«Devono essere giorni davvero duri per lui, a piangere per il figlio.»
«Quello non era un figlio per il quale piangere» disse Mitchell. «Era un fottuto perdente. Fottuto e fatto di cocaina.»
«E cosa mi dici di Hannibal? Droga anche lui?»
«Nooo, non Hannibal. Hannibal è un maledetto squalo. Alexander avrebbe dovuto mettergli un nome tipo Mandibola d’Acciaio.»
«Be’, adesso devo andare» dissi. «Ho da fare, devo vedere alcune persone.»
«Il beduino e io non abbiamo impegni, perciò pensavamo di seguirti per un po’.»
«Dovreste farvi una vita vostra.»
Mitchell sorrise.
«E non voglio che mi seguiate» dissi.
Sorrise ancora di più.
Lo sguardo mi cadde sul traffico che veniva nella nostra direzione lungo la Hamilton e si concentrò su un’auto blu. Sembrava una Crown Victoria. Sembrava che ci fosse Morris Munson al volante!
«Cristo!» strillai quando Munson sterzò bruscamente passando oltre la riga bianca e mirando direttamente a me.
«Merda!» esclamò Mitchell, in preda al panico, agitandosi senza allontanarsi, come un orso ballerino addestrato.
Munson sterzò per evitare Mitchell solo all’ultimo istante, perse il controllo e si schiantò contro la Lincoln. Per un momento le due auto sembrarono fuse insieme, poi si udì Munson mandare su di giri il motore. La Crown Victoria fece un salto all’indietro di mezzo metro, il paraurti anteriore si staccò e cadde sferragliando per terra, e l’auto schizzò via a tutta velocità.
Mitchell e io corremmo alla Lincoln e guardammo dentro dove si trovava Habib.
«Per l’amor del cielo, chi diavolo era quello?» gridò Habib.
La metà anteriore della fiancata sinistra era accartocciata sulla ruota e il cofano era deformato. Habib sembrava stare bene, ma la Lincoln non avrebbe percorso nemmeno un metro finché qualcuno non avesse raddrizzato il parafango con un piede di porco, disincastrando la ruota. Peggio per loro. E un colpo di fortuna per me: Habib e Mitchell non avrebbero avuto voglia di seguirmi per un pezzo.
«Era un pazzo» disse Habib. «L’ho visto negli occhi. Era un pazzo. Avete preso il numero di targa?»
«È successo tutto troppo in fretta» disse Mitchell. «E, Cristo, mi stava venendo dritto addosso. Ho pensato che mi avesse preso di mira. Ho pensato… Gesù, ho pensato…»
«Eri spaventato come una donnetta» disse Habib.
«Sicuro» dissi «come un figlio di scrofa.»
Ora, questo era il problema. Avrei tanto voluto dir loro chi si trovava al volante dell’auto. Se avessero ucciso Munson io mi sarei tolta il problema: niente più camicie in fiamme, niente più maniaci con il cric. Sfortunatamente, in qualche modo sarei anche stata responsabile della morte di Munson, e questo non mi faceva sentire del tutto a mio agio. Meglio lasciarlo al tribunale.
«Dovreste denunciare tutto questo alla polizia» dissi. «Rimarrei qui ad aiutarvi, ma sapete com’è…»
«Già» disse Mitchell. «Hai da fare. Persone da vedere.»
Era quasi mezzogiorno quando Bob e io passammo accanto alla casa di Hannibal. Parcheggiai all’angolo e composi il numero di telefono di Ranger per riferire alla sua segreteria che c’erano novità. Poi rimasi a mordicchiarmi il labbro inferiore per un po’ mentre raccoglievo il coraggio per scendere dall’auto e andare a spiare Hannibal.
Ehi, non è poi così difficile, mi dissi. Guarda la casa: bella tranquilla. Lui non c’è. Proprio come ieri. Fai il giro sul retro, dai un’occhiata e te ne vai. Niente di faticoso.
Va bene, ce la posso fare. Un respiro profondo. Pensare positivo. Afferrai il guinzaglio di Bob e mi diressi verso la pista ciclabile che passava dietro le case. Quando arrivai al cortile posteriore della casa di Hannibal mi fermai e ascoltai. Molto silenzioso. Inoltre Bob aveva l’aria annoiata: se dall’altro lato della recinzione ci fosse stato qualcuno, Bob sarebbe stato eccitato, giusto? Osservai il muro. Scoraggiante. Specialmente da quando mi avevano sparato l’ultima volta che ero stata lì.
