. Poi ne diedi un paio a Bob facendolo scodinzolare così forte che tutta la parte posteriore del suo corpo sventolava di qua e di là.
Misi la scatola di uvetta sul ripiano della cucina e andai in bagno; quando ritornai l’uvetta era sparita. Rimaneva soltanto un angolino della scatola mangiucchiato e bagnato di saliva.
«Tu hai un disordine alimentare» dissi a Bob. «Fattelo dire da qualcuno che lo sa, mangiare smodatamente è una cosa che non si fa. Prima che tu te ne accorga sarai diventato un barile.»
La nonna aveva preparato un cuscino e una coperta per me nel soggiorno. Tolsi le scarpe allontanandole con un calcio, mi infilai sotto la coperta e in un attimo mi addormentai.
Mi svegliai stanca e disorientata. Gettai un’occhiata all’orologio. Le due. Cercai di vedere qualcosa nell’oscurità. «Ranger?»
«Che cos’è questa storia del cane?»
«Gli faccio da dog sitter. Immagino che non sia un granché come cane da guardia.»
«Mi avrebbe aperto la porta se solo avesse trovato la chiave.»
«Lo so che non è tanto difficile far saltare una serratura, ma come fai con la catenella di sicurezza?»
«È un trucco del mestiere.»
«Anche io sono del mestiere.»
Ranger mi allungò una grande busta. «Da’ un’occhiata a queste foto e dimmi chi riconosci.»
Mi misi a sedere, accesi la lampada da tavolo e aprii la busta. Riconobbi Alexander Ramos e Hannibal. C’erano anche altre foto di Ulysses e Homer Ramos e di due cugini. Tutti e quattro erano molto simili; uno qualunque di loro avrebbe potuto essere l’uomo che avevo visto sulla soglia della casa di Deal. A eccezione, naturalmente, di Homer, che era morto. C’era anche una donna, fotografata insieme a Homer Ramos. Era minuta e bionda, e sorrideva. Homer le teneva il braccio sulla spalla e le restituiva il sorriso.
«Questa chi è?» domandai.
«L’ultima fidanzata di Homer. Si chiama Cynthia Lotte. Lavora giù in città. Fa la segretaria all’accettazione per qualcuno che tu conosci.»
«Oh santo cielo! Adesso la riconosco. Lavora per il mio ex marito.»
«Già» disse Ranger. «Il mondo è piccolo.»
Raccontai a Ranger della casa non illuminata, senza alcun segno di vita, e poi dello scarico del water.
«Che cosa significa questo?» domandai a Ranger.
«Significa che c’è qualcuno in casa.»
«Hannibal?»
«Hannibal è a Deal.»
Ranger spense la lampada da tavolo e si alzò in piedi. Indossava una T-shirt nera, una giacca a vento nera di goretex e un paio di pantaloni sportivi infilati negli stivali neri, come un soldato: la tenuta perfetta per le truppe d’assalto cittadine. Avrei potuto giurare che qualunque uomo lo incontrasse in un vicolo cieco si sarebbe ritrovato senza le palle, con i suoi gioielli più preziosi spariti nel nulla. E qualunque donna si sarebbe inumidita le labbra secche e si sarebbe assicurata di avere tutti i bottoni allacciati. Lui abbassò gli occhi su di me, con le mani in tasca, il volto a malapena visibile nell’oscurità della stanza.
«Avresti voglia di andare a trovare il tuo ex e dare una controllata a Cynthia Lotte?»
«Certo. Nient’altro?»
Lui sorrise e quando rispose lo fece con una voce bassa e dolce. «Non con tua nonna che dorme nella stanza accanto.»
Accidenti.
Quando Ranger uscì misi la catena di sicurezza a posto e ritornai a gettarmi sul divano; mi rigirai a lungo facendo pensieri erotici. Nessun dubbio: ero un’immorale senza speranza. Alzai gli occhi al cielo, solo che il soffitto ci si mise di mezzo. «È per via degli ormoni» dissi a chiunque fosse in ascolto. «Non è colpa mia. Ho troppi ormoni.»
Mi alzai a bere un bicchiere di aranciata. Dopo di che tornai sul divano e mi rigirai ancora un po’; la nonna russava così forte che temevo si sarebbe succhiata la lingua fino in gola e sarebbe morta soffocata.
