Guidai per altri cinquecento metri e svoltai nel vialetto di accesso del McDonald’s per il mio infallibile rimedio contro i postumi della sbornia: patatine fritte e Coca Cola.
«Già che siamo qui potrei prendere qualcosa anch’io» disse Lula. «Uova, dolcetti, patatine, frullato al cioccolato e un Big Mac» disse ad alta voce sporgendosi davanti a me.
Sentii che stavo diventando verde. «Questo sarebbe uno spuntino?»
«Già, proprio così» disse. «Be’, lasciamo perdere le patatine.»
Il ragazzo che serviva le auto mi allungò il sacchetto del cibo e guardò il sedile posteriore della Buick. «Dov’è il suo cane?»
«A casa.»
«Peccato. È stato davvero grandioso la volta scorsa. Dio, era proprio una montagna di…»
Pestai sull’acceleratore e volai via. Quando arrivammo a casa di Munson il cibo era finito e io mi sentivo molto meglio.
«Che cosa ti fa pensare che quel pazzo sia ritornato?» domandò Lula.
«È solo una sensazione. Avrà avuto bisogno di medicarsi il piede e di prendere un altro paio di scarpe. Al suo posto, io sarei tornata a casa per fare queste cose. Ed era notte inoltrata. Trovandomi già lì avrei voluto dormire nel mio letto.»
Dall’aspetto esteriore della casa non era possibile dedurre niente. Le finestre non erano illuminate. Non c’era segno di vita all’interno. Feci il giro dell’isolato e presi il vialetto che conduceva al garage. Lula balzò fuori e guardò attraverso la finestra del garage.
«C’è! Bene» disse risalendo in auto. «O almeno, quel catorcio di macchina c’è.»
«Hai la scacciacani e lo spray urticante?»
«Un elefante ha la proboscide? Potrei invadere la Bulgaria con l’attrezzatura che tengo nella borsa.»
Tornai davanti alla casa e lasciai lì Lula per sorvegliare la porta principale, poi parcheggiai l’auto in un vicolo due abitazioni più avanti, fuori dalla vista di Munson. Habib e Mitchell parcheggiarono dietro di me con la macchinina per bambini, chiusero le portiere con la sicura e aprirono i loro sacchetti con la colazione di McDonald’s.
Superai due cortili, arrivai sul retro della casa di Munson e con cautela guardai attraverso la finestra della cucina. Tutto tranquillo. Una scatola di cerotti e un pacchetto di fazzoletti di carta si trovavano sul tavolo da pranzo. Sono un genio o no? Feci un passo indietro e guardai in alto verso il secondo piano. Si udiva un rumore molto attutito di acqua che scorreva. Munson stava facendo la doccia. Accidenti, le cose non potevano mettersi meglio di così.
Provai ad aprire la porta. Chiusa. Tentai con le finestre. Chiuse. Stavo per romperne una quando Lula venne ad aprire la porta posteriore dall’interno.
«Non era una gran serratura quella dell’ingresso principale.»
Evidentemente dovevo essere l’unica persona al mondo incapace di scassinare una porta.
Rimanemmo in cucina in ascolto. L’acqua scorreva ancora al piano di sopra. Lula teneva lo spray urticante in una mano e la scacciacani nell’altra. Io ne avevo una libera e nell’altra le manette. Salimmo le scale con cautela e ci fermammo sul pianerottolo. La casa era piccola. Due camere da letto e un bagno al secondo piano. Le porte delle camere erano aperte e le stanze erano vuote. Il bagno era chiuso. Lula si mise con la schiena al muro, a un lato della porta, pronta a spruzzare con la bomboletta. Io mi appostai all’altro lato. Entrambe sapevamo esattamente come muoverci perché avevamo guardato i film polizieschi in televisione. Sembrava che Munson non avesse mai armi con sé ed era improbabile che facesse la doccia armato, ma un po’ di cautela non guastava.
«Al tre» bisbigliai a Lula, con la mano sulla maniglia della porta. «Uno, due, tre!»
«Aspetta un minuto» disse Lula «sarà nudo. Forse non vogliamo vederlo così. Ho visto un sacco di uomini brutti nella mia vita. Non sono tanto ansiosa di vederne un altro.»
