Probabilmente l’intonaco rosa era uno stile molto mediterraneo. E probabilmente in estate, quando i tendoni venivano srotolati e i mobili da giardino scoperti, e quando il sole e il caldo inondavano la costa del New Jersey, la casa avrebbe preso vita. In marzo sembrava che stesse aspettando soltanto una dose di Prozac. Pallida, fredda e insulsa.
Oltrepassando la villa intravidi un uomo che scendeva dalla Jaguar. Aveva la stessa corporatura e lo stesso colore di capelli di Hannibal, perciò doveva trattarsi di lui. A meno che, naturalmente, Hannibal non mi avesse nuovamente vista appostata sull’albero e poi mentre lo osservavo dalla strada, e avesse fatto in modo che un vicino di casa quasi identico a lui sgattaiolasse attraverso il cortile posteriore e prendesse la Jaguar per andare a Deal, soltanto per mettermi fuori strada.
«Che cosa ne pensi?» domandai a Bob.
Bob aprì un occhio, mi rivolse uno sguardo vuoto e tornò a dormire.
La stessa cosa che pensavo io.
Proseguii per circa quattrocento metri lungo la Ocean Avenue, feci inversione di marcia e passai un’altra volta davanti alla casa rosa. Parcheggiai oltre l’angolo, in modo da non essere vista. Raccolsi i capelli sotto un berretto, indossai un paio di occhiali scuri, presi il guinzaglio di Bob e mi diressi a piedi verso la proprietà dei Ramos. Deal era una cittadina molto ordinata con marciapiedi di cemento perfetti, disegnati pensando alle governanti e alle carrozzine. Perfetti anche per spioni mascherati da proprietari di cani a passeggio.
Ero a pochi metri dal cancello quando una Town nera si avvicinò. Il cancello si aprì e la Town entrò. C’erano due uomini all’interno, seduti davanti, ma il lunotto posteriore era oscurato. Giocherellai col guinzaglio di Bob e lasciai che annusasse un po’ in giro. La Town si fermò presso il porticato di ingresso e i due uomini scesero, uno di loro fece il giro dell’auto per prendere le borse dal bagagliaio. L’altro uomo aprì la portiera per il passeggero del sedile posteriore. Quest’ultimo sembrava avere una sessantina d’anni. Altezza media. Magro. Con un completo sportivo. Capelli grigi e ondulati. Dal modo in cui i due gli danzavano attorno per servirlo immaginai che si trattasse di Alexander Ramos. Probabilmente arrivato in aereo per il funerale del figlio. Hannibal uscì per salutare l’uomo anziano. E una versione più giovane e più magra di Hannibal apparve sulla soglia della casa ma non scese le scale. Ulysses, il figlio di mezzo, pensai.
Nessuno sembrava particolarmente felice della riunione. Comprensibile, immaginai, considerate le circostanze. Hannibal disse qualcosa al vecchio. Questi si irrigidì e lo colpì al lato della testa. Non era un colpo forte, non inteso per fare del male. Era piuttosto un’affermazione. Sciocco.
Eppure istintivamente indietreggiai. E anche a quella distanza vidi che Hannibal stringeva i denti.
C’era un pensiero che non riuscii a togliermi di mente per tutta la durata del viaggio di ritorno. Un padre addolorato per la perdita di un figlio saluterebbe il proprio primogenito con una botta in testa?
«Ma che ne so io?» dissi a Bob. «Forse concorrono per il premio Famiglia Degenerata dell’Anno.»
E, per dire la verità, è sempre un conforto scoprire che esistono famiglie più degenerate della mia. Non che la mia lo sia poi tanto, nella media del New Jersey.
Quando arrivai ad Hamilton Township mi fermai al centro commerciale, presi il cellulare e telefonai a mia madre.
«Sono al bancone delle carni» dissi. «Voglio fare un polpettone. Di che cosa ho bisogno?»
Ci fu un momento di silenzio: immaginavo mia madre che si faceva il segno della croce domandandosi cosa mai potesse aver indotto sua figlia a voler cucinare un polpettone, sperando, senza crederci troppo, che la causa fosse un uomo.
«Un polpettone» disse infine mia madre.
«È per la nonna» spiegai. «Ne ha voglia.»
