«Sono stati prudenti.»
«Prudenti, con lei che gironzolava davanti al posto di lavoro di lui. La gente prudente non le fa certe cose.»
«Qual è allora la tua teoria?»
Regan sorrise. «Rifletti un attimo. Rachel sapeva di sicuro che Seidman era dentro l’ospedale: ma non è detto che lui sapesse che lei era là fuori.»
«Aspetta un momento.» Un sorriso illuminò il volto di Tickner. «Pensi che lei gli stesse facendo la posta?»
«Forse.»
«E oltretutto non stiamo parlando di una donna qualsiasi, ma di un’agente federale perfettamente addestrata.»
«Quindi, uno: lei era in grado di organizzare un sequestro di persona.» Regan allungò un dito. «Due» e ne stese un altro «lei avrebbe saputo come uccidere qualcuno e farla franca. Tre, avrebbe saputo cancellare qualsiasi traccia. Quattro, lei conosceva la sorella di Seidman, Stacy. Cinque» e fu la volta del pollice «avrebbe potuto sfruttare le sue vecchie conoscenze per localizzare la sorella di Seidman e sbarazzarsene.»
«Cristo santo!» Tickner sollevò lo sguardo. «Era questo che intendevi prima, quando hai parlato di qualcosa di tanto orribile che Seidman può aver visto, qualcosa che non ricorda più?»
«Come per esempio il tuo amato bene che ti spara. O tua moglie. O…»
Si bloccarono entrambi.
«Cosa c’entra Tara in tutto questo?» riprese poi Tickner.
«Un mezzo per estorcere soldi?»
La cosa non piacque a nessuno dei due. Ma ancora meno gli piacevano le eventuali altre risposte che si sarebbero potuti dare.
«Potremmo aggiungere qualcos’altro» disse ancora Tickner.
«Che cosa?»
«La calibro 38 di Seidman che è scomparsa.»
«Cioè?»
«La pistola era in una cassetta di sicurezza nel suo armadio. Solo qualcuno che lo conosceva bene avrebbe potuto sapere dov’era nascosta.»
A Regan venne un altro sospetto. «Oppure Rachel Mills si era portata dietro la sua 38. Ne sono state usate due, ricordi?»
«Ma questo pone un’altra domanda: che bisogno avrebbe avuto di due pistole, la Mills?»
Tutt’e due si misero a riflettere, passando in rassegna in silenzio altre teorie, e arrivarono alla stessa conclusione. «Ci manca ancora qualcosa» disse Regan.
«Proprio così.»
«Abbiamo bisogno di qualche altra risposta.»
«Per esempio?»
«Per esempio, come ha fatto Rachel a cavarsela dopo aver ucciso il marito?»
«Posso informarmi» disse Tickner.
«Fallo. E metti un agente a protezione di Seidman. Lei ora ha quattro milioni di dollari e potrebbe decidere di eliminare l’unica persona che può ancora collegarla al colpo.»
Zia trovò i miei abiti nell’armadio. I jeans erano macchiati di sangue, quindi decidemmo di sostituirli con dei pantaloni verdi da sala operatoria, e lei me ne trovò un paio in uno stanzino. Me li infilai con una smorfia di dolore per via delle costole incrinate, e strinsi il nastro in vita. Sarebbe stata una fuga lenta. Zia guardò fuori dalla porta per accertarsi che il campo fosse libero. Aveva preparato un piano alternativo, nel caso i federali mi tenessero d’occhio. Un medico suo amico, David Beck, era rimasto coinvolto qualche anno prima in una complessa indagine federale e in quella circostanza aveva conosciuto Tickner. Beck quel giorno era in servizio e, se necessario, avrebbe intercettato lui e soci in fondo al corridoio cercando di trattenerli con la storia di quell’inchiesta.
Ma non ci fu bisogno di Beck. Uscimmo tranquillamente senza che nessuno ci facesse domande, attraversammo il padiglione Harkness e sbucammo nel cortile sul lato nord di Fort Washington Avenue. Zia aveva lasciato l’auto nel parcheggio all’angolo tra la Centosessantacinquesima e Fort Washington Avenue. Camminavo con circospezione, ero indolenzito ma tutto sommato stavo bene. Potevo scordarmi maratona e sollevamento pesi, ma il dolore era sopportabile e riuscivo a muovermi con relativa facilità. Zia mi aveva trovato un flacone di calmanti in confezione da cinquanta milligrammi, cioè il dosaggio più alto. Un ottimo prodotto: faceva effetto senza dare sonnolenza.
