Ora l’aveva vista, la bambina.
Sarebbe stato quindi innaturale non avere la curiosità di vedere l’espressione del suo viso.
I secondi passavano ed era ciò che lei voleva. Voleva protrarre la tensione, portarlo oltre il suo limite di sopportazione, sfinirlo prima di sferrare il colpo decisivo.
Lydia estrasse la Sig-Sauer, tenendola all’altezza del fianco. Guardando tra il cespuglio stimò in dieci-dodici metri la distanza che la separava da lui. Inserì nel cellulare il distorsore della voce e riavvicinò l’apparecchio alle labbra: che urlasse o sussurrasse non faceva alcuna differenza, il distorsore rendeva omogenei tutti i suoni.
«Apri la sacca con i soldi.»
Dal suo osservatorio soprelevato lo vide seguire i suoi ordini, muovendosi come in trance, senza più obiezioni. Questa volta fu lei a usare la torcia elettrica, gliela puntò sul viso e poi abbassò il raggio sulla sacca.
Soldi. Vedeva le mazzette. Annuì, tutto secondo i piani.
«Okay, ora lascia i soldi a terra» gli disse. «Poi imbocca lentamente il sentiero, troverai Tara ad aspettarti.»
Vide il dottor Seidman posare la sacca. Teneva le palpebre socchiuse per guardare meglio in direzione del punto in cui lo attendeva la sua bambina. I suoi movimenti erano impacciati, probabilmente per la luce che l’aveva per un momento abbagliato. E anche questo particolare avrebbe reso le cose più facili.
Lydia avrebbe voluto sparare da vicino, due rapidi colpi alla testa, in caso quello avesse indossato un giubbotto antiproiettile. Sparava bene, lei, probabilmente sarebbe stata in grado di colpirlo alla fronte persino da dove si trovava. Ma voleva esserne sicura, non poteva permettersi di commettere errori, di correre rischi.
Seidman si mosse verso di lei, era a quasi otto metri di distanza, poi cinque. Quando fu a tre metri, la donna sollevò la pistola e prese la mira.
Se Marc avesse preso la metropolitana, Rachel sapeva che sarebbe stato pressoché impossibile seguirlo senza essere vista.
Allora corse alla tromba delle scale e guardò giù, nel vuoto. Marc non c’era, maledizione. Si guardò attorno e vide un cartello che indicava gli ascensori per la linea A. A destra un cancello chiuso. Nient’altro.
Probabilmente stava scendendo in ascensore.
E adesso?
Udì un rumore di passi alle sue spalle. Con la destra cercò di togliersi dal viso la tinta nera per rendersi un minimo presentabile, con la sinistra si girò sulla nuca gli occhiali per la visione notturna.
Due uomini stavano scendendo le scale. Uno la guardò e le sorrise, lei si passò nuovamente la mano sul volto e ricambiò il sorriso. I due, arrivati in fondo alle scale, si diressero agli ascensori.
Rachel valutò rapidamente le alternative. Quei due sconosciuti avrebbero potuto rappresentare la sua copertura, sarebbe stato sufficiente seguirli, entrare nello stesso ascensore, uscirne con loro e magari attaccare discorso. Chi avrebbe potuto sospettare di lei? Il treno di Marc per fortuna non era ancora partito. Se fosse… no, meglio non pensare al peggio.
Stava per dirigersi verso i due uomini quando qualcosa la bloccò. Il cancello che aveva visto alla sua destra. Era chiuso e sul cartello si leggeva APERTO SOLTANTO PER IL FESTE SETTIMANA E LE PRINCIPALI FESTIVITÀ.
Ma in mezzo ai cespugli Rachel aveva visto brillare una torcia elettrica.
Si fermò, cercando di vedere qualcosa al di là dello steccato, ma non si distingueva nulla oltre il raggio della torcia. La vegetazione era troppo fitta. Alla sua sinistra udì il suono di un ascensore che arrivava al piano, le porte scorrevoli si aprirono e i due uomini entrarono. Non aveva il tempo di tirare fuori il palmare e controllare il segnale del GPS. Oltretutto, l’ascensore e il raggio della torcia erano troppo vicini e sarebbe stato ben difficile distinguere quella minima differenza.
