«Quelli chi?» le chiese Rachel.
«Non lo so, quelli per i quali lavorava, quelli che compravano i bambini, immagino. Ha detto che erano pazzi.»
«E lei allora che cosa ha fatto?»
Katarina aprì la bocca, la richiuse, poi tentò di nuovo. «Sono andata al supermercato» rispose, emettendo un suono che si sarebbe potuto scambiare per una risata. «Ho comprato ai bambini del succo di frutta e gliel’ho lasciato bere mentre facevo altri acquisti, volevo fare qualcosa di normale per mettermi, come dire, tutto dietro le spalle.»
Katarina alzò nuovamente gli occhi sul marito, io seguii il suo sguardo e mi sorpresi di nuovo a studiare quell’uomo. Dopo un momento lui le parlò.
«Non ti preoccupare» le disse, con la voce più gentile che avessi mai udito. «Eri spaventata, sei stata spaventata tutta la vita.»
Lei cominciò a singhiozzare.
«Non devi avere più paura, okay?»
Le si avvicinò e la prese tra le braccia. Lei vi si rannicchiò dentro. «Lui diceva che si sarebbero vendicati su di noi, su tutta la nostra famiglia.»
«Io vi proteggerò» le disse Verne con la massima semplicità. Poi mi guardò, sempre stringendosi contro la moglie. «Hanno preso il mio bambino, minacciato la mia famiglia. Capito che cosa sto dicendo?»
Feci cenno di sì.
«Quindi ora sono con te fino a quando non sarà tutto finito.»
Notai una smorfia sul volto di Rachel; teneva gli occhi chiusi. Non sapevo quanto avrebbe potuto resistere e le andai vicino, ma lei sollevò una mano. «Deve aiutarci, Katarina. Dove viveva suo fratello?»
«Non lo so.»
«Ci pensi. Ha nulla di suo, qualcosa che possa farci risalire alle persone per le quali lavorava?»
Katarina si staccò dal marito, che le carezzò i capelli con un misto di tenerezza e di forza che gli invidiai. Mi chiesi se avrei avuto il coraggio di fare lo stesso con Rachel. «Pavel era appena arrivato dal Kosovo» ci informò Katarina. «E non tornava mai a mani vuote.»
«Pensa cioè che sia venuto con una donna incinta?» le chiese Rachel.
«È sempre stato così.»
«Sa dove portava queste donne?»
«Nello stesso posto dove sono stata io appena arrivata in America, a Union City. Volete che quella donna vi dia una mano, vero?»
«Sì.»
«Allora dovrò venire con voi, perché quasi sicuramente lei non parla la vostra lingua.»
Guardai Verne. «Con i bambini rimango io» disse subito lui.
Per qualche attimo nessuno si mosse. Dovevamo recuperare le forze, prepararci come se stessimo per entrare in un’area priva di gravità. Ne approfittai per uscire e telefonare a Zia, che rispose al primo squillo.
«I poliziotti potrebbero intercettarci, quindi telefonate brevi» disse.
«Okay.»
«È venuto a trovarmi a casa il nostro amico detective Regan, secondo lui tu te ne saresti andato dall’ospedale con la mia auto. Allora ho telefonato a Lenny, che mi ha consigliato di non confermare o smentire nessuna delle loro affermazioni. Il resto puoi immaginarlo.»
«Grazie.»
«Sii prudente.»
«Sempre.»
«Certo. A proposito, i poliziotti non sono stupidi. Pensano che se ti sei servito dell’auto di un’amica ora probabilmente te ne sei fatto prestare un’altra.»
Capii che mi stava dicendo di non usare l’auto di Lenny.
«Ora è meglio riagganciare. Ti amo» disse.
Tornai in casa. Verne aveva aperto con una chiave l’armadio delle armi e le stava controllando. All’altra estremità della stanza aveva una cassa blindata con le munizioni, che si apriva con una combinazione. Da dietro le sue spalle ne guardai il contenuto e lui mi fissò battendo le palpebre: aveva un arsenale tale da poter dichiarare guerra a una nazione europea.
Gli riferii della mia telefonata con Zia e lui non esitò. «Ho quello che fa per te» mi disse, dandomi una pacca sulla schiena. Dieci minuti dopo Rachel, Katarina e io ci allontanavamo a bordo di una Camaro bianca.