«Non è una mattinata meravigliosa?» disse la nonna andando in cucina. «Ho voglia di una fetta di torta!»
Guardai l’orologio. Mi trascinai giù dal divano e poi nel bagno, dove rimasi sotto la doccia per un bel po’ di tempo, irritabile e di cattivo umore. Quando uscii mi guardai allo specchio del lavandino. Avevo un grosso brufolo sul mento. Be’, perfetto. Dovevo andare a trovare il mio ex marito e avevo un brufolo sul mento. Probabilmente era la punizione divina per la lussuria mentale della notte appena trascorsa.
Pensai alla calibro .38 nel vaso dei biscotti. Strinsi il pugno e poi con l’indice e il pollice tesi mimai una pistola. Mi puntai l’indice alla tempia e dissi: « Bang » .
Mi vestii con una tenuta simile a quella di Ranger. T-shirt nera, pantaloni sportivi neri, stivali neri. Un gran brufolo sulla faccia. Sembravo un’idiota. Tolsi la T-shirt, i pantaloni e gli stivali, e mi infilai una T-shirt bianca con sopra una camicia di flanella scozzese e un paio di jeans con un buchetto vicino al cavallo che mi convinsi nessuno avrebbe visto. Questa era la tenuta giusta per una con un brufolo.
Quando uscii dalla camera da letto la nonna stava leggendo un quotidiano.
«Dove hai trovato il giornale?» domandai.
«Me lo sono fatta prestare da quel signore gentile in fondo al corridoio. Solo che lui ancora non lo sa.»
La nonna imparava velocemente.
«Non ho lezione di guida fino a domani, perciò oggi io e Louise andremo a vedere alcuni condomini. Ho dato un’occhiata in giro anche per il lavoro, e mi pare che ci sia un bel po’ di roba buona. Cercano cuochi, donne delle pulizie, truccatrici e venditori di auto.»
«Se tu potessi scegliere che lavoro vorresti?»
«Facile. Vorrei fare la diva del cinema.»
«Saresti bravissima» dissi.
«Certo, vorrei essere una mattatrice. Alcune parti di me hanno cominciato a deteriorarsi, ma le gambe sono ancora niente male.»
Abbassai lo sguardo sulle gambe della nonna che spuntavano da sotto il vestito. Immagino che tutto sia relativo.
Bob stava accanto alla porta con le zampe strette, perciò gli misi il guinzaglio e uscimmo. Guarda un po’, pensai, io che vado a fare un po’ di moto la mattina presto. Probabilmente dopo due settimane con Bob sarei stata così magra da dover comprare tutti i vestiti nuovi. E l’aria fresca avrebbe fatto bene anche al mio brufolo. Diavolo, avrebbe potuto perfino guarirlo. Forse, una volta tornata a casa, il brufolo non ci sarebbe stato più.
Bob e io camminammo di buon passo. Svoltammo l’angolo e sbucammo nel parcheggio, ed ecco Habib e Mitchell che mi aspettavano in una Dodge vecchia di dieci anni completamente tappezzata con tessuto per tappeti color verde pisello. Una insegna al neon sul tetto faceva pubblicità alla Art’s Carpet’s. Al confronto la Macchina del Vento sembrava di buon gusto.
«Santo cielo» dissi. «Che cos’è questa?»
«È tutto quel che c’era disponible senza preavviso» disse Mitchell. «E se fossi in te non farei troppi commenti perché è un argomento molto delicato. Tanto per rimanere in tema, comunque, stiamo cominciando a perdere la pazienza. Non vorremmo farti del male, ma dovremo pensare a qualcosa di davvero meschino se non ci consegni il tuo ragazzo in fretta.»
«È una minaccia?»
«Be’, se la vuoi mettere così, sì» disse Mitchell. «È una minaccia.»
Habib era al volante e indossava un grosso collare imbottito per le distorsioni del collo. Annuì con cautela a titolo di conferma.
«Noi siamo dei professionisti» disse Mitchell. «Non devi farti ingannare dal nostro comportamento educato.»
«Infatti» disse Habib.
«Avete intenzione di seguirmi, oggi?» domandai.
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