Janet Evanovich - Cacciatrice di taglie

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Cacciatrice di taglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Stephanie Plum fa la cacciatrice di taglie per un’agenzia del New Jersey. Il suo compito è ritrovare il misterioso Ranger, sospettato di aver ucciso il figlio di un boss del traffico d’armi. Ma Ranger è anche l’uomo che ha insegnato a Stephanie tutto quello che sa del suo mestiere e che esercita su di lei un fascino pericoloso. E la cattura di Ranger non è l’unico pensiero che non la fa dormire di notte. La spassosa nonna Mazur si è trasferita da lei, un amico le ha affidato un cane bulimico, l’intimità con il fidanzato Joe Morelli è diventata impossibile, Stephanie deve più volte dissuadere dal suicidio un’amica e un maniaco tenta di ucciderla.

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«No» gli risposi. «Non penso sia necessario.» E poi me ne andai camminando nella direzione opposta a quella dalla quale ero venuta.

Abbandonai la pista ciclabile e feci il giro attorno all’isolato per tornare all’auto. Attraversai la strada e rimasi nell’ombra per qualche minuto osservando la casa di Hannibal e fantasticando su di lui. Se lo avessi incontrato per strada lo avrei etichettato come un venditore di polizze assicurative. O forse un dirigente di medio livello in qualche società americana. Che fosse il principe ereditario del mercato nero delle armi non mi sarebbe mai venuto in mente.

Al piano superiore si accese una luce: il principe ereditario stava probabilmente cambiandosi d’abito per stare più comodo. Troppo presto per andare a letto, e poi le luci erano ancora accese al piano terra. Stavo quasi per andarmene quando lungo la strada passò un’auto, e svoltò nel vialetto che conduceva alla casa di Hannibal.

C’era una donna al volante. Non riuscivo a vedere il suo volto. La portiera dal lato guidatore si aprì e ne uscì una gamba lunga, avvolta in una calza velata, seguita da un corpo mozzafiato in abito nero. Capelli biondi e corti. Un portadocumenti sotto il braccio.

Annotai il numero di targa sul blocchetto che tenevo nella borsa, presi il binocolo tascabile dal cassetto portaoggetti dell’auto, e rapidamente tornai verso il retro della casa di Hannibal. Di nuovo. Tutto pareva silenzioso. Hannibal probabilmente era certo di avermi spaventata a sufficienza. Voglio dire, che razza di idiota sarebbe così pazzo da cercare di spiarlo due volte nella stessa notte?

L’idiota che sono io, ecco chi.

Salii sull’albero il più silenziosamente possibile. Più facile questa volta, conoscevo la strada. Ritrovai il ramo di prima e tirai fuori il binocolo. Sfortunatamente non c’era molto da vedere: Hannibal e la sua ospite erano nella stanza sul davanti. Riuscivo solo a catturare una porzione della schiena di Hannibal, ma la donna era fuori portata. Dopo pochi minuti ci fu in lontananza il rumore della porta principale che si chiudeva e di un’auto che ripartiva e se ne andava.

Hannibal entrò in cucina, prese un coltello da un cassetto e se ne servì per aprire una busta. Tirò fuori una lettera e la lesse. Non ebbe alcuna reazione particolare. Con cura ripose la lettera nella busta e la mise nella credenza della cucina.

Poi guardò fuori dalla finestra apparentemente perso nei propri pensieri. Si spostò verso la porta che conduceva alla veranda, l’aprì e guardò fuori in direzione dell’albero. Mi immobilizzai senza neppure avere il coraggio di respirare. Non può vedermi, pensavo. Tra le fronde dell’albero è troppo buio. Non muoverti e vedrai che tornerà dentro. Errore, errore, errore. La sua mano scivolò lungo il fianco, una torcia elettrica si accese e mi colse con le mani nel sacco.

«Qui, micio, micio» dissi, proteggendomi gli occhi con la mano per vedere controluce.

Lui alzò l’altro braccio e vidi la pistola.

«Scendi» ordinò, camminando verso di me. «Lentamente.»

Già, giusto. Io precipitai dall’albero, rompendo rami nella caduta e atterrando in piedi già pronta a correre.

Zing. L’inconfondibile rumore di una pallottola sparata con un silenziatore. Di solito non mi considero un tipo sportivo, ma percorsi il sentiero alla velocità della luce. Andai dritta alla macchina, saltai dentro e partii in quarta.

Controllai nello specchietto retrovisore parecchie volte per assicurarmi di non essere inseguita. Quando fui vicina a casa proseguii lungo la Makefield, svoltai l’angolo, spensi le luci e attesi.

