«Questo è il programma» disse Mitchell. «Spero che farai qualcosa di interessante. Non ho voglia di passare la giornata sul corso principale a guardare scarpe da donna. Il nostro capo comincia a innervosirsi.»
«Perché il vostro capo vuole Ranger?»
«Ranger ha qualcosa che gli appartiene, e vorrebbe discuterne. Puoi dirglielo.»
Sospettavo che quella discussione avrebbe potuto concludersi con un incidente fatale. «Glielo riferirò se mi capita di sentirlo.»
«Digli che se lui restituisce quello che ha, tutto finirà bene. Il passato è passato. Nessun rancore.»
«Mmm. Bene, ora devo scappare. Ci vediamo dopo.»
«Quando torni qui nel parcheggio, ti sarei grato se mi portassi un’aspirina» disse Habib. «Questo colpo di frusta al collo mi fa soffrire.»
«Non so tu» dissi a Bob quando salimmo in ascensore «ma io mi sento un po’ strapazzata.»
Quando entrai la nonna stava leggendo le barzellette a Rex. Bob le si fece vicino per unirsi al divertimento e io portai il telefono nel soggiorno per chiamare Brian.
Simon rispose al terzo squillo. «Pronto.»
«È stato un viaggio corto» dissi.
«Chi è?»
«Sono Stephanie.»
«Come hai avuto il mio numero? Non è nell’elenco.»
«Ma è sulla medaglietta del tuo cane.»
«Oh.»
«Visto che adesso sei a casa, suppongo che passerai a riprendere Bob.»
«Sono un po’ impegnato oggi…»
«Fa niente. Te lo porto io. Dove abiti?»
Ci fu un momento di silenzio. «Okay, la faccenda è questa» disse Simon. «In realtà non rivoglio indietro Bob.»
«Ma è il tuo cane!»
«Non più. Il possesso è quasi tutto, legalmente parlando. Tu hai il cibo. Tu hai la paletta per i bisogni. Tu hai il cane. Ascolta, è un cane simpatico, ma io non ho tempo da dedicargli e mi fa starnutire. Credo di essere allergico.»
«Io penso che tu sia un bastardo.»
Simon sospirò. «Non sei la prima donna che me lo dice.»
«Non posso davvero tenerlo qui. Ulula quando lo lascio da solo.»
«Come se non lo sapessi. E se lo lasci da solo mangia tutti i mobili.»
«Cosa? Che diavolo vuol dire che mangia tutti i mobili?»
«Non badarci. Non intendevo dire questo. In realtà non è che mangi proprio i mobili. Voglio dire, rosicchiare non è proprio mangiare. E non è nemmeno che lui rosicchi. Oh, merda» disse Simon. «Buona fortuna.» E riagganciò. Ricomposi il numero, ma non rispose.
Riportai il telefono in cucina e diedi a Bob la sua ciotola di croccantini per colazione. Mi versai una tazza di caffè e mangiai un po’ di torta. Ce n’era rimasta solo una fetta per cui la diedi a Bob. «Tu non mangi i mobili, vero?» domandai.
La nonna era sprofondata davanti al televisore, a guardare le previsioni del tempo. «Non preoccuparti per la cena, stasera» disse. «Possiamo mangiare gli avanzi del polpettone.»
Le feci segno di sì col pollice alzato ma lei era troppo concentrata sul tempo a Cleveland e non mi vide.
«Be’, allora adesso vado» dissi.
La nonna annuì.
Lei aveva un’aria ben riposata. E io mi sentivo uno straccio. Non stavo dormendo abbastanza, pagavo il prezzo della visita notturna e del russare. Mi trascinai fuori di casa e lungo il corridoio. Gli occhi mi si chiudevano mentre aspettavo l’ascensore.
«Sono esausta» dissi a Bob. «Ho assolutamente bisogno di dormire di più.»
Andai in auto a casa dei miei ed entrai in compagnia di Bob. Mia madre era in cucina, e canticchiava a bocca chiusa preparando una torta di mele.
«Questo deve essere Bob» disse. «Tua nonna mi ha detto che hai un cane.»
Bob corse da mia madre.
«No!» strillai. «Non ti azzardare!»
Bob si fermò a mezzo metro da mia madre e si voltò per guardarmi.
«Lo sai di che cosa sto parlando» dissi a Bob.
