«Prima di oggi?»
«Sì.»
«No.»
«Mai? Non vi siete mai telefonati prima di oggi? Nemmeno quando avevate una storia?»
«Gesù Cristo, ma che razza di domanda è?» sbottò Lenny.
Tickner si voltò di scatto verso di lui. «Ha qualche problema?»
«Sì, le sue domande sono idiote.»
Ripresero a lanciarsi sguardi di fuoco. Ruppi il silenzio. «Non parlavo al telefono con Rachel dai tempi del college.»
Tickner questa volta si voltò verso di me, con un’espressione apertamente scettica. Io guardai Regan alle sue spalle, che annuiva. Mi sembrò che avessero entrambi la guardia abbassata e tentai l’affondo. «Avete trovato l’uomo e il bambino sulla Honda Accord?» chiesi.
Il federale valutò per qualche secondo la domanda, poi si volse verso Regan che si strinse nelle spalle, quasi a dire: “Perché no?”. «Abbiamo trovato l’auto, era stata abbandonata a Broadway, nei pressi della Centoquarantacinquesima Strada. Era stata rubata poche ore prima.» Tickner estrasse il taccuino, ma non lo consultò. «Quando l’abbiamo vista al parco, dottor Seidman, lei ha gridato qualcosa a proposito di sua figlia. Pensa che fosse lei la bambina dentro quell’auto?»
«È quello che credevo all’inizio.»
«E adesso non più?»
«No, non era Tara.»
«Come mai ha cambiato idea?»
«L’ho visto. Il bambino, voglio dire.»
«Ah, era un bambino?»
«Credo di sì.»
«Quando l’ha visto?»
«Quando sono saltato sopra l’auto.»
Tickner allargò le braccia. «Che ne direbbe di cominciare dal principio e raccontarci che cos’è successo esattamente?»
Raccontai loro la stessa storia che avevo detto a Lenny. Regan, che non aveva ancora aperto bocca, rimase con la schiena appoggiata alla parete. Lo trovai strano. Mentre parlavo Tickner sembrava sempre più agitato, la pelle della sua testa rasata si fece tesa, gli occhiali cominciarono a scivolargli in avanti e lui ogni volta li tirava su. Vidi che gli pulsava una tempia, teneva la mascella serrata.
«Lei sta mentendo» disse, quando ebbi terminato.
Lenny andò a piazzarsi fra Tickner e il mio letto e per un momento temetti che stessero per venire alle mani, cosa che, devo ammetterlo, non sarebbe andata a vantaggio del mio amico. Ma lui non si tirava mai indietro. Mi venne in mente quella volta che, in terza elementare, Tony Merullo mi sfidò a pugni. Lenny si mise in mezzo e affrontò coraggiosamente Tony… e le prese di santa ragione.
Lenny si piantò a pochi centimetri dal federale, molto più grosso di lui. «Che diavolo ha detto, agente Tickner?»
«Il suo cliente è un bugiardo.»
«Signori, il colloquio è terminato. Uscite.»
Tickner piegò la testa e con la fronte andò a toccare quella di Lenny. «Abbiamo le prove che sta mentendo.»
«Vediamole. Anzi no, non voglio vederle. State arrestando il mio cliente?»
«No.»
«Allora toglietevi dalle palle e uscite da questa stanza.»
«Lenny…» dissi.
Dopo aver dato un’ultima occhiata di fuoco a Tickner, per fargli capire di non essere stato intimidito, Lenny riportò la sua attenzione su di me.
«Chiudiamola qui» dissi.
«Sta cercando di accusarti.»
Feci spallucce, perché in effetti non me ne importava nulla, e credo che Lenny se ne accorse, perché si mise in disparte. Feci segno a Tickner di andare avanti.
«Lei Rachel l’aveva già vista prima di oggi.»
«Le ho detto…»
«Se non l’aveva vista e non le aveva parlato, come faceva a sapere che era stata un’agente federale?»
Lenny si mise a ridere.
Tickner si voltò a guardarlo. «Che cos’ha da ridere?»
«Perché, pezzo di scemo, Rachel Mills è amica di mia moglie.»
Sembrò confuso. «Che cosa?»
«Io e mia moglie parliamo spesso con Rachel, siamo stati noi a presentarla al qui presente Marc Seidman.» Lenny si fece un’altra risata. «Sarebbe questa la sua prova?»
