Harlan Coben - Non hai scelta

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Marc Seidman ha tutto ciò che si può desiderare dalla vita: chirurgo plastico di successo, vive con la bella moglie e la figlioletta Tara di pochi mesi in una bella casa nei sobborgi di New York. Ma quando riprende conoscenza in una camera d’ospedale dove è stato ricoverato in fin di vita, Marc scopre con orrore d’aver subito un’aggressione durante la quale la moglie è stata uccisa e sua figlia è scomparsa senza lasciare traccia. Come se non bastasse Marc si ritrova ad essere il primo sospetto…

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«No, ti assicuro, non ne sapevo proprio niente.»

«Davvero non l’avevi mai più rivista prima di quella volta al supermercato?»

«Certo che no, e lo sai. A te lo direi.»

Rimase troppo a lungo a riflettere sulle mie parole. «A Lenny l’Amico potresti averlo nascosto.»

«No. E in ogni caso non avrei assolutamente potuto nasconderlo a Lenny l’Avvocato.»

Abbassò la voce. «Ma dell’appuntamento per la consegna del riscatto non hai parlato né all’Amico né all’Avvocato.»

Ecco spiegato il suo atteggiamento. «Non volevamo che si sapesse in giro, Lenny.»

«Capisco.» Invece non capiva affatto, e aveva anche ragione. «Un’altra cosa. Come hai fatto a scoprire quel CD in cantina?»

«È passata a trovarmi Dina Levinsky.»

«Dina la matta?»

«Ha avuto una vita tormentata, Lenny, non puoi immaginare quanto.»

Lenny fece un gesto infastidito, quasi a voler respingere la mia solidarietà umana per la nostra ex compagna di scuola. «Non capisco. Che ci faceva a casa tua?» Gli raccontai la storia di Dina e lui cominciò a fare strane smorfie. Alla fine fui io a chiedergli che cosa avesse.

«Ti ha detto che ora se la passa meglio? Che si è sposata?»

«Sì.»

«Stronzate.»

«E tu come fai a saperlo?»

«Mi occupo degli affari legali di sua zia. Dina Levinsky entra ed esce dalle cliniche psichiatriche da quando ha diciotto anni, è stata anche in carcere per aggressione aggravata, qualche anno fa. Non si è mai sposata e dubito anche che abbia mai tenuto una mostra personale.»

Non sapevo che cosa pensare. Mi tornò in mente l’espressione angosciata sul volto di Dina, quel volto privo di ogni colore mentre mi chiedeva: “Tu lo sai chi ti ha sparato, vero, Marc?”.

Ma poi che avrà voluto dire?

«Dobbiamo pensarci su bene» disse Lenny, grattandosi il mento. «Ora controllerò presso alcune fonti e vediamo se riuscirò a saperne di più. Chiamami se c’è qualche novità, d’accordo?»

«D’accordo.»

«E promettimi che non dirai nemmeno una parola, perché ci sono ottime possibilità che ti arrestino.» Sollevò una mano per impedirmi di protestare. «Hanno materiale a sufficienza per l’arresto e forse anche per il rinvio a giudizio. È vero, manca ancora qualche tassello, ma pensa al caso Shakel: avevano meno elementi a suo carico di quanti ne abbiano contro di te, eppure l’hanno condannato. Quindi, se dovessero tornare promettimi di non dirgli nemmeno una parola.»

Glielo promisi perché, anche questa volta, la polizia aveva imboccato la pista sbagliata. Collaborare con loro non mi avrebbe aiutato a ritrovare mia figlia, e per me non contava altro. Lenny uscì e io gli chiesi di spegnere la luce, ma la stanza non restò al buio: nelle stanze d’ospedale non c’è mai completamente buio.

Cercai di capire quello che stava succedendo. Tickner si era portato dietro quelle strane foto e avrei preferito che non lo avesse fatto. Avrei voluto rivederle perché, comunque la girassi, per me non avevano alcun significato. Erano autentiche? Truccare una foto non è difficile, specie nell’era del digitale. Poteva essere quella la spiegazione? Erano false? Tornai con il pensiero a Dina Levinsky: a che cosa si doveva veramente quella sua bizzarra visita? Perché mi aveva chiesto se amavo Monica? Perché secondo lei dovevo sapere chi mi aveva sparato? Mi stavo facendo quelle domande quando si aprì la porta.

«È questa la stanza dello stallone con il camice?»

Era Zia. «Ciao.»

Entrò e con un rapido gesto indicò il letto. «Sarebbe questa la tua scusa per non venire al lavoro?»

«Ero di turno io ieri notte, vero?»

«Già.»

«Mi dispiace.»

«Hanno buttato giù dal letto me, invece, interrompendo un sogno piuttosto erotico.» Zia indicò con il pollice la porta. «Quell’omone che ho visto in fondo al corridoio.»

«Quello con gli occhiali da sole sulla testa rasata?»

