Harlan Coben - Non hai scelta

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Marc Seidman ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: chirurgo plastico di successo, vive con la bella moglie e la figlioletta Tara di pochi mesi in una bella casa nei sobborgi di New York. Ma quando riprende conoscenza in una camera d’ospedale dove è stato ricoverato in fin di vita, Marc scopre con orrore d’aver subito un’aggressione durante la quale la moglie è stata uccisa e sua figlia è scomparsa senza lasciare traccia. Come se non bastasse Marc si ritrova ad essere il primo sospetto…

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Mi fermai al parcheggio. Ero spaventato. Avrei voluto fare a Rachel un milione di domande, che però a ben vedere non erano altro che variazioni sullo stesso tema. Volevo saperne di più sulla morte di suo marito, certo, ma soprattutto volevo chiarire la storia di quelle maledette foto scattate dall’investigatore privato.

Il parcheggio era buio, le uniche luci venivano dall’autostrada. Il furgoncino della Manutenzione spazi verdi che aveva rubato era fermo accanto al distributore della Pepsi-Cola, sulla destra. Accostai. Non la vidi scendere dal furgone, ma all’improvviso me la trovai seduta accanto.

«Comincia a muoverti» disse.

Mi voltai per dirle qualcosa, ma vedendo il suo volto mi bloccai. «Gesù, ma stai bene?»

L’occhio destro era gonfio come quello di un pugile al termine di un incontro, sul collo si notavano dei lividi giallo-violetti e sulle guance spiccavano delle grosse macchie rossastre. Vidi i segni scarlatti lasciati dalle dita del suo assalitore, le unghie avevano addirittura inciso la pelle. Temetti che le ferite fossero più gravi di quanto sembrasse, che il pugno all’occhio potesse averle fratturato qualche osso, ma poi pensai che un colpo del genere l’avrebbe fatta finire in ospedale: dovevano essere quindi soltanto lesioni superficiali, ma ero ugualmente meravigliato che lei si reggesse in piedi.

«Che diavolo è successo?» le chiesi.

Teneva in mano il palmare, che emetteva un chiarore quasi abbacinante nel buio dell’auto. Lei lo fissò. «Prendi la 17 in direzione sud e corri, non voglio perderli.»

Feci marcia indietro e ripresi l’autostrada, poi m’infilai la mano in tasca e tirai fuori il flacone di calmanti. «Questi dovrebbero calmarti il dolore.»

Tolse il coperchio. «Quante ne devo prendere?»

«Una.»

Tirò fuori una compressa, senza staccare gli occhi dal palmare, la ingoiò e mi ringraziò.

«Dimmi che ti è successo» ripetei.

«Prima tu.»

Glielo raccontai meglio che potei. Rimanemmo sulla Route 17, superando le uscite per Allendale e Ridgewood. Le strade erano deserte, i negozi — e sa Dio quanti erano, questi negozi, sembrava di percorrere uno di quei viali dei centri commerciali — erano tutti chiusi. Rachel mi ascoltò senza interrompermi e io ogni tanto le lanciavo un’occhiata. Sembrava sofferente.

«Sei sicuro che non ci fosse Tara dentro quell’auto?» mi chiese quando ebbi terminato.

«Sì.»

«Ho ritelefonato a quello del DNA e i campioni corrispondono ancora. Non so che cosa pensare.»

«Nemmeno io. A te che è successo?»

«Qualcuno mi è saltato addosso. Ti stavo osservando con i visori notturni, ti ho visto mettere a terra la sacca con i soldi e riprendere a camminare. Dietro i cespugli c’era una donna, l’hai vista?»

«No.»

«Aveva una pistola, penso che volesse ucciderti.»

«Una donna?»

«Sì.»

Non sapevo cosa dire. «Ma l’hai vista bene?»

«No. Stavo per avvertirti del pericolo quando questo mostro mi ha afferrato alle spalle. Era forte come un toro, mi ha sollevato da terra tenendomi per la testa, temevo che me la staccasse dal collo.»

«Gesù!»

«In quel momento è passata un’auto della polizia e l’uomo è stato preso dal panico. Mi ha tirato un pugno» e indicò l’occhio gonfio «e sono svenuta. Non so quanto sono rimasta senza conoscenza, so solo che quando ho ripreso i sensi quel posto era pieno di poliziotti. Ero rannicchiata in un angolo, al buio, probabilmente non mi hanno visto o mi hanno scambiato per un barbone addormentato. Appena ho potuto ho attivato il palmare, e ho visto che i soldi erano in viaggio.»

«In quale direzione?»