«No, non è questa la mia prova.» Tickner, adesso sulla difensiva, si rivolse a me. «Questa storia della telefonata con la richiesta di riscatto e della vecchia amica ritrovata per caso: è davvero convinto che stia in piedi?»
«Perché, secondo lei come sono andate invece le cose?»
Lui rimase in silenzio.
«Pensa che sia stato io, vero? Che si tratti di un mio piano per spillare altri due milioni di dollari a mio suocero?»
Lenny tentò di calmarmi. «Marc…»
«No, adesso invece parlo io.» Cercai di coinvolgere Regan, che però guardava da un’altra parte. Quindi fissai Tickner. «Crede davvero che sia stato io a mettere in piedi questa storia? E perché farla così complicata, con quell’incontro nel parco per la consegna del riscatto? Come facevo a sapere che mi avreste trovato?… Anzi, che diavolo, non so ancora come abbiate fatto. Perché mi sarei preso il disturbo di aggrapparmi a quell’auto? Non facevo prima a prendere i soldi, nasconderli e poi inventarmi qualcosa per Edgar? Se ho messo in piedi io questo piano, che bisogno avevo di servirmi dell’uomo con la camicia a scacchi? Eh? Perché coinvolgere un’altra persona, per giunta con un’auto rubata? Andiamo, si rende conto di quanto sia assurdo?»
Guardai Regan, sempre assorto nei suoi pensieri. «Detective Regan?»
«Lei non è sincero con noi, Marc» fu tutto quello che riuscì a dire.
«E perché non sarei sincero? In che cosa?»
«Lei sostiene che dai tempi del college non aveva più parlato al telefono con la signora Mills.»
«Sì.»
«Abbiamo i tabulati telefonici, Marc. Tre mesi prima che sua moglie venisse uccisa, Rachel ha telefonato a casa sua. Come lo spiega?»
Mi rivolsi a Lenny in cerca d’aiuto, ma lui mi stava fissando stupito. «Sentite» dissi allora. «Ho il numero del cellulare di Rachel, chiamiamola e scopriamo dove si trova.»
«Prego» disse Tickner.
Lenny sollevò la cornetta del telefono sul mio comodino e io gli dissi il numero, poi rimasi a guardarlo mentre lo componeva, cercando di riflettere. Il telefono squillò sei volte, poi la segreteria di Rachel disse che non poteva rispondere e di lasciare un messaggio. Glielo lasciai.
Regan si staccò finalmente dal muro, avvicinò una sedia al mio letto e si sedette. «Che cosa sa, Marc, di Rachel Mills?»
«Abbastanza.»
«Stavate insieme al college?»
«Sì.»
«Quanto è durata?»
«Due anni.»
Lui allargò le braccia e spalancò gli occhi. «Vede, io e l’agente Tickner non siamo ancora convinti del motivo per cui lei l’ha cercata. Sì, lo so, avevate avuto una storia tanto tempo fa. Ma se poi non l’ha più vista né sentita, perché si è rivolto proprio a lei?»
Pensai a come spiegarglielo, poi scelsi la maniera più semplice. «Mi sento ancora legato a lei.»
Regan annuì, come se questo spiegasse un sacco di cose. «Era al corrente del fatto che si fosse sposata?»
«Me l’aveva detto Cheryl, la moglie di Lenny.»
«E lo sapeva che il marito era stato ucciso?»
«L’ho saputo oggi.» Poi mi resi conto che la mezzanotte doveva essere passata. «Ieri, voglio dire.»
«Gliel’ha detto Rachel?»
«No, Cheryl.» Mi tornarono in mente le parole di Regan, quando era venuto a casa mia a cercare Rachel. «E poi lei mi ha detto che era stata Rachel a sparargli.»
Regan guardò Tickner, che raccolse idealmente il testimone. «La signora Mills gliel’aveva confessato?»
«Che cosa, che era stata lei a uccidere il marito?»
«Sì.»
«Sta scherzando?»
«Lei non ci crede, vero?»
Intervenne Lenny. «Che differenza fa se lui ci crede o meno?»
«Ha confessato» disse Tickner.
Guardai Lenny, che però distolse lo sguardo. Cercai di mettermi a sedere più comodamente sul letto. «Allora perché non è in carcere?»
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