«Mi stai spezzando il cuore» disse Morelli.
«La nonna rimarrà soltanto un altro paio di giorni, e poi potremo festeggiare.»
«Tra un paio di giorni sarò arrivato fino al gomito, a forza di mordermi le mani.»
«È una faccenda seria.»
«Non dubitarne» disse Morelli. Mi baciò e non dubitai di nulla. Aveva la mano sotto la mia maglietta e la lingua nella mia bocca… e io sentii qualcuno fischiare, come un richiamo per bestie selvatiche.
La signora Fine e il signor Morgenstern erano affacciati alle finestre, richiamati dagli schiamazzi fra me e la nonna, e fischiavano. Entrambi cominciarono ad applaudire e a lanciare grida di incoraggiamento.
La signora Benson aprì la finestra. «Che cosa succede?» domandò.
«Sesso nel parcheggio» disse il signor Morgenstern.
Morelli mi guardò con l’aria di riflettere su qualcosa. «È anche possibile.»
Io mi voltai, mi precipitai all’entrata e feci uno scatto su per le scale. Presi una fetta di torta e poi telefonai a Simon.
«Che cosa c’è?» dissi.
«Ho bisogno di un favore.»
«Non faccio sesso telefonico» dissi.
«Non si tratta di quello. Caspita, perché pensi una cosa del genere?»
«Non lo so. Mi è venuta così.»
«Si tratta del mio cane. Devo andare fuori città per un paio di giorni e non ho nessuno che se ne occupi. Perciò, visto che tu mi devi un favore…»
«Vivo in un appartamento! Non posso tenere un cane.»
«Si tratta solo di un paio di giorni. Ed è davvero un cane buonissimo.»
«Hai pensato a un canile?»
«Lui odia i canili. Non mangia. Si deprime.»
«Che genere di cane è?»
«È piccolo.»
Dannazione. «Solo per un paio di giorni?»
«Te lo porto domattina presto e lo vengo a riprendere domenica.»
«Non lo so. Non è un buon momento. Mia nonna è venuta a stare da me.»
«Lui adora le anziane signore, giuro. Tua nonna se ne innamorerà.»
Gettai un’occhiata a Rex. Non avrei potuto sopportare di vederlo depresso o inappetente, perciò credevo di capire come si sentisse Simon per il proprio cane. «D’accordo» dissi. «A che ora, domani?»
«Verso le otto?»
Aprii gli occhi e mi domandai che ore fossero. Ero sul divano, fuori era buio pesto e sentivo odore di caffè. Per un attimo fui presa dal panico del disorientamento. Posai gli occhi sulla poltrona di fronte a me e mi resi conto che c’era qualcuno seduto. Un uomo. Difficile da vedere in quell’oscurità. Mi si mozzò il respiro di colpo.
«Com’è andata?» disse lui. «Hai scoperto qualcosa di interessante?»
Ranger. Inutile domandarsi come aveva fatto a entrare visto che le porte e le finestre erano chiuse a chiave. Lui aveva i suoi sistemi. «Che ore sono?»
«Le tre.»
«Ti è mai capitato di pensare che la gente dorme a quest’ora della notte?»
«C’è odore di pino della foresta qui» disse Ranger.
«Sono io. Ero appollaiata sull’albero di pino dietro la casa di Hannibal, e non sono riuscita a togliere la resina. Mi si è appiccicata tutta ai capelli.»
Vidi Ranger sorridere nell’oscurità. Lo udii ridere sommessamente.
Mi drizzai a sedere. «Hannibal ha un’amica. È arrivata in auto alle dieci in punto con una BMW nera. È stata con Hannibal per circa dieci minuti, gli ha dato una lettera e se n’è andata.»
«Che tipo era?»
«Bionda, coi capelli corti. Magra. Elegante.»
«Hai preso il numero di targa?»
«Certo. Me lo sono segnato. Non ho avuto ancora modo di controllarlo.»
Lui sorseggiò il caffè. «Nient’altro?»
«Lui mi ha vista, più o meno.»
«Più o meno?»
«Sono caduta dall’albero dritta nel suo cortile.»
Il sorriso scomparve. «E poi?»
«E poi gli ho detto che stavo cercando il gatto, ma non penso che mi abbia creduto.»
«Se ti conoscesse meglio…» disse Ranger.
«Poi, la seconda volta, mi ha beccata mentre stavo sull’albero, ha tirato fuori una pistola, e io sono saltata giù e sono scappata.»