L’uomo che le aveva sorriso tenne aperta la porta dell’ascensore e lei si chiese che cosa fare.
Il raggio della torcia scomparve.
«Deve scendere?» le chiese l’uomo.
Attese che la torcia elettrica venisse riaccesa, ma inutilmente. Allora scosse il capo. «No, grazie.»
Rachel risalì di corsa le scale, alla ricerca di un punto buio per poter usare i visori notturni. I Rigel avevano un sensore incorporato che li proteggeva dalle luci violente, ma lei preferiva, nei limiti del possibile, che non ci fosse nessuna luce artificiale. La strada era più in alto rispetto al parco e la posizione era quindi buona, ma proprio da lì arrivava ancora troppa luce.
Si spostò su un lato dell’edificio di pietra che ospitava gli ascensori. Se si fosse appiattita contro il muro, in un punto alla sua sinistra, si sarebbe trovata nella completa oscurità. Perfetto. L’intrico di cespugli e alberi era ancora troppo fitto per permettere una visione sufficientemente chiara, ma non c’erano alternative.
I visori notturni non erano affatto leggeri come dichiarava il produttore. Avrebbe dovuto comprare il modello che si accosta agli occhi, come un binocolo. Quasi tutti quelli in circolazione erano così, ma il suo no: bisognava applicarselo al viso come una maschera. Ma presentava un vantaggio evidente, lasciava libere le mani.
Mentre se li metteva sul capo per infilarseli apparve nuovamente il raggio della torcia. Rachel tentò di seguirlo con lo sguardo, di vedere da dove provenisse: questa volta da un punto diverso, le sembrò. Sulla destra, e più vicino.
E poi, prima che potesse localizzarlo, il raggio era scomparso.
Fissò il punto dal quale le sembrava fosse partito. Era buio, ormai, molto buio. Senza staccare gli occhi terminò di infilarsi i visori, che però non sono magici, non è vero che permettono di vedere al buio. Sfruttano, intensificandola, ogni luce esistente, anche la più fievole. Ma lì di luce in pratica non ce n’era. Questo una volta rappresentava un problema, ma ora non più, perché oggi ci sono in commercio modelli con incorporata una sorgente di raggi infrarossi, che non sono visibili dall’occhio umano.
Ma sono visibili dai visori notturni.
Rachel azionò gli infrarossi e la notte si accese di verde. Non stava più guardando attraverso una lente ma uno schermo al fosforo, uguale a quello del televisore di casa. La lente ingrandiva la foto, perché era una foto quella che si vedeva e non l’oggetto vero e proprio, e la foto era verde perché l’occhio umano riesce a distinguere più tonalità di verde che di qualsiasi altro colore al fosforo. Rachel guardò.
E notò qualcosa.
Ciò che vide era confuso, ma a lei sembrò una donna di piccola statura che se ne stava nascosta dietro un cespuglio. Aveva qualcosa davanti alla bocca, un telefono probabilmente. Con quegli occhiali notturni la visione periferica era pressoché inesistente, anche se sulla carta avrebbero dovuto consentire un’angolazione fino a trentasette gradi. Rachel si voltò a destra e vide Marc, che stava posando al suolo la sacca di tela con i due milioni di dollari.
Marc prese a camminare in direzione della donna, a piccoli passi, forse per non inciampare nell’acciottolato.
Rachel spostò lo sguardo dalla donna a Marc, poi lo riportò sulla donna. Marc si stava avvicinando ancora e la donna era sempre accovacciata al riparo dei cespugli. Lui non avrebbe potuto vederla comunque. Rachel si preoccupò, non riuscendo a capire che cosa diavolo stesse succedendo.
Poi la donna sollevò un braccio.
Rachel non riusciva a vedere chiaramente attraverso i rami degli alberi, ma sembrava che stesse puntando un dito contro Marc, che l’aveva quasi raggiunta. Socchiuse gli occhi per vedere meglio, e si rese conto che non era un dito quello che la donna stava puntando contro Marc. Era troppo grossa quella cosa per essere una mano.
Infatti era una pistola. La donna stava puntando una pistola alla testa di Marc.
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