Janet Evanovich - Cacciatrice di taglie

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Cacciatrice di taglie: краткое содержание, описание и аннотация

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Stephanie Plum fa la cacciatrice di taglie per un’agenzia del New Jersey. Il suo compito è ritrovare il misterioso Ranger, sospettato di aver ucciso il figlio di un boss del traffico d’armi. Ma Ranger è anche l’uomo che ha insegnato a Stephanie tutto quello che sa del suo mestiere e che esercita su di lei un fascino pericoloso. E la cattura di Ranger non è l’unico pensiero che non la fa dormire di notte. La spassosa nonna Mazur si è trasferita da lei, un amico le ha affidato un cane bulimico, l’intimità con il fidanzato Joe Morelli è diventata impossibile, Stephanie deve più volte dissuadere dal suicidio un’amica e un maniaco tenta di ucciderla.

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E io dovevo andare a lavorare. Il problema era che non avevo voglia di fare nessuna delle cose che mi aspettavano: non avevo voglia di spiare Hannibal Ramos, e sicuramente non avevo voglia di incontrare Morris Munson. Avrei potuto tornare a letto, ma questo non mi avrebbe procurato i soldi dell’affitto. E inoltre non avevo più un letto: il mio letto ce l’aveva la nonna.

E va bene, tanto valeva dare un’occhiata all’incartamento Munson. Presi la documentazione e la sfogliai rapidamente. A parte le percosse, lo stupro e la tentata cremazione Munson non sembrava poi così cattivo: non aveva precedenti, non si era fatto tatuare una svastica sulla fronte. Aveva indicato come suo domicilio un indirizzo di Rockwell Street. Conoscevo Rockwell, era giù verso la fabbrica dei bottoni. Non certo la migliore zona della città, ma neppure la peggiore. Perlopiù piccole casette unifamiliari e villette a schiera abitate da operai o disoccupati.

Rex dormiva nella sua gabbietta e la nonna era in bagno, perciò me ne andai senza tante cerimonie. Arrivata al parcheggio cercai la macchina del vento color argento. E la trovai, naturalmente. Ed era anche una Rollswagen, certo. La carrozzeria era quella di un vecchio maggiolino Volkswagen, e il muso quello di una Rolls Royce d’epoca. Era di un colore argento iridescente, con volute celesti disegnate lungo tutta la fiancata e punteggiate di stelle.

Chiusi gli occhi e sperai che riaprendoli l’auto sarebbe sparita. Contai fino a tre e li riaprii. La macchina era ancora lì.

Tornai a casa di corsa, presi un cappello e un paio di occhiali scuri, e ritornai all’auto. Mi infilai al volante, sprofondai il più possibile nel sedile e, tra sbuffi e scoppiettii, uscii dal parcheggio. Questo non era compatibile con la mia aura. La mia aura non era un mezzo maggiolino della Volkswagen.

Venti minuti dopo ero in Rockwell Street, a leggere i numeri civici in cerca della casa di Munson. Quando la trovai mi sembrò abbastanza normale. A un solo isolato dalla fabbrica, comoda per andare a lavorare a piedi, meno comoda se si voleva ammirare il paesaggio. Era una villetta a schiera a due piani, molto simile a quella del Luna. La facciata era rivestita con listelli di fibrocemento color marrone.

Parcheggiai accanto al marciapiede e percorsi il breve tratto fino alla porta d’entrata. Non c’erano molte possibilità che Munson fosse in casa: era mercoledì mattina e lui probabilmente si trovava in Argentina. Suonai il campanello e fui presa alla sprovvista quando la porta si aprì e Munson mise fuori la testa.

«Morris Munson?»

«Sì?»

«Pensavo che fosse… a lavorare.»

«Ho preso un paio di settimane di permesso. Ho avuto qualche problema. Chi è lei, in ogni caso?»

«Io rappresento l’agenzia Vincent Plum di garanzie per cauzioni. Lei non si è presentato all’udienza e vorremmo fargliene fissare un’altra.»

«Oh. Certo. Faccia pure, me ne fissi un’altra.»

«Per farlo devo accompagnarla giù in città.»

Lui guardò oltre la mia spalla, in direzione della Macchina del Vento. «Non si aspetterà che salga con lei su quel coso, vero?»

«Be’, sì.»

«Mi sentirei un cretino. Cosa penserebbe la gente?»

«Stia a sentire, amico, se ci posso salire io, ci può salire anche lei.»

«Voi donne… tutte uguali» disse. «Schioccate le dita e vi aspettate che gli uomini saltino nel cerchio.»

Io avevo la mano dentro la borsa a tracolla e rovistavo in cerca dello spray urticante.