«Bella presenza di spirito.»
«Ehi» dissi, battendomi un dito sulla testa «non ci cresce l’erba, qui.»
Ranger stava di nuovo sorridendo.
«Pensavo che tu non bevessi caffè» dissi a Ranger. «Che ne è di quella storia che tratti il tuo corpo come un tempio?»
«Fa parte del travestimento. Come il taglio di capelli» spiegò continuando a sorseggiare.
«Li lascerai crescere di nuovo?»
«Probabilmente.»
«E smetterai anche di bere caffè?»
«Fai un sacco di domande» disse Ranger.
«Sto solo cercando di farmi un’idea.»
Era sprofondato nella poltrona, con una gamba tesa, le mani sui braccioli, gli occhi su di me. Posò la tazza sul tavolino, si alzò, e venne a mettersi accanto al divano. Si chinò e mi diede un bacio lieve sulle labbra. «Su alcune cose è meglio lasciare il mistero» aggiunse. Poi si diresse verso la porta.
«Ehi, aspetta un momento» dissi. «Devo continuare a sorvegliare Hannibal?»
«Riesci a tenerlo d’occhio senza farti sparare?»
Gli gettai un’occhiata feroce attraverso l’oscurità.
«Ti ho vista» disse.
«Morelli vuole parlarti.»
«Lo chiamerò domani, forse.»
La porta si aprì e si richiuse. Se n’era andato.
Mi avvicinai allo spioncino e guardai fuori. Non c’era traccia di Ranger. Feci scorrere la catenella di sicurezza e tornai al divano. Sprimacciai il cuscino e mi rannicchiai sotto la coperta.
E pensai al bacio. Che cosa avrei dovuto capire da quel bacio? Amichevole. Era stato amichevole. Niente lingua. Niente palpeggiamenti. Niente digrignare i denti per un’incontrollabile passione. Un bacio amichevole. Solo che non lo sembrava affatto. Sembrava… sexy.
Dannazione!
«Che cosa vuoi mangiare per colazione?» domandò la nonna. «Ti va una bella zuppa d’avena calda?»
Se avessi seguito l’istinto avrei mangiato la torta. «Certo» dissi «la zuppa d’avena andrà benissimo.»
Mi versai una tazza di caffè e sentii bussare alla porta. La aprii e un’enorme cosa arancione fece irruzione.
«Per l’amor del cielo!» dissi. «Che cos’è?»
«Un Golden Retriever» disse Simon. «Per la maggior parte.»
«Non è un po’ troppo grande per essere un Golden Retriever?»
Simon trascinò un sacco da venticinque chili di cibo per cani dentro l’ingresso. «L’ho preso al canile e mi hanno detto così. Golden Retriever.»
«Avevi detto che era piccolo.»
«Ho mentito. Vuoi farmi causa?»
Il cane corse in cucina, ficcò il naso tra le gambe della nonna e annusò.
«Perbacco» disse la nonna. «A quanto pare il mio nuovo profumo funziona davvero. Bisogna che lo provi agli incontri del circolo degli anziani.»
Simon allontanò il cane dalla nonna e mi allungò un sacchetto di carta di quelli dei negozi di alimentari. «Qui c’è la sua roba. Due ciotole, alcuni prodotti per cani, un giocattolo da masticare, una spazzola e la palettina per i suoi bisogni.»
«La palettina? Ehi, aspetta un momento…»
«Devo andare» disse Simon. «Devo prendere un aereo.»
«Come si chiama?» gli strillai mentre se ne andava lungo il corridoio.
«Bob.»
«Non è una cosa magnifica?» disse la nonna. «Un cane che si chiama Bob.»
Riempii d’acqua la ciotola di Bob e la misi sul pavimento, in cucina. «Rimarrà solo un paio di giorni» dissi. «Simon tornerà a prenderlo domenica.»
La nonna diede un’occhiata al sacchetto di cibo per cani. «È una razione parecchio consistente per un paio di giorni.»
«Forse mangia molto.»
«Se mangia tutta quella roba in due giorni non ti servirà la palettina per i bisogni» disse la nonna. «Ti servirà un badile.»
Tolsi il guinzaglio a Bob e lo appesi all’attaccapanni dell’ingresso. «Bene, Bob» dissi «non sarà poi tanto male. Ho sempre desiderato un Golden Retriever.»
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