Robert Wilson - L'uomo di Siviglia

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Ossessioni. Ricordi rimossi, un'angoscia crescente, poi, all'improvviso, una scintilla che scatena un terrore sepolto in un angolo oscuro dell'anima. Raúl Jiménez, personaggio ambiguo legato al bel mondo di Siviglia, ma anche alla malavita e ai ricordi delle atrocità della Guerra civile, muore all'inizio della Semana Santa, il momento dell'anno più denso di religiosità e passione in una Spagna tutt'altro che solare, anzi, enigmatica e inquieta. L'ispettore capo Javier Falcón capisce ben presto di trovarsi di fronte a un crimine rituale, quasi iniziatico: l'assassino ha voluto impartire alla sua vittima una “lezione di vista”. Jiménez è stato legato e costretto a guardare una videocassetta, finché il suo cuore non ha ceduto…

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Falcón percorse le strette gole delle viuzze acciottolate fino al bar in calle Gravina, una vecchia bottega che conservava ancora le antiche bilance sul banco. Gli avventori si riversavano sul marciapiede con le loro birre; Manuela e il suo amico erano in fondo, pigiati tra la folla. Falcón si fece strada fino al loro tavolo. Abrazos da uomini che non conosceva, baci da donne ignote: amici di Manuela. La sorella lo baciò stringendolo forte tra le braccia modellate in palestra e Alejandro, il suo compagno, che lei aveva conosciuto su qualche attrezzo ginnico al club, gli mise in mano una birra.

«Fratellino!» Manuela lo aveva sempre chiamato così fin da quando erano piccoli. «Hai l'aria stanca. Altri cadaveri?»

«Soltanto uno.»

«Un altro raccapricciante caso di droga?» si informò la sorella accendendo una disgustosa sigaretta al mentolo, che riteneva meno dannosa.

«Raccapricciante, ma senza droga questa volta. Più complicato.»

«Non so come fai.»

«Non molti dei tuoi amici riuscirebbero a immaginare una donna bella e raffinata come Manuela Falcón con il braccio insanguinato fino alla spalla mentre tira fuori vitelli nati morti.»

«Oh, non lo faccio più da tanto tempo!»

«Non ti vedo a tagliare le unghie ai barboncini.»

«Devi parlare con Paco», disse lei, ignorandolo. «È molto preoccupato, sai.»

«La Feria è il periodo più faticoso per lui.»

«No, no, non si tratta di questo», bisbigliò Manuela. «È per le vacas locas , ha paura che la sua mandria sia stata infettata dal morbo della mucca pazza. Sto facendo i test a tutti i suoi animali, in via ufficiosa.»

Falcón sorseggiò la birra, mangiò una fetta di jamon de bellota , così dolce che si scioglieva in bocca.

«Se lo obbligano a fare i test ufficiali e trovano un animale con la malattia dovrà abbatterli tutti, anche quelli con una storia familiare di centovent'anni.»

«C'è di che essere preoccupati.»

«Gli fa male anche la gamba, è sempre così quando è sotto stress. Certi giorni non riesce nemmeno a camminare.»

Alejandro gli mise davanti un piatto di formaggi e istintivamente Falcón girò la testa dall'altra parte.

«Non gli piace il formaggio», spiegò Manuela e il piatto sparì.

«È saltato fuori il tuo nome, oggi al lavoro», disse Falcón.

«Male.»

«Hai vaccinato il cane di una persona, c'era una fattura.»

«Il cane di chi?»

«Spero che ti abbia già pagato.»

«Non avresti trovato la ricevuta firmata, altrimenti.»

«Raúl Jiménez.»

«Sì, un simpatico Weimeraner. Era un regalo per i suoi figli… stanno cambiando casa. Doveva venirlo a prendere oggi.»

Falcón la fissò. Manuela batté le palpebre guardando la sua birra, posò il boccale. Accadeva di rado che un vero omicidio scivolasse in una conversazione che non fosse di lavoro. Normalmente, se sollecitato, Falcón raccontava qualcosa sul suo modo di condurre le indagini, sulle sue idiosincrasie, la sua attenzione ai particolari, ma non parlava mai di come fosse in realtà il suo lavoro, sempre faticoso, talvolta molto tedioso e inframmezzato da momenti di orrore.

«Sono preoccupata per te, fratellino.»

«Non corro pericoli.»

«Voglio dire… il tuo mestiere. Ti fa delle cose.»

«Quali cose?»

«Non so, suppongo che nella tua professione si debba diventare cinici per sopravvivere.»