«Rimanga qui» disse Munson. «Vado a prendere la mia auto, è parcheggiata sul retro. Non mi importa di fissare un’altra udienza, ma non ho intenzione di salire su quella macchina che sembra drogata. Faccio il giro dell’isolato e poi la seguo in città.» Sbam. Chiuse la porta a chiave.

Dannazione. Tornai in macchina e girai la chiavetta dell’accensione, aspettando Munson in folle e domandandomi se lo avrei mai rivisto. Controllai l’ora. Gli avrei dato cinque minuti di tempo. E poi? Avrei fatto irruzione in casa? Avrei sfondato la porta e sarei entrata ad armi spianate? Guardai nella borsetta. Niente pistola. Mi ero dimenticata di portare la pistola. Cristo, questo voleva dire che avrei dovuto tornare a casa e rimandare la faccenda di Munson a un altro giorno.

Alzai lo sguardo e vidi arrivare un’auto che svoltava l’angolo: era Munson. Che bella sorpresa, pensai. Vedi, Stephanie, non devi giudicare troppo in fretta, a volte la gente si rivela molto migliore. Ingranai la marcia e lo osservai mentre si avvicinava. Ma, un momento, stava accelerando anziché rallentare! Riuscivo a vedere il suo viso teso per la concentrazione: il maniaco aveva intenzione di venirmi addosso! Ingranai precipitosamente la retromarcia e pestai forte sul pedale dell’acceleratore. La Rolls fece un salto indietro. Non tanto da evitare la collisione, ma abbastanza per non finire completamente distrutta. Nell’impatto presi un colpo di frusta, niente di grave per una donna nata e cresciuta al Burg: veniamo su guidando le macchinine degli autoscontri sulla spiaggia di Jersey, sappiamo come incassare un colpo.

Il problema era che adesso Munson si stava accanendo su di me con quella che sembrava l’auto di un poliziotto in pensione, una Crown Victoria, molto più grande della Rollswagen. Mi venne addosso di nuovo facendomi arretrare di circa quattro metri, e il motore della mia Macchina del Vento si spense. Mentre cercavo di riavviarlo, lui caracollò fuori dall’auto e corse verso di me con un cric in mano. «Volevi vedermi saltare nel cerchio» gridò. «Te lo faccio vedere io il cerchio.»

Cominciava a emergere un comportamento rituale. Investire qualcuno con l’auto, colpirlo con il cric. Non volevo pensare a quello che sarebbe venuto dopo. Il motore della Rolls finalmente partì e io fui proiettata in avanti, a malapena evitando Munson.

Lui lanciò il cric e colpì il paraurti posteriore. «Ti odio!» gridò. «Voi donne siete tutte uguali!»

Passai da zero a cinquanta chilometri all’ora nel giro di mezzo isolato e svoltai l’angolo su due ruote. Percorsi quattrocento metri senza guardarmi indietro, e quando finalmente lo feci non c’era nessuno dietro di me. Mi costrinsi a lasciar andare un po’ l’acceleratore e inspirare profondamente. Il cuore mi batteva furiosamente nel petto, e le mani stringevano il volante fino a far diventare le nocche bianche come quelle di un cadavere. D’improvviso mi trovai davanti a un McDonald’s e l’auto automaticamente svoltò nel vicolo di accesso. Ordinai un frappé alla vaniglia e domandai al ragazzo al banco se stavano cercando personale.

«Certo» disse «cerchiamo sempre personale. Vuole fare domanda di assunzione?»

«È un lavoro molto duro?»

«Non molto» disse passandomi il modulo di richiesta insieme con la cannuccia. «A volte capita qualche pazzo, ma di solito si riesce a calmarli con una porzione di sottaceti in più.»

Parcheggiai nell’angolo più riparato dello spiazzo e bevvi il frappé leggendo il modulo. Non deve essere tanto male, pensai. Probabilmente si possono anche avere patatine fritte gratis.

Uscii dall’abitacolo e osservai la carrozzeria. La griglia frontale della Rollswagen era accartocciata, il paraurti posteriore aveva una profonda ammaccatura sulla sinistra e un fanalino era rotto.

La Lincoln nera attraversò lo spiazzo e venne a fermarsi accanto a me. Il finestrino si abbassò e Mitchell sorrise guardando la Rollswagen.

«Che diavolo è questa roba?»

Gli rivolsi uno dei miei sguardi di circostanza.

«Ti occorre una macchina? Possiamo procurartene una. Qualunque tipo di auto tu voglia» disse Mitchell. «Non hai bisogno di guidare questa… questa cosa imbarazzante.»

«Io non sto cercando Ranger.»

«Certo» disse Mitchell «ma forse lui sta cercando te. Forse ha bisogno di inzuppare un po’ il biscotto, e immagina che con te sarebbe al sicuro. Capita, sai? Un uomo ha questo genere di necessità.»

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