Bob scodinzolò e guardò prima la nonna e poi me.
La nonna preparò zuppa d’avena per tutti e tre. Lei e io portammo le nostre scodelle nella sala da pranzo e Bob mangiò in cucina. Quando tornammo, la ciotola di Bob era vuota. Ma anche la scatola di cartone che conteneva la torta era vuota.
«A quanto pare Bob è goloso di dolci» disse la nonna.
Gli mostrai un dito minaccioso. «Questo non è educato. E poi diventerai grasso.»
Bob dimenò la coda.
«Forse non è molto intelligente» disse la nonna.
Abbastanza da mangiarsi la torta.
La nonna aveva appuntamento alle nove per una lezione di guida. «Probabilmente starò fuori tutto il giorno» disse. «Perciò non preoccuparti se non mi vedi. Dopo la lezione vado a fare un giro in centro con Louise Greeber. E poi andremo a vedere qualche altro appartamento. Se vuoi posso fermarmi a prendere un po’ di carne questo pomeriggio. Pensavo che un polpettone sarebbe andato bene per cena.»
Mi feci prendere dal senso di colpa. La nonna stava occupandosi da sola della cucina. «Tocca a me» le dissi. «Lo preparo io.»
«Non credevo che sapessi cucinare il polpettone.»
«Certo che sì» dissi. «Sono capace di cucinare un sacco di cose.» Una bella bugia. Non so cucinare niente.
Allungai a Bob uno stuzzichino per cani e poi la nonna e io ce ne andammo insieme. A metà del corridoio si fermò.
«Che cos’è questo rumore?» domandò.
Ci mettemmo tutt’e due ad ascoltare. Bob ululava dall’altro lato della porta.
La mia vicina d’appartamento, la signora Karwatt, uscì sul pianerottolo. «Che cos’è questo rumore?»
«È Bob» disse la nonna. «Non gli piace restare a casa da solo.»
Dieci minuti dopo guidavo a tutta velocità con Bob che teneva la testa fuori dal finestrino, le orecchie al vento.
«Oh» disse Lula quando entrai in ufficio. «E questo chi è?»
«Si chiama Bob. Gli sto facendo da dog sitter.»
«Davvero? Che razza è?»
«Un Golden Retriever.»
«Sembra che sia rimasto per troppo tempo sotto il casco della parrucchiera.»
Gli lisciai un po’ il pelo. «Ha tenuto la testa fuori dal finestrino.»
«Ah, ecco.»
Tolsi il guinzaglio a Bob e lui corse verso Lula e rifece la scena dell’annusamento tra le gambe.
«Ehi» disse lei «sta’ indietro, mi stai lasciando le impronte del naso sui pantaloni nuovi.» Gli fece una carezza sulla testa. «Se continua così dovremo trovargli una cagnetta.»
Usai il telefono di Connie per chiamare la mia amica Marilyn Truro all’Ufficio immatricolazione auto. «Ho bisogno di verificare una targa» dissi. «Hai tempo?»
«Mi prendi in giro? Ci sono quaranta persone in fila. Se mi vedono parlare al telefono mi linciano.» Abbassò la voce. «È per un caso? È per un omicidio o qualcosa del genere?»
«Potrebbe avere a che fare con l’omicidio di Ramos.»
«Sfotti? Questa è roba grossa.»
Le diedi il numero.
«Aspetta un minuto» disse. Si sentì il ticchettio di una tastiera di computer, poi Marilyn tornò all’apparecchio. «La targa appartiene a Terry Gilman. Non lavora per Vito Grizolli?»
Per un momento rimasi senza parole. Dopo Joyce Barnhardt, Terry Gilman era la persona che disprezzavo di più. Per usare un’espressione gentile, era uscita con Joe alle scuole superiori e avevo la sensazione che non le sarebbe dispiaciuto riprendere la relazione. Terry lavorava per lo zio, Vito Grizolli, cosa che costituiva un ostacolo per i suoi progetti con Joe, visto che il mestiere di Joe consisteva nell’eliminare il crimine e quello di Vito nel produrlo.
«Oh-oh» disse Lula. «Ho sentito bene? Stai ficcando quel tuo grosso naso nel caso Ramos?»
«Be’, mi è capitato di imbattermi…»
Lula spalancò gli occhi. «Stephanie, tu stai lavorando per Ranger!»
Vinnie sbucò fuori dal suo ufficio. «È vero? Stai lavorando per Ranger?»