«Proprio lui. È uno sbirro?»

«FBI.»

«Perché non me lo presenti? Potrei sempre riprendere con lui quel sogno interrotto.»

«Cercherò di presentartelo prima che mi arresti.»

«Per me va bene anche dopo.»

Sorrisi e lei venne a sedersi sul bordo del letto. Le raccontai l’accaduto e Zia non mi propose una sua teoria, non mi fece domande. Si limitò ad ascoltare e gliene fui davvero grato.

Stavo per dirle che ormai ero un sospetto quando il mio cellulare prese a squillare. Ne fummo entrambi sorpresi, per forza d’abitudine, perché i cellulari in ospedale sono verboten. Lo afferrai in fretta e risposi.

«Marc?»

Era Rachel.

«Dove sei?»

«Seguo i soldi.»

«Che cosa?»

«Hanno fatto esattamente ciò che pensavo. Li hanno trasferiti in un’altra borsa, ma non si sono accorti della microspia dentro la mazzetta. Ora mi trovo su Harlem River Drive e loro dovrebbero essere un chilometro e mezzo più avanti.»

«Dobbiamo parlare» le dissi.

«Hai trovato Tara?»

«Era un bluff, ho visto il bambino che si erano portati dietro. Non era mia figlia.»

Ci fu una pausa.

«Rachel?»

«Non sto tanto bene, Marc.»

«Cioè?»

«Me le hanno suonate, al parco. Tutto a posto, ma mi serve il tuo aiuto.»

«Aspetta un momento, la mia auto è ancora dove l’avevo lasciata. Come fai a seguirli?»

«Hai notato alla rotonda un furgoncino della Manutenzione spazi verdi?»

«Sì.»

«L’ho rubato. Era vecchio, quindi è stato facile metterlo in moto collegando i cavi. Nessuno ne noterà la scomparsa fino a domani mattina.»

«Credono che siamo stati noi, Rachel. Che abbiamo una relazione o qualcosa del genere. Hanno trovato delle foto, su quel CD, con te di fronte all’ospedale dove lavoro.»

Silenzio, interrotto da piccole scariche di elettricità statica.

«Rachel?»

«Dove sei?» mi chiese.

«Al New York Presbyterian Hospital.»

«Stai bene?»

«Sono pesto anch’io, ma tutto sommato non mi posso lamentare.»

«Sono venuti i poliziotti?»

«Anche i federali, un certo Tickner. Lo conosci?»

Abbassò la voce. «Sì. Come pensi di giocartela?»

«Che cosa vuoi dire?»

«Vuoi continuare a occupartene tu, o preferisci lasciare tutto a Tickner e Regan?»

La volevo accanto a me, Rachel, per chiederle spiegazioni su quelle foto e sulla telefonata arrivata a casa mia. «Non credo sia importante» risposi. «Tu avevi ragione fin dall’inizio. È stata una truffa, devono avere usato i capelli di qualcun altro.»

Una scarica.

«Che cosa?» chiesi.

«Sai qualcosa del DNA?» mi chiese.

«Non molto.»

«Non ho tempo per spiegartelo, ma il test del DNA viene fatto per gradi. Per prima cosa si accerta se due campioni corrispondono. E servono almeno ventiquattro ore per poterlo stabilire con un certo grado di sicurezza.»

«E allora?»

«Ho parlato con il mio amico del laboratorio. Sono passate soltanto otto ore, ma fino adesso, quel secondo campione di capelli che ti sei fatto dare da Edgar…»

«Ebbene?»

«Quei capelli corrispondono ai tuoi.»

Non ero sicuro di aver sentito bene. Rachel fece un suono che somigliava a un sospiro. «In altre parole, non ha escluso che tu sia il padre. Anzi, ne è convinto.»

Stavo per lasciar cadere il telefono, Zia se ne accorse e si avvicinò. Ancora una volta mi concentrai, divisi in compartimenti, elaborai, ricostruii. Valutai le mie opzioni. Tickner e Regan non mi avrebbero mai creduto, non mi avrebbero mollato, probabilmente mi avrebbero arrestato. D’altra parte, se gliel’avessi detto avrei potuto provare la nostra innocenza. Ma dimostrare la mia innocenza non era importante.

Esisteva una possibilità che mia figlia fosse ancora viva?

Era questa l’unica domanda da porsi. Se Tara era viva, allora dovevo seguire il piano originale, perché fare affidamento sulle autorità, specialmente ora che nutrivano dei sospetti, non era affatto consigliabile. E se i rapitori avessero davvero avuto una talpa, come avevano scritto nel biglietto? In quel momento le persone che avevano ritirato la borsa con i soldi non immaginavano di avere Rachel alle calcagna. Ma se fossero entrati in scena poliziotti e federali, che cosa sarebbe successo? I rapitori si sarebbero lasciati prendere dal panico e avrebbero potuto commettere qualcosa di irreparabile.

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