«Se qualcuno me lo chiede» mi spiegò lei «dirò che ho usato i mezzi pubblici e ho lasciato a casa l’auto. Per un po’ dovresti essere a posto.»
«Grazie. Possiamo scambiarci anche i cellulari?»
«Certo. Perché?»
«Potrebbero tentare di localizzarmi attraverso le chiamate fatte dal mio telefono.»
«Addirittura?»
«Non lo so, ma può darsi.»
Lei tirò fuori il suo cellulare, grande come uno specchietto. «Pensi davvero che Tara sia viva?»
«Non lo so.»
Salimmo in fretta i gradini di cemento del parcheggio. Per le scale c’era puzza di urina, come sempre.
«È una follia» disse ancora Zia. «Lo sai, vero?»
«Sì.»
«Se hai bisogno di metterti in contatto con me chiamami sul cercapersone.»
«Lo farò.»
Ci fermammo accanto alla sua auto e lei mi porse le chiavi.
«Che cosa c’è?» le chiesi.
«Sei terribilmente presuntuoso, Marc.»
«Li incoraggi sempre così gli amici?»
«Non ti far schiacciare dal tuo ego, ho bisogno di te.»
L’abbracciai e salii sull’auto, poi misi in moto, imboccai la Henry Hudson in direzione nord e composi sul cellulare il numero di Rachel. La notte era chiara e silenziosa, le luci del ponte avevano trasformato l’acqua scura in un cielo stellato. Udii due squilli, poi Rachel rispose ma rimase in silenzio. Capii il motivo, non aveva riconosciuto il numero apparso sul suo display.
«Sono io, sto usando il cellulare di Zia» dissi.
«Dove sei?»
«Sulla Hudson.»
«Prosegui in direzione nord fino al Tappan Zee Bridge, attraversalo e punta verso ovest.»
«Tu dove sei?»
«Dalle parti del Palisades Mall, quel grosso centro commerciale.»
«A Nyack.»
«Esatto. Teniamoci in contatto, troveremo un posto dove incontrarci.»
«Arrivo.»
Tickner stava aggiornando al telefono O’Malley quando Regan entrò di corsa nella sala medici. «Seidman non è più nella sua stanza.»
L’agente federale sembrò seccato. «Come sarebbe a dire che non è più nella sua stanza?»
«Secondo te cosa può voler dire?»
«Magari è sceso a fare le radiografie, o roba del genere.»
«No, secondo l’infermiera.»
«Maledizione. Quest’ospedale avrà delle telecamere a circuito chiuso, immagino.»
«Non in tutte le stanze.»
«Ma alle uscite sì, voglio sperare.»
«Ci saranno una decina di uscite, è ora che ci facciamo dare i nastri e li guardiamo…»
«Sì, sì, sì.» Tickner ci pensò su, poi riaccostò il cellulare all’orecchio. «O’Malley?»
«Sono qui.»
«Hai sentito?»
«Certo.»
«Quanto ci vuole per avere i tabulati delle chiamate di Seidman dal telefono della sua stanza e dal cellulare?»
«Le ultime telefonate?»
«Diciamo quelle dell’ultimo quarto d’ora.»
«Mi dia cinque minuti.»
Tickner premette il pulsante rosso per chiudere la comunicazione. «Dov’è l’avvocato di Seidman?»
«Non lo so, mi sembra che abbia detto che se ne stava andando.»
«Forse dovremmo dargli un colpo di telefono.»
«Non mi ha dato l’impressione di voler collaborare» osservò Regan.
«È vero, ma finora abbiamo considerato il suo cliente un duplice assassino. Adesso invece è un innocente in pericolo di vita, quindi l’avvocato dovrebbe darci una mano.» E Tickner porse a Regan il biglietto da visita che Lenny gli aveva dato.
«Vale la pena tentare» disse il poliziotto, e compose il numero.
M’incontrai con Rachel a Ramsey, cittadina al confine tra lo stato di New York e il New Jersey. Ci eravamo dati appuntamento al parcheggio del Fair Motel, sulla Route 17, a Ramsey, nel New Jersey. Il motel era di quelli frequentati da amanti e coppiette e su un cartello si leggeva TV A COLORI! (come se i motel in genere avessero il televisore in bianco e nero): e le lettere della scritta e il punto esclamativo erano in colori tutti diversi, casomai qualcuno non conoscesse il significato della parola “colore”. Mi è sempre piaciuto il nome di quel motel, Fair, cioè onesto. Non siamo grandi né maestosi, sembrava dire, ma onesti. Un esempio di buona pubblicità.
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