In fondo lei era solo una donna che faceva una passeggiata nel parco e aveva trovato per caso la sacca. Se la polizia l’avesse fermata, lei avrebbe sempre potuto fare la parte della buona samaritana che stava per portarla alla polizia. Nessun reato. Nessun rischio.
Soprattutto, considerando quei due milioni di dollari.
Valutò velocemente i pro e i contro. Era semplice, a pensarci bene. Prendi i soldi, e se poi ti beccano niente paura. Non c’è assolutamente nulla che possa collegarti all’affare Seidman, la pistola l’hai gettata via e così anche il cellulare. Certo, qualcuno avrebbe potuto trovarli, ma né la pistola né il telefono erano riconducibili a lei o a Heshy.
Udì un rumore. Marc Seidman, che la precedeva di quasi cinque metri, si mise a correre. Bene, nessun problema. Lydia scattò in direzione dei soldi, dietro l’angolo apparve Heshy e lei gli andò incontro, poi, senza un attimo d’esitazione, raccolse da terra la sacca.
Subito dopo, entrambi scomparvero nelle tenebre.
Continuai ad avanzare a tentoni, inciampando. Gli occhi cominciavano a mettere a fuoco qualcosa, ma solo dopo diversi minuti tornai a vederci normalmente. Il sentiero aveva preso a scendere, c’erano dei sassi e cercai di evitarli. La discesa adesso era più ripida e mi lasciai trasportare dalla forza d’inerzia, in modo da muovermi più velocemente, senza però correre.
Alla mia destra potevo vedere il pendio al termine del quale iniziava il Bronx, le cui luci brillavano in lontananza.
Udii il pianto sommesso di un bambino.
Mi bloccai. Anche se quasi impercettibile, era inequivocabilmente il pianto di un bambino. Sentii un fruscio e il bimbo pianse di nuovo, ma questa volta il suono era più lontano. Il fruscio ora era scomparso, sostituito dallo scalpiccio di passi. Qualcuno stava correndo. Correva via con un bambino o una bambina. Correva lontano da me.
No!
Mi misi a correre anch’io. Le luci in lontananza fornivano un’illuminazione sufficiente a permettermi di seguire il sentiero. Più avanti vidi la recinzione di rete metallica e, avvicinatomi, mi accorsi che qualcuno vi aveva praticato un varco con le cesoie. Lo superai e mi ritrovai sul sentiero. Guardai a sinistra, in direzione del parco.
Nessuno.
Maledizione, che cos’era andato storto? Tentai di riflettere, di mettere a fuoco la situazione. Allora, se fossi stato io a scappare, da che parte sarei andato? Semplice, a destra. I sentieri erano tortuosi, c’era buio, tirava vento, era facile nascondersi tra la vegetazione. Io avrei fatto questo, al posto dei rapitori. Mi fermai un istante, sperando di sentire ancora il pianto del bambino, ma non l’udii. Sentii invece qualcuno esclamare: «Ehi!» in tono sorpreso.
Drizzai la testa. Quella voce proveniva effettivamente da destra. Bene. Mi misi nuovamente a correre, sperando di vedere una camicia a scacchi. Niente. Continuai a scendere di corsa, ma per poco non inciampai. Ricordai, che quando abitavo in zona c’erano dei barboni che si rifugiavano nei piccoli anfratti che si aprivano nei pendii troppo ripidi per gli escursionisti e ricoprivano l’ingresso con delle foghe. Ogni tanto vicino a quelle tane si udiva un fruscio troppo forte per essere stato provocato da uno scoiattolo. E allora all’improvviso ti trovavi davanti uno di questi barboni, con i capelli lunghi e la barba incolta, che emanava un olezzo terribile. Non lontano da lì c’era una zona dove lavoravano i marchettari, a beneficio degli impiegati che scendevano dai treni della linea A. Andavo a fare jogging da quelle parti, a tarda sera, e il sentiero era spesso cosparso di bustine vuote di preservativi.
Continuai a correre, cercando di tenere le orecchie bene aperte. A un bivio mi fermai, imprecando e chiedendomi ancora una volta quale fosse la strada più tortuosa. Non lo sapevo e stavo per prendere quella a destra, quando udii un rumore.
Un fruscio tra la vegetazione.