«Non mi interessa il fatto che sia nudo» dissi. «Mi interessa invece che non possa avere un coltello in tasca o una fiamma ossidrica a portata di mano.»
«Giusto.»
«D’accordo, ora ricomincio a contare. Preparati. Uno, due, tre!»
Spalancai la porta del bagno ed entrambe saltammo dentro. Munson scostò la tenda della doccia. «Che diavolo succede?»
«Sei in arresto» disse Lula. «E gradiremmo molto che ti mettessi un asciugamano addosso visto che non ho proprio voglia di guardare le tue parti intime tristi e raggrinzite.»
Aveva i capelli pieni di shampoo e una grande fasciatura al piede, protetta da un sacchetto di plastica legato stretto alla caviglia con un elastico.
«Io sono pazzo!» strillò. «Sono un maledetto pazzo e voi non mi avrete mai vivo!»
«Certo, come vuoi» disse Lula porgendogli un asciugamano. «Adesso vuoi chiudere l’acqua per favore?»
Munson prese l’asciugamano e lo gettò in faccia a Lula.
«Ehi!» disse Lula «fermo lì. Gettami di nuovo in faccia l’asciugamano e ti riempio il naso di spray urticante.»
Munson lo gettò di nuovo. «Cicciottella, cicciottella» cantilenò.
Lula dimenticò lo spray urticante e gli si gettò al collo. Munson allungò una mano e rivolse il getto della doccia contro di lei, poi saltò fuori dal box. Cercai di afferrarlo, ma era bagnato e scivoloso di sapone, e Lula stava agitando le braccia per cercare di sfuggire al getto d’acqua.
«Spruzzagli lo spray!» strillai a Lula. «Fulminalo con la corrente elettrica! Sparagli! Fa’ qualcosa!»
Munson si fece strada spintonandoci. Attraversò la casa di corsa e uscì dalla porta sul retro. Io gli stavo alle calcagna e Lula era a poco più di tre metri dietro di me. Il piede doveva fargli un male cane, ma lui corse via veloce, attraversando due cortili e poi svoltando nel vicolo. Io feci un salto e lo afferrai da dietro. Entrambi cademmo a terra e ci rotolammo allacciati, bestemmiando e graffiandoci. Munson stava cercando di liberarsi e io di trattenerlo e mettergli le manette. Sarebbe stato più semplice se avesse avuto dei vestiti a cui aggrapparsi. Così com’era non avevo nessuna voglia di aggrapparmi a lui.
«Colpiscilo dove fa male» gridava Lula. «Colpiscilo dove fa male!»
E così feci. A volte si arriva a un punto in cui non si ha più voglia di perdere tempo. Feci un passo indietro e rifilai a Munson una ginocchiata nei testicoli.
Munson gridò e si mise in posizione fetale.
Lula e io gli togliemmo le mani dalle misere parti basse e le ammanettammo dietro la schiena.
«Avrei voluto filmarti mentre lottavi con questo tipo» disse Lula. «Mi ha fatto venire in mente la barzelletta del nano nel campo di nudisti che continua a ficcare il naso negli affari degli altri.»
Mitchell e Habib erano scesi dall’auto e stavano a pochi metri da noi con l’aria sofferente.
«Ho sentito male persino io quaggiù» disse Mitchell. «Se riceviamo l’ordine di sistemarti per le feste io mi metterò un sospensorio protettivo.»
Lula corse di nuovo in casa per prendere una coperta e chiudere a chiave. E Habib, Mitchell e io trascinammo Munson fino alla Buick. Quando Lula tornò avvolgemmo Munson nella coperta e lo spingemmo sul sedile posteriore, poi lo accompagnai al posto di polizia di North Clinton. Entrammo dall’accesso posteriore, al quale si arrivava in auto.
«Proprio come da McDonald’s» disse Lula. «Solo che veniamo a lasciare qualcosa, invece di prenderlo.»
Suonai il campanello e dissi chi ero. Un attimo dopo Carl Costanza aprì la porta posteriore e sbirciò la Buick. «Che cosa c’è adesso?» chiese.
«Ho una persona sul sedile posteriore. Morris Munson. Un uccel di bosco.»
Carl guardò bene dal finestrino dell’auto e sorrise. «È nudo.»
Sospirai. «Non avrai intenzione di crearmi problemi per questo, vero?»
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