«Tuo padre potrebbe muovere qualcuna delle sue conoscenze e farti avere un buon lavoro alla fabbrica di saponi e cosmetici» disse. «La figlia di Evelyn Nagy lavora là e ha tre settimane di ferie pagate.»
Cercai di immaginare Wonder Woman che lavora alla catena di montaggio della fabbrica di saponi e cosmetici, ma non riuscivo a mettere a fuoco l’immagine.
«Non saprei» dissi. «Non credo di avere un futuro nella Saponi Cosmetici.» Salii sulla Buick e salutai mia madre con la mano.
Lei gettò un’ultima occhiata ammonitrice a Mitchell e ritornò in casa.
«È la menopausa» dissi a Bob. «La fa diventare nervosa. Non c’è di che preoccuparsi.»
Andai in ufficio con Mitchell e Habib dietro, che mi tallonavano. Quando Bob e io entrammo, Lula guardò fuori dalla vetrina. «Sembra che quei due idioti abbiano una macchina da venditore di tappeti.»
«Già. Sono con me fin dalle prime luci dell’alba. Mi hanno detto che il loro datore di lavoro sta perdendo la pazienza con questa caccia a Ranger.»
«Non è l’unico» disse Vinnié da dentro al suo ufficio. «Joyce non sta cavando un ragno dal buco con Ranger, e io sento che sta per venirmi un’ulcera. E sorvoliamo sul fatto che sono fuori di un sacco di soldi per quella faccenda di Morris Munson. Sarà meglio che tu muova il culo e vada a cercare quella carogna.»
Con un po’ di fortuna ormai Munson doveva essere in Tibet e io non lo avrei mai trovato. «Qualche novità?» domandai a Connie.
«Niente che ti possa interessare.»
«Diglielo comunque. Questa è buona» disse Lula.
«L’altra sera Vinnie ha riconsegnato un tizio di nome Douglas Kruper, il quale aveva venduto un’auto alla figlia quindicenne di uno dei nostri illustri senatori. Tornando a casa la ragazza è stata fermata per non aver rispettato un semaforo e per guida senza patente, ed è saltato fuori che l’auto era rubata. Ora viene il bello. La macchina è stata descritta come una Rollswagen. Per caso tu conosci qualcuno di nome Douglas Kruper?»
«Altrimenti detto il Commerciante» dissi. «Era un mio compagno di scuola.»
«Be’, per un po’ non farà più nessun commercio.»
«Come ha reagito all’arresto?» domandai a Vinnie.
«Piangeva come un bambino» disse Vinnie. «Era disgustoso. Una vergogna per tutta la criminalità.»
Per puro scrupolo consultai l’archivio per vedere se avevamo qualcosa su Cynthia Lotte. Non fui troppo sorpresa di non trovarla.
«Devo fare una commissione giù al centro» dissi. «Va bene se lascio qui Bob? Dovrei tornare entro un’ora.»
«Purché non entri nel mio ufficio privato» disse Vinnie.
«Già, non diresti così se Bob fosse femmina» disse Lula.
Vinnie sbatté la porta e chiuse rumorosamente la serratura.
Dissi a Bob che sarei stata di ritorno in tempo per il pranzo e mi affrettai a tornare all’auto. Al primo sportello automatico feci un prelievo di cinquanta dollari dal mio conto; poi mi diressi a Grant Street. Dougie aveva due confezioni di profumo Dolce Vita che mi erano sembrate un lusso eccessivo quando avevo restituito la Macchina del Vento, ma forse erano in saldo ora che aveva problemi con la legge. Non che io fossi il tipo da approfittare della sfortuna altrui… però, diavolo, stiamo parlando di Dolce Vita.
C’erano tre auto parcheggiate davanti alla casa di Dougie quando arrivai. Riconobbi quella del mio amico Eddie Gazzara. Eddie e io eravamo cresciuti insieme, adesso lui era un poliziotto ed era sposato con mia cugina Shirley la Piagnona. La seconda auto aveva i vetri antiproiettile, e la terza era una Cadillac vecchia di quindici anni con ancora la vernice originale e neppure un’ombra di ruggine. Non volevo pensare a ciò che questo significava, ma somigliava moltissimo all’auto di Louise Greeber: che cosa ci faceva un’amica della nonna lì?
