Harlan Coben - Non hai scelta

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Marc Seidman ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: chirurgo plastico di successo, vive con la bella moglie e la figlioletta Tara di pochi mesi in una bella casa nei sobborgi di New York. Ma quando riprende conoscenza in una camera d’ospedale dove è stato ricoverato in fin di vita, Marc scopre con orrore d’aver subito un’aggressione durante la quale la moglie è stata uccisa e sua figlia è scomparsa senza lasciare traccia. Come se non bastasse Marc si ritrova ad essere il primo sospetto…

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«Rachel?»

Ma lei si raddrizzò all’improvviso sul sedile, sempre con gli occhi fissi sul palmare.

«Che c’è?» le chiesi.

«Si sono fermati. Li raggiungeremo fra tre chilometri.»

32

Steven Bacard rimise al suo posto il ricevitore del telefono.

Scivoli pian piano nel male, pensò. Superi per un solo momento quella linea di confine. Poi torni indietro, e la superi in senso contrario. Ti senti al sicuro. Hai cambiato le cose in meglio, o questo almeno è ciò che credi. Ma la linea è sempre lì. Intatta. Certo, ora c’è qualche sbavatura, ma la si vede ancora chiaramente. E la prossima volta che la superi forse la sbavatura sarà più estesa. Ma tu hai preso le coordinate e, qualsiasi cosa possa succedere a quella linea, ti ricorderai dove si trova.

Non è vero?

Sopra il fornitissimo bar dell’ufficio di Steven Bacard c’era uno specchio. L’architetto che glielo aveva arredato aveva insistito, convincendolo che ogni persona di prestigio deve avere un angolo nel quale brindare al proprio successo. Lui allora aveva ceduto, anche se non beveva. Si guardò in quello specchio, Steven Bacard, e non per la prima volta in vita sua pensò: “Mediocre”. Era sempre stato mediocre. Mediocri erano stati i suoi voti a scuola, i risultati dei suoi test di attitudine scolastica e di quelli per l’ammissione alla facoltà di Giurisprudenza, i voti degli esami universitari, quelli dell’esame di procuratore legale (l’aveva superato al terzo tentativo, questo esame). Se la vita fosse come una partita di calcio alla buona tra ragazzini dove i due capitani scelgono a turno i componenti della propria squadra, lui sarebbe venuto subito dopo quelli bravi e appena prima delle schiappe: nella cuspide, cioè, di quelli che non lasciano alcun segno.

Bacard aveva optato per la professione legale ritenendo che il titolo di dottore in Giurisprudenza gli avrebbe conferito un certo prestigio. Ma così non era stato. Non riusciva a trovare clienti. Aveva aperto uno squallido studio vicino al tribunale di Paterson e lo divideva con un garante di cauzioni per la libertà provvisoria. Era uno di quegli avvocati che si piazzano nei pronto soccorsi alla ricerca di clienti, ma anche in quel branco di mezze figure professionali non era riuscito a distinguersi. Aveva sposato una donna appena più in alto del suo status, e lei non perdeva occasione per ricordarglielo.

Dove invece Bacard si collocava al di sotto della media, ma molto al di sotto, era nel numero degli spermatozoi. Per quanto ci provasse, e alla moglie Dawn non facevano molto piacere questi suoi tentativi, non riusciva a ingravidarla. Dopo quattro anni ricorsero all’adozione, ma anche in quel campo Steven Bacard si dimostrò di una mediocrità abissale, e per lui si rivelò pressoché impossibile adottare una bambina bianca come sua moglie desiderava ardentemente. Lui e Dawn andarono in Romania, ma i soli bambini disponibili per l’adozione erano o troppo grandi o neonati già rovinati dalla droga trasmessa loro dalla madre durante la gravidanza.

Ma fu proprio in quel posto dimenticato da Dio che Steven Bacard ebbe un’idea che, dopo trentotto anni di mediocrità, lo issò idealmente su un piedistallo rispetto alla massa.

«Problemi, Steven?»

La voce lo fece trasalire. Si voltò dando le spalle alla sua immagine allo specchio: Lydia lo fissava nell’ombra.

«Guardarsi in quel modo allo specchio, dai» disse lei. «Narciso si è rovinato proprio così.»

Bacard cominciò a tremare, non poteva farci niente. Non soltanto per Lydia, anche se lei gli faceva spesso quell’effetto. La telefonata lo aveva agitato, e la ciliegina sulla torta era stata proprio Lydia, che era comparsa a sorpresa nel suo ufficio. Lui non aveva idea di come fosse entrata o di quanto tempo fosse rimasta a guardarlo. Voleva chiederle che cos’era successo quella sera, voleva conoscere i particolari. Ma non c’era tempo.