«Cinico? Io? Io svolgo indagini sugli omicidi. Cerco la ragione per cui si producono questi momenti di aberrazione. Cerco di scoprire perché in questi tempi così razionali, così civili, sia ancora possibile crollare e cadere come normali esseri umani. Non è come sopprimere cuccioli o massacrare intere mandrie di bestiame.»

«Non sapevo che certe cose ti toccassero tanto.»

Erano così vicini che Falcón avvertiva il mentolo della sigaretta nell'alito di lei, nonostante l'odore di sudore e profumi del bar affollato. Manuela era fatta così, riusciva sempre a provocare e per questo i suoi amori, scelti per il bell'aspetto e il portafogli, non duravano mai. Sua sorella non sapeva essere sempre dolce e femminile.

« Hija », disse, non volendo accettare la provocazione, «ho avuto una giornata faticosa.»

«Non era questa una delle cose di cui ti accusava Inés?»

«Hai pronunciato tu la parola proibita, non io.»

Manuela alzò lo sguardo, sorrise e si strinse nelle spalle. «Hai detto che speravi mi avessero pagato per il cane di quel poveretto e mi è sembrata una battuta un po' cinica, ecco tutto. Ma forse eri soltanto… flemmatico.»

«È stata una cosa di cattivo gusto», convenne Falcón, sorprendendosi a mentire subito dopo. «Non sapevo che il cane fosse un regalo per i figli.»

Alejandro inserì tra loro il profilo della sua superba mandibola e Manuela rise, senza nessuna ragione, se non che erano i primi tempi e lei voleva ancora far sentire il suo uomo contento di sé.

Parlarono di toros , l'unico argomento che lei e Alejandro avevano in comune: Manuela entusiasta del suo torero preferito, José Tomás, il quale, e questo era insolito per lei, non era uno dei famosi belli della plaza , ma un uomo che ammirava perché riusciva sempre a creare una certa tranquillità nella faena. Non era mai precipitoso, non strisciava mai i piedi, conduceva il toro con il centro della muleta , non con un lembo, in modo che l'animale passasse sempre pericolosamente vicino a lui, il più vicino possibile. Inevitabilmente veniva colpito e ogni volta si rialzava e tornava tranquillamente verso il toro.

«Una volta l'ho visto alla televisione, in Messico. Era stato incornato e il sangue gli scorreva lungo il polpaccio, era pallido e aveva l'aria sofferente ma era rimasto in piedi, aveva ritrovato l'equilibrio, aveva fatto allontanare i suoi uomini e si era avvicinato di nuovo al toro. Perdeva tanto sangue, si vedeva: a ogni passo gli sprizzava dalla scarpa. Poi ha puntato il toro e lo ha infilzato. L'hanno portato subito all'ospedale. Que hombre, que torero. »

«Vostro cugino Pepe», disse Alejandro, che aveva sentito quella storia già troppe volte, «Pepe Leal. Ha qualche possibilità per la Feria?»

«Non è nostro cugino», lo corresse Manuela, dimenticando per un momento il suo ruolo. «È figlio del fratello di nostra cognata.»

Alejandro scrollò le spalle. Voleva ingraziarsi Javier. Sapeva che Javier era il confidente di Pepe e che la mattina della corrida andava sulla plaza , quando il lavoro glielo consentiva, a scegliere il toro per il giovane torero.

«Quest'anno no», rispose Javier. «È andato molto bene a Olivenza in marzo, gli hanno dato un orecchio di ognuno dei suoi tori e lo hanno invitato per la Feria de San Juan a Badajoz, ma non pensano ancora che sia al livello della Feria de Abril. Può solo stare lì e sperare che qualcuno si ritiri.»

Gli dispiaceva per il ragazzo, Pepe, che aveva diciannove anni e un grande talento, ma anche un manager che non riusciva mai a inserirlo nelle plazas di prima categoria. Non era tanto una questione di capacità quanto di stile.

«La moda cambierà», disse Manuela, consapevole che il fratello si sentiva responsabile per Pepe.

«È convinto di essere ormai troppo vecchio per poter sfondare», spiegò Javier. «Si confronta con El Juli, che sembra sull'arena da decenni e che ha solo un paio d'anni più di lui. E si scoraggia.»

Alejandro ordinò altre tre birre. Manuela stava fissando Javier, un sopracciglio inarcato.

«Che c'è?» domandò Falcón.

«Tu», rispose lei. «Tu e Pepe.»

«Lascia perdere.»

«Ricordi, vero, quello che ha scritto quel tizio su 6 Toros l'anno scorso?»

«Un idiota.»

«Tu sei più vicino a Pepe di quanto non lo sia suo padre. Ha un mucchio di affari in Sudamerica, ma non va a vedere suo figlio quando si esibisce in Messico.»

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