Trovammo subito la ragazza incinta.
Prima di allontanarci a tutto gas sull’auto di Verne, Rachel aveva fatto una doccia veloce per togliersi le macchie di sangue e la sporcizia. Io le avevo cambiato in fretta le medicazioni. Katarina le aveva prestato un abito estivo stampato a fiori, comodo ma aderente nei punti giusti. Rachel aveva i capelli bagnati e le gocciolavano ancora quando entrammo in macchina. Ma per me in quel momento ecchimosi e lividi erano scomparsi: ero sicuro di non avere mai visto in vita mia una donna più bella.
Katarina insistette per occupare il sedile posteriore ribaltabile e io e Rachel ci sedemmo nei due anteriori. Per qualche minuto nessuno aprì bocca: probabilmente eravamo in fase di decompressione.
Poi fu Rachel a rompere il silenzio. «A proposito di quello che ha detto Verne sui segreti e sul passato da dimenticare» cominciò.
Continuai a guidare.
«Non l’ho ucciso io mio marito, Marc.»
Sembrava che non le importasse nulla della presenza di Katarina. E nemmeno a me. «La versione ufficiale è quella dell’incidente» dissi.
«La versione ufficiale è falsa.» Emise un lungo respiro. Aveva bisogno di tempo per riprendersi e glielo concessi.
«Jerry si era già sposato una volta. Dal primo matrimonio erano nati due figli, uno dei quali, Derrick, soffre di paralisi cerebrale e le spese mediche sono assurde. Jerry non ha mai avuto molta dimestichezza con la gestione familiare, ma in quel caso diede il meglio di sé, arrivando addirittura a stipulare a suo nome una vantaggiosa polizza assicurativa nel caso gli fosse successo qualcosa.»
Con la coda dell’occhio le guardai le mani. Non le muoveva, non le stringeva a pugno, ma le teneva ferme in grembo.
«Il nostro matrimonio fallì per un mucchio di motivi, di alcuni dei quali ti ho già parlato. Non lo amavo e lui probabilmente se n’era accorto, ma Jerry era comunque un maniaco depressivo e quando non prendeva le sue medicine peggiorava. Così alla fine decisi di divorziare.»
Le rivolsi una rapida occhiata, si mordicchiava il labbro e batteva le palpebre.
«Il giorno in cui gli arrivarono i documenti con la mia istanza di divorzio, Jerry si sparò in testa. Fui io a trovarlo: era riverso sul tavolo della cucina. C’era una lettera indirizzata a me, riconobbi subito la grafia di Jerry. La aprii, conteneva un foglio di carta sul quale aveva scritto una sola parola: “Cagna”.»
Katarina le poggiò una mano sulla spalla in segno di solidarietà. Io mi concentrai ancora di più sulla guida.
«Secondo me Jerry l’aveva fatto di proposito» riprese «sapendo quello che ne sarebbe conseguito.»
«Cioè?»
«In caso di suicidio l’assicurazione non avrebbe pagato e allora Derrick non si sarebbe più potuto permettere le cure mediche. Non potevo permetterlo. Chiamai uno dei miei ex capi oltre che grande amico di Jerry, Joseph Pistillo, uno che nell’FBI ha un certo potere. Lui si portò dietro alcuni dei suoi e facemmo in modo che il suicidio sembrasse un incidente. La versione ufficiale fu che mio marito l’avevo ucciso io scambiandolo per un ladro, e la polizia locale e l’assicurazione furono convinti ad accettarla.»
«Perché allora hai dato le dimissioni?»
«Perché i miei colleghi non l’avevano bevuta, quella storia, e cominciarono a sospettare che fossi l’amante di un pezzo grosso. Pistillo non poteva proteggermi, non avrebbe fatto una bella figura, e io non ero in grado di difendermi. Tentai di tenere duro, di stringere i denti, ma all’FBI non c’è posto per gli indesiderati.»
Reclinò il capo sul poggiatesta e si mise a guardare dal finestrino. Non sapevo che cosa pensare di quel racconto, non sapevo ancora come regolarmi. Avrei voluto dirle qualche parola di conforto, ma non ne trovai. E continuai a guidare finché per fortuna non arrivammo a Union City.
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