«Sud, chi li aveva presi si stava muovendo a piedi sulla Centosessantottesima Strada. Poi d’improvviso si è fermato. Questo aggeggio» e indicò lo schermo «funziona in due modi. Se adopero lo zoom posso avvicinarmi fino a quattrocento metri, se invece, come adesso, mi tengo a distanza il palmare mi dà una localizzazione di massima, non un indirizzo preciso. In questo momento, a giudicare dalla velocità, direi che si trovano una decina di chilometri più avanti, sempre sulla Route 17.»

«Ma la prima volta che li hai localizzati erano sulla Centosessantottesima?»

«Sì. Poi si sono spostati velocemente verso il centro città.»

Ci pensai su. «La metropolitana» dissi poi. «Devono aver preso il treno della linea A alla fermata della Centosessantottesima.»

«È quello che ho pensato anch’io. Comunque, ho rubato il furgone e mi sono diretta in centro anch’io. Ero tra l’Ottantesima e la Settantesima quando all’improvviso hanno preso verso est, questa volta facendo una sosta ogni tanto.»

«Si fermavano ai semafori, evidentemente hanno proseguito in auto.»

«Esatto. Hanno percorso Franklin Delano Roosevelt Drive e poi Harlem River Drive. Ho tentato di attraversare la città, ma ci ho impiegato un sacco di tempo e la distanza è diventata otto-dieci chilometri. Il resto lo conosci.»

Fummo costretti a rallentare per via di alcuni lavori in corso, vicino all’intersezione con la Route 4, e la strada passò da tre corsie a una. La guardai e vidi di nuovo i lividi, l’occhio gonfio, le enormi impronte delle mani sulle guance. Anche lei mi guardò, ma non aprì bocca. Allungai una mano e le carezzai il volto con la maggiore delicatezza possibile. Lei chiuse gli occhi, evidentemente emozionata da quel gesto tenero, e tutt’e due capimmo che cosa ci stava succedendo, a dispetto delle circostanze. Dentro di me sentii agitarsi un’emozione antica, ormai sopita. Tenni gli occhi fissi su quel volto incantevole, perfetto. Le scostai i capelli dal viso. Una lacrima fece capolino dall’occhio scendendo poi lungo la guancia. Lei mi mise una mano sul polso, trasmettendomi un calore che mi si diffuse per tutto il corpo.

Una parte di me, e so bene che effetto faranno queste parole, voleva dimenticare questa storia. Il sequestro era stato un imbroglio. Mia figlia era scomparsa. Mia moglie era morta. Qualcuno stava tentando di uccidermi. Era il momento di ricominciare, di concedersi un’altra occasione, un nuovo modo di vivere, di fare la cosa giusta, questa volta. Avrei voluto girare l’auto e imboccare la direzione contraria. Volevo guidare, guidare e basta, senza chiederle del marito ucciso e di quelle foto nel CD. Potevo dimenticare tutto, sapevo di poterlo fare. La mia vita era fatta di interventi chirurgici che modificavano la superficie, che aiutavano i pazienti a ricominciare lasciandosi alle spalle il passato, a migliorare ciò che era visibile e in tal modo anche ciò che non lo era. Una cosa del genere poteva succedere anche nel mio caso. Un semplice lifting facciale, avrei praticato la prima incisione al giorno precedente quella maledetta festa al college, per poi tirare il lembo su quattordici anni e suturarlo all’oggi. Un unico punto di sutura per quei due momenti. Un intervento di chirurgia plastica per far sparire quei quattordici anni, come se non fossero mai trascorsi.

Rachel aprì gli occhi e mi resi conto che stava pensando più o meno quello che pensavo io, che sperava che tornassi indietro. Ma non era possibile, ovviamente. Ci scambiammo una rapida occhiata, i lavori in corso erano ormai alle nostre spalle, lei mi tolse la mano dal polso. Le diedi un altro rapido sguardo. No, non avevamo più vent’anni, ma non aveva importanza. Ora lo capivo. L’amavo ancora. Per quanto ciò potesse essere irrazionale, sbagliato, stupido, ingenuo e tutto quello che volete l’amavo ancora. In quegli anni forse mi ero convinto del contrario, ma non avevo mai smesso di amarla. Era così terribilmente bella, così maledettamente perfetta: e i miei dubbi idioti svanirono al pensiero di quanto lei fosse stata vicina alla morte, al pensiero di quelle mani gigantesche che le toglievano il respiro. Non sarebbero scomparsi, quei dubbi, fino a quando non avessi scoperto la verità: ma non mi avrebbero scoraggiato, di qualunque verità si trattasse.

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