«In effetti abbiamo un problema» le disse.

«Raccontami.»

Gli occhi di lei lo gelarono. Erano grandi, luminosi e belli; pure, dietro quegli occhi si avvertiva il vuoto, un freddo abisso, erano come finestre di una casa da tempo abbandonata.

Ciò che Bacard aveva scoperto in Romania, ciò che lo aveva fatto librare al di sopra della media, era un metodo per battere il sistema. All’improvviso, per la prima volta in vita sua, aveva trovato il successo. Smise di attendere l’arrivo delle ambulanze, la gente cominciava a guardarlo dal basso in alto e non più viceversa. Veniva invitato alle cene per la raccolta di fondi. Divenne un oratore particolarmente ricercato. La moglie riprese a sorridergli e a chiedergli come fosse andata la giornata quando lui la sera tornava a casa. Fu anche ospite di un programma di News 12 New Jersey quando quell’emittente via cavo ebbe bisogno di un esperto legale. Ma diradò le sue apparizioni pubbliche quando un collega dall’altra parte dell’Atlantico gli ricordò i rischi dell’eccesso di esposizione. E poi, oltretutto, non aveva più bisogno di cercare clienti, erano loro a cercare lui: loro, cioè i genitori che speravano in un miracolo. Lo fanno sempre, i disperati, simili a piante che si allungano al buio per trovare uno spicchio di sole. E il loro sole era proprio lui, Steven Bacard.

Indicò il telefono. «Mi hanno appena chiamato» le disse.

«Ebbene?»

«C’era una microspia tra i soldi del riscatto.»

«Ma li abbiamo trasferiti in un’altra borsa.»

«Non era nella borsa, ma tra le banconote e non so esattamente come sia stata piazzata.»

Lydia si rabbuiò. «E la tua fonte non poteva dircelo prima?»

«La mia fonte l’ha appena saputo.»

Lydia parlò scandendo le parole. «In sostanza, mi stai dicendo che in questo momento la polizia sa dove ci troviamo?»

«No, la cimice non è stata piazzata dalla polizia o dai federali.»

Lei sembrò sorpresa, poi capì. «Il dottor Seidman.»

«Non esattamente. È aiutato da una donna, una certa Rachel Mills, un’ex agente federale.»

Lydia sorrise come se quanto aveva udito spiegasse qualcosa. «Ed è stata questa Rachel Mills, questa ex federale, a mettere la microspia?»

«Sì.»

«In questo momento ci sta seguendo?»

«Nessuno sa dove sia» le rispose Bacard «come nessuno sa dove sia Seidman.»

«Ah.»

«La polizia pensa che questa Rachel c’entri qualcosa.»

Lydia sollevò il mento. «C’entri qualcosa nel sequestro della bambina?»

«E nell’uccisione di Monica Seidman.»

Questo le fece piacere. Sorrise e Bacard sentì una specie di dito ghiacciato scivolargli lungo la schiena. «Era davvero coinvolta, Steven?»

Lui esitò. «Non saprei.»

«A volte è molto meglio non sapere, vero?»

Bacard non rispose.

«Ce l’hai la pistola?» gli chiese Lydia.

Lui s’irrigidì. «Che cosa?»

«La pistola di Seidman. Ce l’hai?»

Non gli piacque, quella domanda, si sentì sprofondare. Ebbe la tentazione di mentire, ma poi vide quegli occhi. «Sì.»

«Prendila. Che mi dici di Pavel? Hai sue notizie?»

«È preoccupato, vuole sapere che cosa sta succedendo.»

«Lo chiameremo dalla macchina.»

«Lo chiameremo? Anch’io, quindi?»

«Sì. Sbrighiamoci ora, Steven.»

«Vengo con te?»

«Certo.»

«Che cosa pensi di fare?»

Lydia si portò l’indice sulle labbra. «Shh, ho un piano.»

«Si sono mossi di nuovo» disse Rachel.

«Quanto tempo sono rimasti fermi?» le chiesi.

«Cinque minuti, forse. Potrebbero essersi visti con qualcuno e avere trasferito il denaro. O forse hanno soltanto fatto benzina. Gira a destra.»

Dalla Route 3 presero Centuro Road, in lontananza si intravedeva la mole del Giants Stadium. Circa un chilometro e mezzo più avanti, Rachel indicò un punto. «Sono lì da qualche parte.»

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