«Certo» esclamò mia madre. «Che cosa vado a pensare?»
Quando arrivai a casa le ritelefonai. «Bene, sono pronta» dissi. «Che cosa ci faccio con questa roba?»
«Mescoli tutto e lo metti in una teglia da forno; lo fai cuocere per un’ora a 180°.»
«Non mi avevi detto niente della teglia da forno mentre ero al negozio!» mi lamentai.
«Non ne hai nemmeno una?»
«Be’, certo che sì. Volevo dire solo… Non farci caso.»
«Meno male» disse mia madre.
Bob era seduto nel bel mezzo della cucina e osservava tutto.
«Non ce l’ho una teglia da forno» dissi a Bob. «Ma noi non lasceremo che una sciocchezza come questa ci fermi, vero?»
Rovesciai la carne cruda in una ciotola, insieme con gli altri ingredienti fondamentali. Aggiunsi un uovo e lo osservai scivolare sulla superficie, lo ruppi con un cucchiaio. «Ehi» dissi a Bob.
Lui scodinzolò: aveva l’aria di apprezzare i cibi grassi e succulenti.
Mescolai l’impasto con il cucchiaio ma l’uovo non voleva amalgamarsi. Respirai a fondo e ficcai dentro entrambe le mani. Dopo un paio di minuti di manipolazione, tutto era ben impastato e morbido. Gli diedi la forma di un pupazzo di neve. E poi quella di un personaggio dei cartoni animati. E poi lo appiattii come una frittata. Così assomigliava a ciò che avevo lasciato nel parcheggio del McDonald’s. Alla fine lo modellai facendone due grosse palle di carne.
Per dolce avevo comprato una torta gelato alla crema di banana, la feci scivolare dal suo vassoietto di alluminio su un piatto e usai il vassoietto per le grosse palle di carne.
«La necessità è il motore dell’inventiva» dissi a Bob.
Infilai tutto nel forno, affettai un po’ di patate e le misi a cuocere, poi aprii una lattina di crema di mais e la versai in una ciotola in modo da poterla riscaldare nel forno a microonde all’ultimo momento. Cucinare non era poi tanto male, pensai, in effetti somigliava un po’ al sesso: a volte può non sembrare una buona idea all’inizio, ma una volta cominciato…
Preparai la tavola per due e il telefono suonò proprio quando stavo per finire.
«Ehilà, bambina» disse Ranger.
«Ehilà a te. Ci sono novità. L’auto che è andata da Hannibal la notte scorsa appartiene a Terry Gilman. Avrei dovuto riconoscerla quando è scesa, ma l’ho vista solo di schiena e non mi aspettavo che fosse lei.»
«Probabilmente andava a fargli le condoglianze da parte di Vito.»
«Non mi ero resa conto che lui e Ramos fossero amici.»
«Vito e Alexander coesistono.»
«Un’altra cosa» dissi. «Questa mattina ho seguito Hannibal fino alla casa di Deal.» Quindi raccontai a Ranger del vecchio nella Town, e della botta in testa, e dell’apparizione di un uomo più giovane che pensavo fosse Ulysses Ramos.
«Come sai che era lui?»
«È solo una mia idea. Assomigliava ad Hannibal ma era più magro.»
Ci fu un momento di silenzio.
«Vuoi che continui a sorvegliare la casa qui in città?» domandai.
«Fa’ un controllo una volta ogni tanto. Voglio sapere se ci vive qualcuno.»
«Non ti sembra strano che Ramos dia una botta in testa al figlio?» domandai.
«Non so» disse Ranger. «Nella mia famiglia ci diamo continuamente botte in testa.»
Poi chiuse la comunicazione e io rimasi lì ferma in piedi per diversi minuti, domandandomi che cosa mi fosse sfuggito. Ranger non lasciava mai capire granché, ma c’era stata una breve pausa e un lieve cambiamento di tono che mi avevano fatto pensare di avergli detto qualcosa di interessante. Ripercorsi la conversazione e sembrava tutto normale: un padre e due fratelli che si riuniscono in occasione di una tragedia familiare. La reazione di Alexander al saluto di Hannibal mi era sembrata strana ma avevo l’impressione che non fosse stata quella ad attirare l’attenzione di Ranger.
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