«No. Non è vero. Non c’è neanche un’ombra di verità.» Be’, diavolo… cosa sarà mai una bugia in più?
La porta principale si spalancò e Joyce Barnhardt fece irruzione nell’ufficio.
Lula, Connie e io ci precipitammo a mettere il guinzaglio a Bob.
«Brutta stronza» mi gridò Joyce. «Mi hai mandata a fare il giro dell’oca. Ranger non ha nessuna sorella che lavora alla fabbrica di rivestimenti Macko.»
«Forse ha smesso» dissi.
«Già, può essere» disse Lula. «La gente si licenzia in continuazione.»
Joyce abbassò lo sguardo su Bob. «Che cos’è quello?»
«È un cane» dissi, accorciando il guinzaglio.
«Perché il pelo gli sta dritto a quel modo?»
Non male, detto da una donna che aggiunge dieci centimetri di altezza all’acconciatura con un’imbottitura.
«E a parte il giro dell’oca, come sta andando la caccia a Ranger?» domandò Lula. «Non lo hai ancora rintracciato?»
«Non ancora, ma gli sono addosso.»
«Ho l’impressione che tu stia barando» disse Lula. «Scommetterei che non hai niente in mano.»
«E io scommetterei che tu non hai un giro vita» disse Joyce.
Lula si protese in avanti. «Oh, davvero? Se io lancio un bastone, tu correrai a prenderlo?»
Bob scodinzolò.
«Magari più tardi» gli dissi.
Vinnie fece di nuovo capolino dal suo ufficio. «Che cosa sta succedendo qui? Non riesco a pensare.»
Lula, Connie e io ci scambiammo un’occhiata e ci mordemmo le labbra.
«Vinnie!» tubò Joyce, puntando i seni prominenti nella sua direzione. «Hai un bell’aspetto, Vinnie.»
«Già, anche tu non sei malaccio» disse lui. Guardò Bob. «Che cos’è questa storia del cane tutto spettinato?»
«Gli sto facendo da dog sitter» risposi.
«Spero che ti paghino molto bene. È una vera schifezza.»
Accarezzai le orecchie di Bob. «A me sembra carino.» In un senso un po’ preistorico.
«Allora, che cosa sta succedendo?» domandò Joyce. «C’è niente di nuovo per me?»
Vinnie ci pensò un momento, osservò prima Connie, poi Lula, poi me e infine si ritirò nel suo ufficio.
«Niente di nuovo» disse Connie.
Joyce guardò a occhi stretti la porta chiusa di Vinnie. «Vaffanculo.»
Vinnie aprì la porta e la fissò.
«Sì, proprio a te» disse Joyce.
Vinnie ritirò la testa dentro l’ufficio, chiuse la porta e girò la chiave nella serratura.
«Fottiti» disse Joyce, con un gestaccio. Si girò sui tacchi a spillo e dondolò il sedere fin fuori della porta.
Tutte noi alzammo gli occhi al cielo.
«E adesso?» domandò Lula. «Tu e Bob avete programmato qualcosa di interessante per oggi?»
«Be’, sai… un po’ di questo, un po’ di quello.»
La porta dell’ufficio di Vinnie si aprì nuovamente. «E che ne diresti di un po’ di Morris Munson?» strillò. «Non faccio mica opere di bene qui, sai?»
«Morris Munson è un pazzo!» gli gridai di rimando. «Ha cercato di darmi fuoco!»
Vinnie rimase in piedi con le mani sui fianchi. «Che cosa vorresti dire?»
«Niente. Va benissimo» dissi. «Andrò a prendere Morris Munson. E poi che succede se mi investe con l’auto? E se mi dà fuoco e mi sfonda la testa con un cric? È il mio lavoro, vero? Perciò ecco: vado a fare il mio lavoro.»
«Questo è lo spirito giusto.»
«Aspetta un momento» disse Lula. «Questa non voglio perdermela. Vengo con te.»
Infilò le braccia in una giacca e prese una borsetta grande abbastanza per contenere una mitragliatrice smontabile. «D’accordo» dissi io, adocchiando la borsa. «Che cos’hai lì dentro?»
«Una Tech-9.»
L’arma delle squadre scelte per l’assalto urbano.
«Hai un porto d’armi?»
«Cioè?»
«Penserai che sono pazza, ma mi sentirei molto meglio se tu lasciassi qui la tua Tech-9.»
«Ragazza, tu sai davvero come rovinare il divertimento» rispose Lula.
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