Dentro, la minuscola casetta a schiera era stipata di gente e i commerci fervevano. Dougie passava dall’uno all’altro, con l’aria stupita.
«Devo liquidare tutto» mi informò. «Sto chiudendo la baracca.»
C’era anche il Luna. «Ehi, tutto ciò non è bello, piccola» disse. «Questa persona ha un’attività. Ha diritto ad avere un’attività, giusto? Voglio dire, che fine hanno fatto i suoi diritti? D’accordo, ha venduto un’auto rubata a una ragazzina. Be’, tutti facciamo degli errori. Ho ragione o no?»
«Chi sbaglia paga» disse Gazzara con un mucchio di jeans tra le braccia. «Quanto vuoi per questi, Dougie?»
Presi da parte Gazzara. «Devo parlarti di Ranger.»
«Allen Barnes non fa che cercarlo» disse Gazzara.
«Barnes ha in mano qualcosa contro Ranger, a parte la videocassetta?»
«Non lo so. Non sono nel giro. Non trapela molto su questa faccenda. Nessuno vuole commettere errori con Ranger.»
«Barnes sta cercando altre persone sospette?»
«Non che io sappia. Però, come ho detto, non sono nel giro.»
Un’auto della polizia parcheggiò in doppia fila sulla strada e due uomini in uniforme entrarono. «Ho sentito dire che c’è una liquidazione in corso qui» disse uno dei due. «Per caso sono rimasti dei tostapane?»
Io presi le due bottigliette di profumo e diedi a Dougie un biglietto da dieci. «Che cosa farai adesso?»
«Non lo so. Mi sento un vero perdente» disse Dougie. «Mi va sempre tutto storto. Certa gente non ha proprio fortuna.»
«Sta’ su di morale, amico» disse il Luna. «Verrà fuori qualcos’altro. Fa’ come me. Segui la corrente.»
«Sto per andare in galera!» disse Dougie. «Mi metteranno dentro!»
«Vedi che cosa intendo?» disse il Luna. «In qualche modo si trova sempre una soluzione. Vai in galera e non devi più preoccuparti di niente: niente affitto da pagare, nessuna fatica per guadagnarsi il pane, cure dentistiche gratis. E questa non è cosa da poco, amico. Non ti farà mica schifo farti curare i denti gratis?»
Tutti osservammo il Luna per un minuto, in dubbio se fosse opportuno rispondergli seriamente.
Attraversai la casa e andai a dare un’occhiata nel retro, ma non vidi né la nonna né Louise Greeber. Salutai Gazzara e mi feci strada attraverso la folla fino alla porta.
«Molto carino da parte tua dare una mano al vecchio Dougie» disse il Luna mentre uscivo. «Dannatamente tenero, piccola.»
«Volevo solo il Dolce Vita» risposi.
In strada la Cadillac non c’era più, ma all’angolo era ferma la Macchina dei Tappeti, ad aspettare. Mi sedetti al volante della Buick e mi spruzzai un po’ di profumo per compensare il brufolo sul mento e i jeans lisi e bucati. Pensai che ci voleva qualcosa di più, perciò applicai un altro po’ di mascara alle ciglia e raccolsi i capelli. Meglio sembrare una puttanella con un brufolo che una racchia con un brufolo.
Mi diressi in centro, allo Shuman Building, dove si trovava l’ufficio del mio ex marito, Richard Orr, avvocato e bastardo donnaiolo. Era socio di minoranza di uno studio associato di dottori in legge: Rabinowitz, Rabinowitz, Zeller e Bastardo. Presi l’ascensore per il secondo piano e cercai la porta con il suo nome a lettere dorate. Non andavo spesso da quelle parti, il nostro non era stato un divorzio amichevole, e Dickie e io non ci scambiavamo gli auguri per Natale. Di tanto in tanto i nostri percorsi professionali si incrociavano.
Cynthia Lotte era seduta alla scrivania di fronte all’entrata, e pareva uscita da una pubblicità, con quel suo semplice tailleur grigio e la camicetta bianca. Quando oltrepassai la porta alzò gli occhi allarmata, evidentemente riconoscendomi dall’ultima volta che ero stata lì, quando io e Dickie avevamo avuto un piccolo diverbio.
«Non è in ufficio» disse.
Allora, dopo tutto, esiste un Dio. «Quando pensa che rientrerà?»
«Difficile dirlo. È in tribunale, oggi.»
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