Mi tuffai senza un attimo d’esitazione. C’erano due uomini: uno in giacca e cravatta e l’altro, molto più giovane, in jeans. Quest’ultimo era inginocchiato davanti al primo. Quello in giacca e cravatta mi lanciò un insulto, ma non me ne andai perché la sua voce l’avevo già sentita. Pochi attimi prima.
Era stato lui a gridare: “Ehi!”.
«Ha visto passare un uomo con una bambina?»
«Ma vai a…»
Gli tirai uno schiaffone. «Li ha visti?»
Mi sembrò più sorpreso che offeso. Indicò a sinistra. «Sono andati da quella parte, l’uomo la teneva in braccio.»
Tornai veloce sul sentiero. Giusto, stavano tornando verso il prato e, se non avessero cambiato direzione, sarebbero sbucati non lontano da dove avevo lasciato l’auto. Mi rimisi a correre, agitando le braccia. Passai di corsa davanti ai marchettari seduti sul muretto. Uno di loro, con un fazzoletto azzurro in testa, mi fece segno di rimanere sul sentiero. Lo ringraziai con un cenno del capo. In lontananza si vedevano le luci del parco e per un attimo vidi l’uomo con la camicia a scacchi che passava davanti a un lampione, con in braccio Tara.
«Fermo!» gridai. «Fermatelo!»
Ma erano già scomparsi.
Deglutii e mi rimisi a correre, sempre chiamando aiuto. Ma nessuno mi rispose. Raggiunto il belvedere dove gli innamorati si fermano a contemplare il panorama, vidi di nuovo la camicia a scacchi. Stava scavalcando il muretto per infilarsi tra gli alberi. Mi lanciai all’inseguimento ma, superato l’angolo, mi sentii intimare: «Fermo lì!».
Mi voltai a guardare. Era un poliziotto, con la pistola spianata.
«Fermo!»
«Ha la mia bambina! Da quella parte!»
«Dottor Seidman?»
Quella voce familiare veniva da destra. Era quella di Regan.
Ma che?… «Ascolti, venga con me.»
«Dove sono i soldi, dottor Seidman?»
«Ma non capisce? Hanno appena scavalcato quel muretto.»
«Chi?»
Capii dove voleva arrivare. Due agenti mi puntavano contro la pistola, mentre Regan mi fissava a braccia conserte. Alle sue spalle apparve Tickner.
«Parliamone, le va?»
Non mi andava. Non avrebbero sparato e, anche se l’avessero fatto, non m’importava. Quindi mi rimisi a correre, con loro dietro. Gli agenti erano giovani e sicuramente più in forma di me, ma io avevo una carta dalla mia: ero impazzito. Saltai la staccionata e ricaddi sul pendio. Gli agenti mi vennero dietro, ma si muovevano con maggiore cautela, temendo di cadere.
«Fermo!» gridò di nuovo uno di loro.
Ansimavo troppo per poter dare altre spiegazioni. Volevo che continuassero a corrermi dietro, ma senza raggiungermi.
Mi raggomitolai su me stesso e presi a rotolare lungo il pendio. Dei frammenti di vetro mi si attaccarono agli abiti e mi s’infilarono tra i capelli, e si sollevò un polverone. Soffocai un colpo di tosse. Proprio mentre prendevo velocità andai a sbattere con il torace contro un tronco d’albero e udii il rimbombo dell’impatto, che mi tolse quasi il fiato. Ma non mi diedi per vinto. Scivolando di lato mi ritrovai sul sentiero, e dietro di me vidi le torce dei poliziotti: non mi avevano perso, quindi, ma erano a distanza di sicurezza. Bene.
Guardai veloce a destra e a sinistra. Nessuna traccia della camicia a scacchi o di Tara. Cercai ancora d’indovinare che direzione potessero aver preso, ma senza successo. Mi fermai e gli agenti si fecero più vicini.
«Fermo!»
Avevo il cinquanta per cento di possibilità.
Stavo per scattare verso sinistra e tornare a immergermi nell’oscurità quando vidi il giovane con il fazzoletto azzurro in testa, quello che poco prima mi aveva indicato con il capo la direzione. Questa volta scosse la testa e puntò il dito alle mie spalle. «Grazie» gli dissi.
Se disse qualcosa non lo udii perché mi ero già allontanato, diretto verso la rete metanica che poco prima avevo superato in senso contrario. Udii un rumore di passi, ma erano troppo distanti. Sollevai lo sguardo e vidi di nuovo la camicia a scacchi, accanto alle luci della scala della metro. L’uomo sembrava stesse riprendendo fiato.
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