Nessun’auto in vista. Riaccesi le luci e vidi che le mani avevano quasi smesso di tremare. Decisi che era un buon segno e mi diressi a casa.

Quando svoltai per entrare nel parcheggio, il fascio di luce dell’auto illuminò Morelli. Stava appoggiato mollemente contro la sua 4x4, con le braccia conserte sul petto, le gambe incrociate all’altezza della caviglia. Chiusi a chiave la Buick e lo raggiunsi. La sua espressione mutò dalla tranquillità un po’ annoiata alla curiosità divertita.

«Di nuovo con la Buick?» domandò.

«Solo per un po’.»

Mi squadrò da capo a piedi e mi tolse un ciuffo di aghi di pino dai capelli. «Non oso domandare» disse.

«Appostamento.»

«Sei tutta appiccicosa.»

«Resina. Ero su un albero di pino.»

Lui sorrise. «Ho sentito dire che cercano personale alla fabbrica di bottoni.»

«Che cosa sai di Hannibal Ramos?»

«Oh, santo cielo, non dirmi che stavi spiando Ramos. È davvero un brutto ceffo.»

«Non ha l’aria di essere cattivo. Sembra un tipo’normale.» Almeno finché non mi aveva puntato contro la pistola.

«Non sottovalutarlo. È lui che governa l’impero dei Ramos.»

«Pensavo che fosse suo padre.»

«Hannibal si occupa dell’amministrazione giorno per giorno. Corre voce che il vecchio sia malato: è sempre stato piuttosto inafferrabile, ma una fonte sicura mi riferisce che il suo comportamento da vagabondo va peggiorando, e la famiglia ha assunto delle baby sitter per assicurarsi che non se ne vada una volta per tutte.»

«Alzheimer?»

Morelli si strinse nelle spalle. «Non lo so.»

Guardai giù e mi resi conto che avevo le ginocchia sbucciate e sanguinanti.

«Potresti rimanere coinvolta in qualcosa di brutto aiutando Ranger» disse Morelli.

«Chi, io?»

«Gli hai detto di mettersi in contatto con me?»

«Non ne ho avuto l’occasione. E poi se gli lasci un messaggio sul cercapersone lo troverà. È solo che non vuole rispondere.»

Morelli mi tirò a sé e mi strinse forte. «Odori come un pino della foresta.»

«Deve essere la resina.»

Mi mise le mani attorno alla vita e mi baciò alla base del collo. «Molto sexy.»

Morelli pensava che qualunque cosa fosse sexy.

«Perché non torni a casa con me?» disse. «Ti bacerò le ginocchia sbucciate e starai subito meglio.»

Era una tentazione. «E che mi dici della nonna?»

«Non se ne accorgerà. Probabilmente dorme già profondamente.»

Una finestra al secondo piano dell’edificio si aprì. La mia finestra. E la nonna mise fuori la testa. «Sei tu, Stephanie? E chi c’è con te? È Joe Morelli, quello?»

Joe le fece un cenno di saluto. «Salve, signora Mazur.»

«Perché rimanete lì fuori?» domandò la nonna. «Perché non venite dentro a mangiare un po’ di dolce? Ci siamo fermate al supermercato, tornando a casa dalla veglia, e ho comprato una torta a strati.»

«Grazie» disse Joe «ma devo tornare a casa. Sono di turno molto presto domani mattina.»

«Accidenti» dissi «rinunciare a una torta a strati!»

«Non è della torta che ho fame.»

Sentii una contrazione ai muscoli pelvici.

«Va bene, ne taglierò una fetta solo per me» disse la nonna. «Sto morendo di fame, le veglie mi mettono sempre appetito.» La finestra si chiuse e la nonna sparì.

«Non hai intenzione di venire a casa con me, vero?» disse Morelli.

«Tu hai una torta?»

«Ho di meglio.»

Era vero. Lo sapevo con certezza.

La finestra si aprì di nuovo e ancora una volta la nonna mise fuori la testa. «Stephanie, c’è una telefonata per te. Vuoi che gli dica di richiamare più tardi?»

Morelli sollevò le sopracciglia. «Un uomo?»

Entrambi stavamo pensando a Ranger.

«Chi è?» domandai.

«Un certo Brian.»

«Deve essere Brian Simon» dissi a Morelli. «Ho dovuto implorarlo per ottenere un’indulgenza per Carol Zabo.»

«Vorrà parlarti di lei?»

«Oddio, me lo auguro.» O si trattava di quello, oppure Brian Simon voleva reclamare la propria ricompensa. «Vengo subito» gridai alla nonna. «Fatti dare il numero e digli che lo richiamo io.»

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