Calma, dissi a me stessa. Niente pensieri negativi. Che cosa farebbe l’Uomo Ragno in una situazione come questa? Che cosa farebbe Batman? Che cosa farebbe Bruce Willis? Bruce prenderebbe la rincorsa, punterebbe le scarpe da ginnastica e scalerebbe il muro. Legai il guinzaglio di Bob a un cespuglio e corsi verso il muro. Puntai le scarpe circa a metà dell’altezza del muro, mi afferrai con le mani alla cima, e rimasi appesa lì. Trassi un profondo respiro, strinsi i denti e cercai di tirarmi su… ma non venne su niente. Dannazione. Bruce sarebbe riuscito ad arrivare in cima. Ma era anche vero che Bruce probabilmente andava in palestra.
Mi lasciai cadere al suolo e rivolsi lo sguardo all’albero. C’era una pallottola conficcata nel tronco. Non avevo nessuna voglia di arrampicarmi lì. Passeggiai avanti e indietro per un po’ facendo scrocchiare le dita delle mani. E Ranger, allora?, mi domandai. Io dovrei aiutarlo. Se la situazione fosse ribaltata Ranger avrebbe scalato l’albero per dare un’occhiata.
«Sì, ma io non sono Ranger» dissi a Bob.
Bob mi guardò a lungo.
«Va bene, d’accordo» conclusi. «Salirò su quello stupido albero.»
Salii rapidamente, diedi un’occhiata in giro, vidi che nella casa e nel cortile non succedeva niente e ridiscesi. Slegai Bob e mi affrettai verso l’auto, dove mi sedetti ad aspettare che il telefono suonasse. Dopo un paio di minuti Bob si trasferì sul sedile posteriore e si sistemò nella posizione giusta per un pisolino.
All’una in punto stavo ancora aspettando che Ranger mi richiamasse e cominciavo a pensare che avevo bisogno di mangiare, quando la porta scorrevole del garage di Hannibal si aprì e la Jaguar verde uscì in retromarcia.
Santo cielo, la casa non era vuota!
La porta si richiuse; la Jaguar svoltò allontanandosi da me e si avviò in direzione della superstrada. Difficile dire chi fosse al volante ma avrei potuto giurare che si trattasse di Hannibal.
Avviai il motore e feci rapidamente il giro dell’isolato, raggiungendo la Jaguar proprio mentre stava uscendo dal comprensorio. Rimasi indietro il più possibile senza perderlo di vista.
Oltrepassammo il centro cittadino, diretti a sud, e poi svoltammo verso est sulla intentatale. Le corse di cavalli a Monmouth non erano ancora cominciate e il parco di divertimenti La grande avventura era ancora chiuso in quella stagione. Questo restringeva di molto il campo delle possibili mete, limitandolo alla casa a Deal.
Bob si stava perdendo la parte eccitante, profondamente addormentato sul sedile posteriore. Io non mi sentivo altrettanto tranquilla: di solito non vado in giro a pedinare mafiosi, sebbene tecnicamente Hannibal Ramos non fosse un «uomo d’onore». Be’, in realtà non ne ero certa, ma mi ero fatta l’idea che la mafia fosse un’organizzazione familiare diversa dal cartello delle armi di contrabbando.
Hannibal lasciò la Route 195 al Parkway, proseguì per altre due uscite in direzione nord, quindi tagliò verso Asbury Park dove svoltò a sinistra, sulla Ocean Avenue, e seguì la strada che conduceva a Deal.
Deal è una cittadina sulla riva dell’oceano dove i giardinieri riescono a far crescere il prato nella inospitale aria salmastra, le governanti fanno le pendolari dalla vicina Long Branch, e la proprietà è un valore che supera qualunque fattore di appartenenza nazionale. Le case sono grandi e a volte poste al termine di viali protetti da cancellate. Gli abitanti sono perlopiù chirurghi plastici e commercianti di tappeti. E l’unico evento davvero memorabile che abbia mai avuto luogo a Deal è stato l’uccisione del boss della malavita Benny «Spinello» Raguchi al motel See Breeze nel 1982.
Hannibal si trovava a due automobili di distanza da me. Rallentò e mise la freccia a destra per svoltare in una proprietà recintata da un muro, con un cancello che conduceva nel viale di accesso. La casa si trovava dietro una duna, perciò dalla strada erano visibili il secondo piano e il tetto, mentre il resto dell’edificio rimaneva nascosto dietro l’intonaco rosa del muro. Il cancello era una bella opera di ferro battuto traforato. Alexander Ramos, trafficante internazionale di armi e noto donnaiolo, viveva in una casa rosa nascosta da un muro rosa: ma pensa un po’, al Burg non sarebbe mai successo. Vivere in una casa di quel colore al Burg sarebbe come essere castrati.
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