«Che cane beneducato» disse mia madre.
Rubai un boccone di mela dalla torta. «La nonna ti ha detto anche che lei russa? E che si alza alle prime luci dell’alba? E che guarda le previsioni del tempo per ore?» Mi versai una tazza di caffè. «Aiuto» dissi al caffè.
«Probabilmente beve un paio di bicchierini prima di andare a dormire» disse mia madre. «Russa sempre dopo averne buttati giù un paio.»
«Non può essere. Non tengo alcolici in casa.»
«Guarda nell’armadio. È dove li tiene di solito. Butto via bottiglie da dentro l’armadio in continuazione.»
«Intendi dire che se le compra e le nasconde nell’armadio?»
«Non le nasconde nell’armadio. È semplicemente il posto dove le tiene.»
«Vorresti dire che la nonna è un’alcolista?»
«No, certo che no. Si fa solo un cicchetto ogni tanto. Dice che la aiuta a dormire.»
Forse era quello il mio problema. Forse anche io avrei dovuto farmi un goccetto ogni tanto.
Il fatto è che se ne bevo troppi finisco sempre per vomitare. E una volta che comincio a bere è difficile dire quando arrivo al limite finché non è ormai troppo tardi. Ogni bicchiere sembra tirarsene dietro un altro.
Il caldo umido della cucina mi avvolgeva, si assorbiva nella camicia di flanella, e io mi sentivo come la torta, infilata nel forno, fumante. Mi contorsi per togliere la camicia, appoggiai la testa sul tavolo e mi addormentai. Sognai che era estate, e stavo arrostendomi sulla spiaggia di Point Pleasant. La spiaggia era calda sotto di me, e il sole scottava sopra di me. La mia pelle era abbronzata e fragrante come la crosta della torta di mele.
Quando mi svegliai la torta era già fuori dal forno e la casa profumava di paradiso. E mia madre mi aveva stirato la camicia.
«Ti capita mai di mangiare il dolce prima dei pasti?» domandai a mia madre.
Lei mi guardò allibita. Come se le avessi domandato se ogni mercoledì allo scoccare della mezzanotte facesse un sacrificio rituale con i gatti.
«Immagina di essere sola a casa» dissi «e che ci sia un dolcetto alla fragola nel frigorifero e un polpettone nel forno. Quale mangeresti prima?»
Mia madre ci pensò su per un minuto, gli occhi spalancati. «Non ricordo di aver mai cenato da sola. Non riesco neanche a immaginarlo.»
Abbottonai la camicia e mi infilai il giubbotto. «Devo andare, ho del lavoro da fare.»
«Perché non vieni a cena domani sera?» disse mia madre. «Potresti portare la nonna e Joseph. Farò l’arrosto di maiale e il purè di patate.»
«D’accordo, ma non so se Joe verrà.»
Aprii la porta e vidi che l’auto dei tappeti era parcheggiata dietro la Buick.
«E adesso?» domandò mia madre. «Chi sono i due uomini in quella macchina stravagante?»
«Habib e Mitchell.»
«Perché hanno parcheggiato qui?»
«Mi stanno seguendo, ma non preoccuparti. Sono gente a posto.»
«Come sarebbe a dire “non preoccuparti”? Ti pare una cosa da dire a una madre? Certo che mi preoccupo. Sembrano dei selvaggi.» Mia madre mi scostò per passare, andò fino all’auto e bussò al finestrino.
Il vetro si abbassò e Mitchell la guardò. «Come va?» domandò.
«Perché state seguendo mia figlia?»
«Sua figlia le ha detto che la stiamo seguendo? Non avrebbe dovuto. Non ci piace far preoccupare le mamme.»
«Ho una pistola in casa, e la userò se occorre» disse mia madre.
«Gesù, signora, non si scaldi tanto» disse Mitchell. «Ma che cosa avete in questa famiglia? Siete tutti così ostili. Stiamo semplicemente accompagnando la sua figliola un po’ in giro.»
«Ho preso il vostro numero di targa» disse mia madre. «Se succede qualcosa a mia figlia dirò di voi alla polizia.»
Mitchell premette il pulsante del finestrino, che si alzò e si richiuse.
«Non hai una pistola, vero?» domandai a mia madre.
«L’ho detto solo per spaventarli.»
«Mmm. Be’, grazie. Sono sicura che andrà tutto bene, adesso.»
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